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Il martirio può diventare una sorta di suicidio?

San Sebastiano pittore caravaggesco

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 05/03/15

Il biblista Manicardi, vicepriore di Bose: il martire sa di correre un rischio ma non cerca la morte

«Non mi muovo dalla Libia. Sono pronto al martirio, che mi taglino pure la testa», diceva qualche settimana fa monsignore Giovanni Innocenzo Martinelli, alludendo al pericolo di persecuzioni da parte dei miliziani dello Stato Islamico (Corriere della Sera, 17 febbraio).  

Pochi giorni prima, il 12 febbraio, 21 cristiani copti sono stati giustiziati sulle rive del Mediterraneo, in una località non meglio precisata della costa libica, da un gruppo di fanatici legati all'Isis. Anche in questo caso siamo di fronte ad un vero e proprio martirio di persone che avevano come unica colpa quella di professare una fede non-musulmana (Avvenire, 12 febbraio).  

Scriveva la Civiltà Cattolica (Quaderno N°3712 del 05/03/2005): «il martirio cristiano richiede il riferimento chiaro ed esplicito a Gesù e al Vangelo», la morte «non dev’essere né cercata né provocata, ma subìta senza resistenza e perdonando i carnefici». Allora i cristiani, sono votati al martirio? Monsignor Martinelli, dunque, sta facendo semplicemente il suo "dovere"? Aleteia ne ha discusso con uno dei maggiori esperti del martirio, il biblista padre Luciano Manicardi, vicepriore della Comunità Monastica di Bose. 

STRUTTURA TESTIMONIALE DELLA FEDE CRISTIANA
«"Martirio" – premette Manicardi – è parola che deriva dal greco martyría, che significa "testimonianza". E all'interno della testimonianza di fede a Cristo e al Vangelo va collocato e compreso anche il fenomeno del martirio. Possiamo dire che il martirio esprime la struttura testimoniale della fede cristiana la quale ne costituisce il nucleo portante e l'orizzonte di comprensione. Ora, tutti i cristiani sono costituiti testimoni di Cristo e sono chiamati a rendere tale testimonianza nelle situazioni storiche, politiche, culturali in cui si trovano a vivere». 

COSA DICE IL CATECHISMO
Il Catechismo della Chiesa Cattolica è esplicito: "Il martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede; il martire è un testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo, morto e risorto, al quale è unito dalla carità. Rende testimonianza alla verità della fede e della dottrina cristiana" (2473). Il martirio è cioè compimento del Vangelo, di quella sequela di Cristo che comporta necessariamente anche "persecuzioni" (Mc 10,30). Se “il discepolo non è da più del suo maestro” (cf. Mt 10,24), anche i discepoli dovranno aspettarsi, come il loro maestro e Signore Gesù Cristo, ostilità e inimicizie nel mondo, eventualmente anche fino alla morte violenta. Il martirio di Policarpo di Smirne (167 d.C.) è definito testimonianza "secondo il Vangelo" (Martirio di Policarpo I,1): il martirio realizza la forma del Vangelo nell'intera vita di una persona, fin nella morte, anzi vi realizza la figura del Cristo stesso. In effetti, fin dall'antichità cristiana il martirio è stato visto come apice dell'imitazione di Cristo. 

COMPIMENTO DELLA VITA CRISTIANA
Compimento del Vangelo, prosegue padre Manicardi, «il martirio è percepito anche come compimento della vita cristiana dischiusa dal battesimo. Immerso con il battesimo nella morte di Cristo per vivere una vita nuova da conrisorto con Cristo, il neobattezzato ha rivestito Cristo e si dispone a seguirlo, a vivere come lui ha vissuto, disponendosi anche a perdere la vita a causa sua. Il dare la vita per Cristo è una prospettiva possibile dischiusa dall'appartenenza a Cristo sigillata con il battesimo». 

"BATTESIMO DI SANGUE"
Nella tradizione cristiana, poi, il martirio è stato spesso colto come battesimo esso stesso, battesimo non rituale, ma esistenziale, nel sangue: "Soltanto il battesimo di sangue ci rende più puri del battesimo di acqua. Non sono io ad avere la presunzione di affermarlo, ma è la Scrittura quando il Signore dice ai suoi discepoli: 'Devo essere battezzato con un battesimo; e come mi sento angosciato finché non sia compiuto' (Lc 12,50). Tu vedi che egli ha chiamato battesimo l’effusione del proprio sangue, e, se non mi inganno, questo battesimo ha più forza del battesimo di acqua" (Origene, Sul libro dei Giudici, Omelia 7,2). E Tertulliano: "Il martirio è un battesimo, che sostituisce il lavacro se non lo si è ricevuto e che lo rinnova se lo si è preso" (De Baptismo 16, 1-2). 

