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Mennini: “Non ho potuto confessare Moro”

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Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 09/03/15

L'audizione del nunzio apostolico davanti alla Commissione d'inchiesta: "Solo la Madonna avrebbe potuto liberarlo"

"Non ho avuto questa possibilità, non ho potuto confessare Moro e dargli la comunione durante i 55 giorni della sua prigionia": mons. Antonio Mennini, nunzio apostolico in Gran Bretagna, davanti alla nuova Commissione parlamentare che indaga sull'assassinio di Aldo Moro, ha provato a porre fine una volta per tutte alla convinzione radicata che lo vuole nel covo delle Brigate Rosse dove era tenuto prigioniero il presidente della Democrazia cristiana per portargli il conforto dei sacramenti.

Nelle tre ore di audizione svoltasi a Palazzo S. Macuto il 9 marzo – a quasi 37 anni anni di distanza dal rapimento di Moro avvenuto il 16 marzo del 1978 – Mennini ha ripetuto a più riprese di non aver "mai incontrato l'onorevole Moro durante il periodo della sua prigionia". "Perchè mai – ha aggiunto il nunzio – dovrei negare, anche a distanza di tempo, di aver visto l'onorevole Moro in quel periodo? Se lo nego è perchè questo incontro non è mai avvenuto".

UN RACCONTO RIPETUTO 7 VOLTE

Non è la prima volta che mons. Mennini – all'epoca dei fatti, solo "don Antonello", vice parroco di Santa Lucia al Trionfale e legato da ragioni di stima e amicizia a Moro che era stato suo insegnante alla Facoltà di Scienze politiche della Sapienza – si trova a raccontare del ruolo avuto nella tragedia culminata con l'assassinio dello statista democristiano.

Come ha precisato nell'apertura dell'audizione e come era stato anticipato da Aleteia (http://aleteia-imported-it.vip.hmn.md/2015/03/07/la-verita-sul-caso-moro/)  il 7marzo, molte sono state le inesattezze riportate dai media nel corso degli anni: "Non è vero che non sono mai stato ascoltato sulla vicenda, sono stato sentito in sede giudiziaria e da commissioni parlamentari di inchiesta ben 7 volte". Così come non è vero che il Vaticano avesse precipitosamente fatto partire don Mennini: "ho lasciato Roma per l'estero nel maggio dell'81 e non pochi giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Moro, come è stato scritto". Non è nemmeno vero che si sia rifiutato di comparire davanti alla Commissione stragi avvalendosi dello status diplomatico: "Nel '95 – ha raccontato – quando fui contattato telefonicamente nel mio ufficio al Vaticano dalla Commissione stragi mi limitai a far presente che già in sede di processo avevo sviscerato tutto quello che sapevo su questa immane tragedia".

"SE FOSSI STATO NEL COVO, AVREI CHIESTO DI PRENDERE ME"

Era stato Cossiga, all'epoca ministro dell'Interno, a dare corpo alla voce affermando che era convinto che Mennini avesse potuto recarsi nella prigione di Moro e che il Vaticano aveva fatto in modo, in seguito, che nessuno potesse interrogarlo.

Parlandone con la signora Moro, ha raccontato mons. Mennini durante l'audizione: ""Ipotizzammo che, forse, il prete di cui si parlava era un sacerdote amico dei brigatisti".

"Se fossi stato nel covo – ha aggiunto il nunzio – avrei cercato di fare qualcosa di concreto per liberare Moro, avrei cercato di dialogare con i brigatisti, chiesto di prender me e rilasciare lui e non mi sarei certo comportato tremante come nel film di Beppe Ferrara. Oppure avrei cercato di ricordare il percorso fino alla prigione, per dare informazioni per le indagini. Purtroppo non ho avuto questa possibilità anche se in coscienza e rispetto ai miei doveri sacerdotali sarei stato contento di poterlo fare". "E poi – ha sottolineato Mennini – di cosa doveva confessarsi il povero Moro dopo tutto quello che aveva dovuto subire?".

