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Qual è l’Egitto da cui dobbiamo uscire?

Mosè, il fuoco e la strada

© Flickr/Steve Wall/Creative Commons

Roberta Sciamplicotti - Aleteia - pubblicato il 11/03/15

Un libro ripercorre la storia di Mosè offrendo lezioni preziose per gli uomini d'oggi

La ricchezza della povertà. Potrebbe definirsi così uno dei messaggi principali lanciati dal libro di Davide Caldirola “Il fuoco e la strada. Sulle tracce di Mosè” (Ancora), che presenta un itinerario di riflessione e preghiera che ripercorre la storia di questa grande figura dell'Antico Testamento.

Il fuoco e la strada del titolo sono due elementi che Mosè conosce bene, ma anche immagini in grado di evocare ancora oggi il percorso spirituale di molti credenti, affascinati dall’incontro col mistero di Dio e dal desiderio di raccontarlo ai fratelli.

Le riflessioni riportate nel testo abbracciano solo pochi versetti del libro dell’Esodo, una quindicina in tutto, quelli che aprono il capitolo terzo, ma come spiega l'autore “la narrazione dell’incontro tra Mosè e il suo Dio, i primi gesti, le prime parole, schiudono una ricchezza inimmaginabile di significati e aprono infiniti sentieri di conversione”.

Secondo la tradizione di Israele, la vita di Mosè si snoda attraverso tre grandi tappe di quarant’anni ciascuna. La prima è in Egitto, dalla nascita e dal suo ingresso alla corte del faraone fino a quando Mosè commette un omicidio e deve fuggire.

“Cosa significa questo per noi? Qual è l’Egitto da cui dobbiamo uscire?”, chiede Caldirola, suggerendo “almeno due 'esodi' necessari, urgenti per la nostra vita”, il primo dei quali è “l’uscita dalle schiavitù deliberate”, visto che “molte delle nostre prigioni ci vedono nel ruolo inedito di carcerieri di noi stessi”, per cui “siamo causa dei nostri stessi mali”.

“Il secondo esodo è quello dai 'gravami', dai lavori forzati, cifra di una schiavitù che diventa insopportabile. Come singoli e come Chiesa dobbiamo adoperarci in ogni modo per aiutare tutti e ciascuno a togliere pesi. La vita è già abbastanza dura per proprio conto”.

“Quando il nostro cammino di conversione e i nostri percorsi di Chiesa diventano cupi, opprimenti, tristi, i nostri incontri e le nostre celebrazioni soffocanti, quando facciamo consistere la nostra fede in una buia litania di doveri insostenibili, significa che stiamo percorrendo al contrario il viaggio dell’Esodo e stiamo ridiventando schiavi. Non dobbiamo smarrire il sogno di una Chiesa lieta e semplice, capace di muoversi leggera, a passo di danza”.

Nella seconda tappa della sua vita, Mosè entra nel deserto. Le sue ultime parole riportate nel secondo capitolo dell’Esodo sono “Sono un emigrato in terra straniera!”.

“Queste parole”, spiega Caldirola, “non sono altro che il significato del nome Ghersom, nome che Mosè dà al suo primo figlio. Il secondo figlio si chiamerà 'Eliezer', che significa 'la mia protezione è il Signore', oppure 'il Dio di mio padre mi è venuto in aiuto'. La vita di Mosè è sempre in bilico tra questi due poli: essere 'Ghersom' ed essere 'Elièzer', senza radici, indifeso, senza diritti, eppure ricoperto dalla protezione di Dio”.

Nella terza e ultima tappa della sua esistenza, Mosè sta portando oltre il deserto un gregge che non è suo, le pecore del suocero Ietro. “Mosè non possiede nulla, è poco più che un lavorante”.

L’esperienza di Mosè uomo “straniero”, espropriato, ci rimanda al senso di estraneità che spesso attraversa le nostre giornate, osserva l'autore. “Sperimentiamo costantemente la nostalgia di casa, il non sentirci mai nella nostra terra, la fatica a trovare posto, una buona e giusta collocazione nel mondo. Non è solo l’esperienza dei profughi o dei migranti o di chi per amore, per lavoro, per missione parte e raggiunge luoghi lontani. È una nostalgia più forte, a volte legata alla percezione della nostra finitezza di creature, altre volte dolorosamente segnata dai disagi di casa nostra: una Chiesa che non ci convince, una relazione che ci fa soffrire, una ferita del cuore, un lutto, una separazione… Ma insieme a questa nostalgia avvertiamo che 'il Dio dei padri ci è venuto in aiuto': prima del deserto, nel deserto, oltre il deserto Dio ci guida”.

“La nostra vita ci può apparire, a volte, come una monotona sequenza di giorni, senza tregua, senza sbocchi”. “E se fosse invece proprio questa vita quotidiana il terreno nel quale il Signore ci trasforma e ci conforma ai suoi progetti? Qual è il deserto che oggi sono chiamato ad attraversare? Sono disposto a correre il rischio dell’'oltre', di un passaggio impegnativo di vita che non ho ancora osato affrontare?”.

“Scopro allora che questo deserto dell’esistenza si popola di voci e di presenze, rivela oasi inaspettate di refrigerio e di freschezza”, scrive Caldirola. “Si può attraversare il deserto dei giorni lasciando pazientemente lavorare Dio, contemplandone l’opera sapiente. E si può correre il rischio di condurre (e lasciarci condurre) 'oltre il deserto', come fa Mosè”; “dalla nostra stessa povertà, nei nostri momenti peggiori di inerzia e di disperazione, germoglia e sboccia un seme che fiorisce nell’incontro col Mistero”.

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