LA VITA "PER CRISTO" E "IN CRISTO"
Dunque, il martirio, sentenzia il biblista, «è una confessione di fede fatta con il sangue. Il fondamento della sua possibilità è in Gesù il Cristo: la fede in Cristo e il vivere come Gesù ha vissuto. La vita per Cristo, con Cristo e in Cristo apre dunque la possibilità che la sequela si possa spingere fino al dono della vita: non è una necessità, non è un dovere, non è un destino, ma è una possibilità che la fede, la libertà e l'amore del credente possono far diventare realtà in determinate situazioni storiche». 

PER IL "VATICANO II" E' UNA SUPREMA PROVA DI CARITA' 
Il Concilio Vaticano II si esprime molto chiaramente su questo: "il martirio, col quale il discepolo è reso simile al maestro che liberamente accetta la morte per la salvezza del mondo, e a lui si conforma nella effusione del sangue, è stimato dalla chiesa come il dono eccezionale e la suprema prova della carità. Che se a pochi il martirio è concesso, devono però tutti essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini,e a seguirlo sulla via della croce attraverso le persecuzioni, che non mancano mai alla chiesa" (Lumen gentium 42). 

NESSUN OBBLIGO, SOLO L'ESEMPIO DI CRISTO
Questi riferimenti giustificano dichiarazione anche molto plateali come quelle di Martinelli. «Il martirio ha tutto il suo valore in quanto atto di libertà della persona – precisa padre Manicardi – non vi è dunque nessuna legge o norma o obbligo, ma solo l'esempio fondante di Cristo e della sua testimonianza giunta fino alla morte di croce che interpella la fede e la coscienza di ogni singolo cristiano. E c'è la radicalità delle esigenze evangeliche che ispira la libertà di un uomo o di una donna di spingere la testimonianza di fede e di amore fino al rischio della vita e alla perdita della vita stessa». 

"AUTENTICI TESTIMONI DEL Vangelo"
Nel caso della Libia, «mi sembrano significative le parole pronunciate da papa Francesco il 2 marzo scorso in occasione dell'udienza al CERNA, la Conferenza Episcopale Regionale del Nord Africa, in cui ha lodato "il coraggio, la fedeltà e la perseveranza dei vescovi, dei preti, dei religiosi e dei laici cristiani in Libia" riconoscendoli come "autentici testimoni del Vangelo" e invitandoli a proseguire "gli sforzi per contribuire alla pace e alla riconciliazione nella regione"». 

IL "CONSIGLIO" DI PAPA FRANCESCO
Francesco ringrazia chi ha deciso liberamente di rimanere pur conscio del pericolo – e qui possiamo pensare alle parole evangeliche di monsignor, Martinelli, vescovo di Tripoli, che si dichiara pronto a morire se questo sarà il prezzo che lui, come pastore, dovrà pagare per stare vicino alla comunità dei cristiani presenti in Libia – «ma certo non biasima chi avesse deciso di rientrare. E l'incoraggiamento che papa Francesco dà – osserva il vicepriore di Bose – è verso l'opera di pace e di riconciliazione, non certo verso la morte. Ovvero, l'incoraggiamento è verso quella testimonianza cristiana che ha carattere pubblico, è esposizione di sé davanti al mondo, e diventa affermazione della propria fede anche di fronte alle minacce più estreme». 

PORTATORE DI UN GIUDIZIO
Forse, la Chiesa, aggiunge Manicardi, «di fronte al testimone che accetta liberamente di rimanere in luoghi e situazioni di grave pericolo per la propria vita, più che da insegnare, ha da ascoltare e imparare. Perché il martire è anche portatore di un giudizio: certamente nei confronti di un mondo ingiusto che emargina e osteggia e mette a morte il giusto, ma anche nei confronti della chiesa che spesso è lontana dalla radicalità evangelica e che, a volte, arriva lei stessa a provocare sofferenze tra i propri figli». 

AMMONIMENTO PER I CRISTIANI "TIEPIDI"
Se etimologicamente il termine mártys (testimone) rinvia a una radice che tra i suoi significati ha anche quello di ricordare, «il martire è colui che, come testimone di Cristo, con il dono della sua vita è epifania del Christus totus e memoria della radicalità evangelica nell'oggi.
Dunque il martire è dono, ma anche giudizio per la Chiesa, e ammonimento per comunità cristiane spesso tiepide. Il martirio, che è testimonianza del Cristo che è venuto nella carne e del Cristo che verrà nella gloria, è profezia. E il profeta, e dunque il martire come profeta, è lui insegnamento per tutti gli altri cristiani».