IL "POSTINO" DEGLI APPELLI DI MORO

Come aveva già deposto in varie sedi, il ruolo del giovane sacerdote nella vicenda Moro è stato quello di "postino" dei messaggi inviati dallo statista per sollecitare la sua liberazione e consegnati dalle BR che cercavano una legittimazione politica alla lotta armata.

Il primo contatto, il 20 aprile, da parte del sedicente professor Nicolai, alias il brigatista Valerio Morucci: "Al ritorno da Lourdes, ricevetti una telefonata in cui mi si chiedeva di prendere un plico all'angolo di via del Vignola e di consegnarlo alla signora Moro". Nel plico c'erano tre lettere che il sacerdote consegna alla signora Moro: "una era per lei, una per Zaccagnini e una per il Papa, la sola che la signora non volle fosse fotocopiata". Il sacerdote non avvertì la polizia: "La mia unica preoccupazione – ha spiegato – era fare qualcosa per Moro e per i suoi familiari ma il 21, quando ricevetti una nuova chiamata, mi resi chiaramente conto da una voce in sottofondo che la mia utenza era stata messa sotto controllo". Il 24 aprile Nicolai chiama di nuovo: "mi disse di andare in un baracchino della lotteria in via Volturno. Uscii subito in Vespa, mi inginocchiai sotto il baracchino ma non trovai la busta rossa. O non c'era o la polizia era arrivata prima". Il 5 maggio l'ultimo contatto: "la busta era in un cestino della spazzatura non lontano dalla parrocchia. Fu in quella circostanza che Nicolai mi raccomandò di dire alla signora Moro che la persona indicata da lei non era stata trovata e che quindi era stato necessario fare ricorso ancora una volta a me".

LA PROVA DEL "CANALE DI RITORNO"?

Su questa telefonata del 5 maggio si è appuntato l'interesse del presidente della Commissione Moro, Beppe Fioroni: "Da monsignor Mennini una cosa del tutto nuova sulla vicenda Moro: c'era un 'canale di ritorno' che si interrompe intorno al 5 maggio". L'esistenza di un canale attraverso il quale messaggi e documenti anche sensibili potessero arrivare dall'esterno alla prigione di Moro è stata molte volte ipotizzata negli anni successivi al sequestro, ma senza elementi certi per poter essere provata. Secondo Fioroni, la testimonianza di Mennini permette di accertare che da quell'ultima telefonata si arriva al 9 maggio, "senza un canale utile per la trattativa" sulla liberazione di Moro.

L'INTERVENTO DI PAOLO VI

Il papa Paolo VI era un amico personale di Moro che conosceva dai tempi della Fuci. Il 22 aprile scrisse un appello alle Brigate Rosse perchè liberassero lo statista "senza condizioni". "Il Papa Paolo VI – ha raccontato Mennini rispondendo alle domande dei componenti la Commissione – voleva che Moro fosse liberato, che si trattasse, ma il clima non era favorevole: c'erano adunanze oceaniche dei sindacati che chiedevano di non cedere, le trasmissioni radio di Gustavo Selva sbilanciate per il 'no', La Malfa che parlava di pena di morte, il governo e lo stesso Pci attestati sulla linea della fermezza. Che avrebbe potuto fare il povero Papa, che a quei tempi tra l'altro stava già male, come avrebbe potuto imporre una posizione diversa?".

Il nunzio ha, peraltro, confermato che il pontefice aveva messo a disposizione per un'eventuale riscatto la somma di dieci miliardi di lire.

