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La verità di Gesù e le pretese dei cristiani

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Dimensione Speranza - pubblicato il 08/03/15

I tre classici approcci al problema della verità, le critiche e il dialogo con le religioni

I tre tradizionali approcci al problema della verità di Dio sviluppati dalla riflessione cristiana sono noti. Il primo (esclusivismo) afferma che la verità di Dio è data in Cristo e che le altre proposte religiose sono, semplicemente, idolatriche. Normalmente tale prospettiva si coniuga con la sottolineatura della centralità della Chiesa, come agenzia deputata all’amministrazione della verità di Cristo. Scopo del dialogo, in questa prospettiva, è la conversione degli altri.
Il secondo approccio (inclusivismo) ritiene anch’esso che Cristo sia la via, la verità e la vita. Ritiene però che elementi significativi di altre proposte siano riconducibili al messaggio cristiano rettamente inteso. Qui al centro non è più la Chiesa in quanto tale, ma più in generale il cristianesimo, inteso non come fenomeno storico, ma come costellazioni di valori, ideali, orizzonti. Il dialogo permette di scoprire negli altri elementi "cristiani", nonché di allargare l’orizzonte entro il quale i cristiani vivono la loro fede.

La terza prospettiva (pluralismo) ritiene che la verità, se effettivamente è una, è inattingibile direttamente e le varie proposte religiose sono vie, sostanzialmente equivalenti dal punto di vista del valore, mediante le quali gli esseri umani vivono il loro rapporto con Dio. Il dialogo ha qui come scopo il confronto descrittivo e comunicativo tra prospettive che in partenza si riconoscono come relative.

Obiezioni e critiche
Le critiche che si possono fare a tali approcci sono altrettanto note. L’approccio esclusivista presuppone una sorta di monopolio di Cristo da parte della Chiesa, con conseguenze imperialistiche sia sul piano spirituale sia su quello politico, ampiamente documentate dalla storia. Quello inclusivista tende a considerare la fede cristiana un quadro di pensiero, "annettendosi" poi gli elementi ritenuti positivi nell’esperienza altrui, sicché un bravo buddhista non è più realmente tale, ma è un cristiano che non sa di esserlo; l’altro non è preso sul serio nella sua alterità. L’orizzonte pluralista tende a relativizzare la serietà della nozione di verità e dunque, contro le sue stesse intenzioni, ad abbassare notevolmente il profilo del dialogo; esso, poi, rischia di non prendere sul serio il modo in cui diverse religioni comprendono se stesse; per molti aspetti esso appare una versione para-religiosa piuttosto acritica del paradigma concettuale postmoderno, che di fatto intende aggirare il dibattito sulla verità (religiosa, filosofica, etica, ma anche scientifica).

Considerazioni personali
Personalmente sono convinto che lo stato attuale della discussione non consenta di elaborare un modello teologico che prenda sul serio le istanze delle religioni (quali, oltretutto? Quelle monoteiste, come spesso propongono i pluralisti? E perché solo esse?) e al tempo stesso renda ragione della radicalità con la quale il Nuovo Testamento presenta la figura di Gesù. Qui di seguito tenterò di proporre alcune linee di un possibile approccio cristiano al tema della verità, consapevole dei suoi limiti, ma anche delle sue potenzialità.

Risposta in quattro tempi
La ricerca della verità ruota, secondo il Nuovo Testamento, intorno alla figura di Gesù. Dopo Pasqua e Pentecoste, la verità, cioè il Nome di Dio, non è separabile dal Nome di Cristo testimoniato dalla Scrittura.

Cristo non coincide con il cristianesimo, ma lo trascende e, anzi, gli sta di fronte come il Giudice. L’approccio inclusivista concede ancora troppo alla centralità del cristianesimo. Le chiese e i cristiani devono riconoscere che Cristo è di fronte a loro esattamente com’è di fronte agli altri. Fede è riconoscere questa situazione. Non c’è nessun monopolio cristiano di Cristo. Non è retorica dire che la testimonianza di Gandhi (consapevolmente o no, è irrilevante) può aiutare a capire Cristo tanto quanto quella di Francesco d’Assisi. Tuttavia la fede cristiana ritiene che la luce di Gandhi rifletta quella di Cristo. La verità che brilla di luce propria è una; le altre brillano di luce autentica, fulgida, ma riflessa. Che cosa questo possa significare per il dialogo con le religioni non lo si può dire a priori, occorre verificarlo nel dialogo stesso. Un cristianesimo interessato più a Cristo che a se stesso rappresenterebbe comunque, nel panorama dato, una discreta novità.

In ogni caso, Cristo si presenta anche come critico della religione, a partire da quella cristiana. L’attuale celebrazione di tutto ciò che è religioso sembra aver cancellato sia la critica teologica alla religione della teologia protestante del Novecento (Bonhoeffer, ma assai più radicalmente Barth), sia quella laica dall’Illuminismo in poi: soprattutto, cancella la critica di Gesù. Ciò, a mio avviso, non è un bene.

Postmodernità e questioni ricorrenti
Detto questo, tuttavia, occorre approfondire il discorso relativamente alla natura della verità di Dio in Gesù Cristo. Lo slogan postmoderno "la verità è violenta" si applica benissimo a quella del cristianesimo, ma non a Gesù. Gesù è un violentato, non un violento. Egli presenta una verità che strutturalmente non si impone, ma si offre, accettando la debolezza caratteristica di chi, appunto, si dà. La tragedia del cristianesimo è che la verità non violenta e che si dona è diventata ideologia totalitaria che si impone, per via militare, ideologica, più spesso in una combinazione di entrambe. Occorre ribadire che il carattere aperto e non violento della verità dì Gesù non è una caratteristica, per così dire, "etica", ma ontologica. Il modo di essere di Dio, cioè, non appartiene all’orizzonte della necessità: abbiamo imparato che il mondo va avanti anche senza Dio, benché la cattiva apologetica cristiana si affanni a tentare di dimostrare il contrario. Dio non è necessario, non perché sia "superfluo" (cioè meno che necessario), ma perché è "più che necessario" (E. Jüngel), cioè gratuito. La verità di Dio trova la propria parabola nella verità dell’arte, o in quella dell’amore: si può sopravvivere e in un certo senso anche vivere, senza Mozart e senza l’amore, ma l’uno e l’altro sono un dito puntato verso qualcosa che non "serve", ma che è infinitamente (nel senso stretto del termine) più originario di tutto ciò che "serve" (religione compresa, sia detto per inciso). La vita, la morte e la risurrezione di Gesù sono il venire a parola di questa verità. Il cristianesimo crede di conoscerla, ma si sbaglia. Deve ancora ascoltarla. Il dialogo con le religioni, per la fede, è uno dei luoghi nei quali ci si pone in ascolto del Gesù del Nuovo Testamento, altro, davvero totalmente altro, da noi. Ma perché proprio le religioni dovrebbero aiutarci in questa ricerca? Qui vale la risposta (dialogica) del rabbino, al quale chiedevano perché gli ebrei rispondessero alle domande con altre domande: "E perché no?".

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* Fulvio Ferrario è docente di teologia sistematica,
Facoltà valdese di teologia, Roma
(tratto da ECO. Evangelici Cattolici Ortodossi, n. 4/52, p. 17)

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