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L’uomo, passione e dramma di Dio

Woman feeling so alone © Balazs Kovacs Images / Shutterstock – it

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Roberta Sciamplicotti - Aleteia - pubblicato il 11/03/15

David Maria Turoldo: “La sorte dell’uomo, la sua possibilità di perdersi turbano la felicità di Dio”

“Il nostro Dio non ha niente a che fare con l’atto-puro di Aristotele, il nostro è un Dio appassionato; è lo stesso 'essere per l’uomo'; un Dio che alla fine si farà uomo: venuto a salvare ciò che si era perduto. E si era perduto appunto l’uomo”.

Lo scrive David Maria Turoldo (1916-1992), religioso e poeta dell'Ordine dei Servi di Maria, in “Anche Dio è infelice” (San Paolo), in cui ripercorre alcuni brani evangelici per gettare una luce sulla situazione dell'uomo odierno.

IL SILENZIO DI CRISTO
L'autore confessa che una cosa che lo colpisce particolarmente nei Vangeli è “il silenzio di Cristo”: quello della notte della sua nascita, quello di tutta la sua infanzia, rotto solo dall’episodio di lui dodicenne rimasto nel tempio, fra i dottori, il silenzio dei trenta anni prima di iniziare la vita pubblica e anche a vita pubblica iniziata.

Se non si capisce questo silenzio, per padre Turoldo si rischia di non capire nemmeno il messaggio che c'è dietro. “È il silenzio la parte più grande di tutto il mistero di Cristo. Il silenzio di Dio; il silenzio della creazione; e della notte. Il silenzio dei tabernacoli. Silenzio, grembo dei mondi”.

“La sua prima parola è il silenzio, e la pazienza; specie se ci rapportiamo a questa nostra umanità sempre così impaziente e chiassosa”.

LE PARABOLE SOVVERSIVE
Per “contrapporsi” alla mentalità del mondo, il Signore sceglie esplicitamente di affidare alla parabola verità che “appariranno perfino assurde alla comune ragione”. Non c'è del resto “nulla di più adatto dell’allegoria a sovvertire i canoni della cosiddetta 'opinione convenzionale'; e nulla di più garante a salvarne il messaggio dell’inevitabile decadere dei linguaggi”.

“Diversamente che per la favola, il destino della parabola è di prendere parte del quotidiano; è di farsi storia che ti appartiene, profezia e annuncio della tua sorte. Oltre il fatto che è proprio dell’allegoria lasciare piena libertà di intendere o meno; è proprio della parabola contare sulla libera apertura del cuore”; “in un certo senso Dio ti parla, ma ti parla nel pieno rispetto della tua intelligenza; e ti dice quanto è nascosto nell’involucro delle cose o dentro gli eventi, e nella tua stessa vita personale; ma sei tu che devi 'vedere' e 'udire', sei tu che devi intendere”.

“L’allegoria è sempre attualizzabile: è come la vita, pronta sempre a fiorire. E però – come la vita – sarà sempre carica di mistero”. È anche vero, tuttavia, che il fatto che Gesù parli in parabole è un segno che “vuol farsi intendere, sempre e da tutti”. Non a caso, la parabola è una forma popolare di espressione che si ritrova in tutte le culture del mondo ed è accessibile ai piccoli e ai grandi.

Ecco allora un'analisi estremamente approfondita di quattro parabole di Gesù: quella del buon samaritano, quella del figliol prodigo, quella del pastore e delle novantanove pecore e quella di Lazzaro e del ricco epulone, accompagnate da una riflessione sulla fede di oggi.

BUON SAMARITANO, MAGNIFICAT DELLA VERGINE
La parabola del buon samaritano è per padre Turoldo “come il Magnificat della Vergine, dove sono descritte le sorti dei ricchi e dei poveri, degli umiliati e dei salvati di sempre: un canto che esplode dalla gioia dell’anima naufragata nel suo Dio e che in Dio vede lo snodarsi dei vari destini di tutti gli uomini”; è come “un santuario del tutto speciale, senza archi e colonne e altari; un 'locus' unico e nuovo, quasi un tempio all’aperto, situato nel cuore della storia; anzi, dentro un impetuoso divenire, lasciato alle spalle e in distanza il classico santuario di pietra; poiché tutto avviene sulla strada, neppure in un crocicchio, sulla strada ove passano tutti: strada unica dove si è 'costretti' a passare”.

LE STRADE, ARTERIE DELLA STORIA
Gli eventi più significativi del Vangelo si avverano sulla strada: sulla strada esce un seminatore a seminare; sulla strada e presso il pozzo di Giacobbe avviene l’incontro con la samaritana; lungo la strada Cristo si affianca a sconosciuti, ai disperati di Emmaus; e sulle strade di Galilea egli precederà i discepoli da risorto… È nella storia che si compiono i misteri della nostra salvezza, e le strade sono le arterie della storia”. Perciò il nostro Dio “è sempre sulla strada, magari in agguato, nascosto dietro i tornanti: con la sensazione che qualche volta arrivi in ritardo; e altre volte invece ti preceda o ti venga incontro”.

La parabola del figliol prodigo è quella “che più mi sconvolge”, confessa padre Turoldo. “Come hai fatto, Gesù, a inventarla? E a dirla? Io vorrei sapere come la dicevi, con quale voce; e chi era ad ascoltarti; se li guardavi in faccia questi moralisti, questa gente dalla facile indignazione, pronta sempre a stracciarsi le vesti, mai pronta a cambiare il cuore. O vorrei sapere se pensavi ad altro; per esempio, allo strazio del padre, alla tristezza di Dio”.

Si passa poi alla parabola delle 99 pecore e di quella smarrita, che insieme alle due precedenti fa parte delle parabole chiamate della misericordia. Il protagonista è un pastore, “uomo della solitudine e del silenzio; un uomo che veglia giorno e notte a difesa da mercenari e ladri, per amore dei suoi agnelli”. È “un pastore e non un mercenario: il pastore pronto a dare la vita per le sue pecore. E questo pastore sarebbe precisamente l’immagine di Dio”.

Riusciremo mai noi a penetrare dentro il cuore di un simile Dio? Riusciremo a capire come Dio ci ama?”, si chiede padre Turoldo.

UN DIO ALLA RICERCA DELL'UOMO
Due, a suo avviso, sono le caratteristiche che rendono “inconfondibile” la nostra fede cristiana: “nella nostra religione non è tanto l’uomo che cerca Dio, quanto Dio che cerca l’uomo: l’uomo come passione e dramma di Dio; la sorte dell’uomo, la sua possibilità di perdersi turbano la felicità di Dio. Perciò discende dai cieli… L’altra caratteristica è un avverbio di modalità: per dire come Dio ci ama. Ed è infatti la sintesi di tutto il messaggio cristiano: 'Amatevi come io vi ho amato' (Gv 13,34). Non è tanto il comandamento dell’amore, che fa parte certo del messaggio di ogni religione della terra, quanto la misura dell’amore: di un amore che non ha misura. Nessuno ha un Dio così folle d’amore com’è il nostro Dio”.

“E come l’atto d’amore di Dio per l’uomo è la garanzia della sua vita, così la ricerca di Dio da parte dell’uomo è il continuo riconoscimento della felicità di Dio: l’uomo è fatto-per-Iddio, e Dio è l’essere-per-l’uomo; uno fatto per l’altro”.

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