LA LINEA DELLA FERMEZZA

Mennini avrebbe voluto che fosse portata avanti la trattativa: "Come mai è stato detto 'no' a tutto? – si è chiesto il nunzio – Personalmente ero per la linea trattativista perchè, come Moro, avevo un'idea dello Stato che contempla l'etica e la salvezza dei suoi cittadini. Lo stesso Moro fece comprendere che la linea della fermezza in quest'Italia sgangherata non aveva senso". D'altra parte c'erano già stati i casi di Sossi e di Cirillo. "Io avrei trattato – ha ribadito Mennini -, almeno avrei convocato la Camera per prendere tempo. Si aveva la speranza che il covo sarebbe stato trovato...". In questa prospettiva si può leggere anche il comportamento seguito da mons. Mennini nei giorni del sequestro. "Il mio interesse primario era per la vita del sequestrato. Se avessi avvisato la polizia, questa avrebbe bloccato anche gli altri contatti che ebbi con i sequestratori. La signora Moro si lamentò con me che non tutti gli altri si erano comportati così e che alcune missive venivano portate alla polizia e non alla famiglia".

"SOLO LA MADONNA POTEVA LIBERARLO"

Agghiacciante la considerazione del nunzio sulle possibilità che Aldo Moro avesse di salvarsi basata sull'esperienza di quei giorni e una visita al Viminale, dal ministro Cossiga. Mennini accompagnò alla sede del Ministero dell'Interno un religioso della Congregazione dei Pallottini che si riteneva avesse doti di sensitivo e che aveva indicato la prigione di Moro nel quartiere romano dell'Aurelio. "Lì – ha ricordato il presule – venimmo tenuti a bagnomaria per 3-4 ore. Ogni tanto c'era qualcuno che entrava ed usciva e chiedeva a Tritto (uno dei collaboratori più stretti di Moro) che era con me se era possibile recuperare un indumento o degli scritti di Moro. Ci raccontarono anche che si era chiamato un altro sensitivo che era stato sentito per il caso Sutter. Ci furono altri episodi poco esaltanti, ricordo che c'era anche il capo di gabinetto che entrava e usciva affermando che c'era gente che voleva i biglietti del Teatro dell'Opera…". "Se le cose funzionavano così – è stata la conclusione di mons. Mennini – mi dissi che Moro o lo salvava la Madonna o la Divina Provvidenza o sarebbe stato difficile".

DUBBI RISOLTI?

"Sono convinto di non aver convinto nessuno oggi – ha detto lo stesso Mennini dopo quasi tre ore di audizione-. Questa leggenda metropolitana continua, ma io ripeto di non aver avuto la possibilità di incontrare in quei tragici giorni Aldo Moro". Di sicuro non ha convinto il vice presidente dei deputati del Pd e componente della Commissione d'inchiesta, Gero Grassi: "Don Antonello Mennini – ha affermato Grassi – è un abile uomo di Chiesa e ci ha detto molte cose riguardo al caso Moro. La prima è che non ha confessato il presidente della Dc nel carcere delle Br, spiegando che questa circostanza, cioè non solo l'oggetto della confessione ma anche il luogo e il momento, sarebbe comunque sottoposta al vincolo del segreto divino. Quando il procuratore Sica gli disse che avrebbe chiesto direttamente al Papa di liberarlo dal segreto della confessione Mennini gli spiegò, come ha riferito questa mattina, di non affannarsi perchè neanche il Santo Pontefice poteva arrivare laddove il limite è segnato dall'alto". "Valerio Morucci e Adriana Faranda – ha aggiunto il deputato – assicurarono la figlia maggiore del leader Dc, Maria Fida, che suo padre era morto avendo ricevuto il conforto della confessione. Forse di un sacerdote vicino alle Br? Insomma, su questo punto don Mennini non mi convince". Anche Grassi ha sottolineato che "l'audizione del sacerdote amico di Aldo Moro ci dà una importante conferma: l'esistenza di un canale di ritorno, cioe' di un contatto aperto per la gestione di una trattativa che però non si comprende per quali ragioni fallì". Sarà questo uno dei punti che la Commissione d'inchiesta dovrà approfondire.

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