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Papa Francesco e le donne: quello che i giornalisti (o le giornaliste) non dicono

Womens Role in the Church – it

Jeffrey Bruno

Caterina Ciriello - pubblicato il 10/03/15

Se a non voler ascoltare le donne nella Chiesa fossero proprio i media?

Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera della professoressa Caterina Ciriello della Pontificia Università Urbaniana.

Attualmente papa Francesco è uno dei personaggi più amati e più criticati allo stesso tempo, dentro e fuori la Chiesa. Anche nella Chiesa, infatti, esistono le frange conservatrici contrarie a qualsiasi tipo di apertura che possa mettere in pericolo l’ortodossia. Ma il papa è il papa e se dubitiamo o mettiamo in seria discussione il suo pensiero e le sue decisioni in materia di fede e di morale, allora forse è proprio la nostra fede che ha bisogni di essere “sorretta” ed accresciuta. Per questo è fondamentale che i cattolici non si lascino “sviare” da informazioni poco corrette sia sul papa che su quanto dice, come purtroppo ogni tanto avviene nei mass-media.

Sin dall’inizio del suo pontificato papa Francesco ha dimostrato di essere un autentico pastore ed allo stesso tempo un uomo alla ricerca dell’unica verità da comunicare: Gesù Cristo. E l’Evangeli Gaudium è una delle prove più concrete. Ha fatto e sta facendo di tutto per riconquistare, con la sua umiltà e semplicità, le folle a Cristo, proprio come san Paolo che scrive: «mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io» (1Cor 9, 22-23). Nessuno escluso, meno che mai le donne. Sono tanti i discorsi, infatti, in cui egli riporta costantemente alla luce la precarietà del ruolo della donna nella società e nella stessa Chiesa. Nel discorso fatto ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio della cultura il 7 febbraio scorso ha testualmente detto: «L’argomento che è stato da voi scelto mi sta molto a cuore, e già in diverse occasioni ho avuto modo di toccarlo e di invitare ad approfondirlo. Si tratta di studiare criteri e modalità nuovi affinché le donne si sentano non ospiti, ma pienamente partecipi dei vari ambiti della vita sociale ed ecclesiale. La Chiesa è donna, è la Chiesa, non il Chiesa. Questa è una sfida non più rinviabile». Ed ha insistito molto affinchè si promuova la «presenza efficace delle donne in tanti ambiti della sfera pubblica, nel mondo del lavoro e nei luoghi dove vengono adottate le decisioni più importanti». Mi pare cosa ovvia, praticamente scontata che la posizione della donna nella famiglia sia fondamentale, ma non unica, tanto è vero che papa Francesco esorta tutta la comunità ad aiutare le donne affinchè possano svolgere con responsabilità e competenza i ruoli a cui sono chiamate.

Potremmo citare ancora tanti altri discorsi fatti dal papa in proposito, ma per fare ciò occorrerebbe molto spazio, che ora non ho a disposizione, anche se ne avrei tutta la voglia. Infatti, quando spuntano certi titoli come questo Women See Themselves as Left Out Amid Talk of Change in Catholic Church” apparso il 6 marzo scorso nel prestigioso New York Times mi viene da chiedermi se chi ha scritto l’articolo era in buona fede quando mi ha intervistato, e quando ha intervistato la Lucetta Scaraffia e la Cristina Simonelli. Perché non si può tenere occupate le persone per tanto tempo per poi riportare neppure un decimo di quello che si è detto, ovvero le cose meno significative e scrivendo ciò che si vuole, celando ben altre intenzioni. Per esempio non è stato citato “Donne, Chiesa Mondo” che segna un passo di apertura importantissimo come inserto mensile di un giornale quale è “L’Osservatore Romano” e di cui la Scaraffia è responsabile. Come non ha fatto il minimo accenno al Coordinamento Teologhe Italiano di cui la Simonelli è presidente e di cui anche io faccio parte, e che attualmente in Italia è un importante luogo di confronto teologico femminile, e non solo. Quando la giornalista in questione mi ha domandato “a che punto siamo oggi riguardo alla posizione della donna nella Chiesa”, la mia risposta è stata: con papa Francesco vedo un futuro roseo. E gli ho spiegato che il papa attuale sta seguendo la linea di apertura e di cura della donna che è stata anche di Benedetto XVI. Gli ho anche chiarito che, a mio modesto parere, questa linea è molto diversa da quella di san Giovanni Paolo II, il quale pur avendo esaltato il “genio femminile” nella Mulieris dignitatem alla fine ha lasciato le cose come stavano. Non solo. Ho sottolineato che il cammino di inserimento della donna nella Chiesa è difficile per via di un certo maschilismo che alcuni manifestano chiaramente (maschilismo non “sciovinismo, come è stato scritto), ma che con il dialogo e senza forzature, si possono raggiungere risultati sicuramente inaspettati. C’è bisogno di sensibilizzare, di formare bene i futuri sacerdoti (e questo lo ha scritto), di avere una presenza femminile nei seminari, e, aggiungo, di formare ancora meglio i membri di alcune congregazioni religiose impegnate nella sola cura dei sacerdoti. Ho aggiunto che va fatta “teologia al femminile” e non teologia “femminista”; che, come donna e come teologa, sono nettamente contraria al sacerdozio femminile perché la donna ha il diritto-dovere come battezzata di partecipare alla attività evangelizzatrice e missionaria della Chiesa. Ma mi pare di avere scorto ancora una volta che la lingua batte dove il dente duole: ed a più di qualcuna duole non poter esercitare il ministero sacerdotale, perché, evidentemente, ritiene che sia la sola realtà oggettiva che può dare autentica dignità alla donna nella Chiesa. Le mie parole sono state un accorato invito ad una “sana prudenza”, a non insistere su un punto che non è nodale per la donna e neppure per la Chiesa di oggi, aperta a sfide molto più importanti. Ciò non toglie che un domani si possa fare una seria riflessione teologica sulla questione, ma non ora. Adesso è il tempo di dialogare, di mostrare le nostre capacità come donne, religiose, teologhe, docenti nelle facoltà teologiche, perché solo rivelando con umiltà ed impegno quanto si vale si può accedere ai luoghi privilegiati non del “potere” – questi famosi e onnipresenti dicasteri – ma del “servizio” come continua a ripeterci papa Francesco.

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