UN ISTINTO SUICIDA NON AVALLATO DALLA CHIESA
Ma se da un lato c'è questa "apertura" della Chiesa al martirio, dall'altro non potrebbe passare un messaggio secondo cui la Chiesa avalli una sorta di "suicidio" di queste persone disposte a perdere la propria vita? «È innegabile – evidenzia ancora il biblista – che il fenomeno del martirio cristiano sia connotato da un'intrinseca ambivalenza. La disponibilità a seguire l'esempio di Cristo fino a perdere la vita nasce certamente dalla fede ma può arrivare ad assimilare in sé un cupio dissolvi, un desiderio di morte, un eroismo autoimmolatorio, un compiacimento nel sacrificio di sé, quasi un istinto suicida che tuttavia non trova avallo né nel Vangelo né nella tradizione cristiana né nell'insegnamento della Chiesa». 

COSA PASSA NELLA MENTE DI UN MARTIRE?
Non è nemmeno possibile sapere (e non è sensato cercare di sapere) cosa pensi o senta il martire nel momento decisivo. «Una simile lettura psicologica del martirio sarebbe fuorviante e perversa. Il martirio è morte inferta da altri: il martire non cerca la morte, come il suicida, ma vive la fede in Cristo e l'amore per Cristo e come Cristo stesso, cioè "fino alla fine" (Giovanni 13,1)». 

"NON CERCA LA MORTE"
E spesso il martire vive l'amore per i poveri, difende la giustizia calpestata, si oppone alle ingiustizie e alle sopraffazioni dei potenti e prepotenti che umiliano e schiavizzano, «cosciente che questo potrebbe, sottolineo il potrebbe, anche costargli la vita. Il martire non cerca la morte – spiega il biblista – ma il martirio è morte che può, sottolineo il può, intervenire se egli sceglie di rimanere in situazioni precarie o pericolose come situazioni di guerra per condividere fino in fondo la condizione di chi da quel luogo non può andarsene, per amore di quella gente e per amore del Cristo che si è identificato con i poveri (cf. Mt 25,31-46), oppure cura e serve i fratelli malati di malattie contagiose che potrebbero (sottolineo il potrebbero) anche costargli il contagio e la morte. Il martire non cerca la morte ma la vita degli altri e la vita in Cristo». 

L'ESEMPIO DI GESU'
Del resto, alla radice evangelica del martirio vi è l'esempio di Gesù che, senza aver cercato la morte (anzi, secondo Giovanni 7,1 Gesù "non voleva più percorrere la Giudea perché i Giudei cercavano di ucciderlo"), «a un certo punto, non si oppone più e accetta liberamente l'arresto, il processo e la condanna a morte e va consapevolmente alla morte mostrando che l'amore può essere più forte della morte. Mostrando che ha una ragione per vivere colui che ha anche una ragione per morire. Il martire non muore solo per Gesù ma come Gesù». 

IL "VERO" MARTIRIO VOLONTARIO
Certamente, ragiona Manicardi, «si inserirebbe a questo punto una riflessione sul martirio volontario, fenomeno noto alle tre grandi religioni monoteiste, ma oggi sostanzialmente sequestrato dal fanatismo di matrice islamica e deturpato e pervertito dai fenomeni dei terroristi che si immolano uccidendo altre persone e che rivendicano per le loro azioni la qualifica di martirio. In uno spazio cristiano, il martirio, che pure nel passato ha conosciuto collusioni con la violenza inferta come nel caso delle crociate, è tale se non oppone violenza a violenza». 

LE TRE LEZIONI DI FRATE DE CHERGE
Le parole di frate Christian de Chergé, monaco trappista, priore della trappa di Tibhirine, ucciso con sui suoi confratelli nel 1996, esprimono bene alcuni aspetti del martirio:
– la decisione volontaria, libera, di condividere radicalmente la condizione dei fratelli musulmani di Algeria anch'essi vittime della violenza,
– la coscienza di collocare questa libera solidarietà che potrebbe rivelarsi estrema e senza ritorno, in una vita già radicalmente donata a Dio e al paese dell'Algeria,
– l'indesiderabile del martirio stesso, che sempre comporta un atto violento, ingiusto, e nel caso di frate Christian, un gesto che avrebbe accomunato tutto un paese (l'Algeria) e tutta una religione (l'Islam) indistintamente, nell'accusa di barbarie. Nessun eroismo autoimmolatorio, nessun cupio dissolvi, ma la decisione di essere fedele alla propria fede fino in fondo e di vivere radicalmente l'amore per il Signore e per il popolo algerino. 

IL TESTAMENTO SPIRITUALE DEL MARTIRE PERFETTO
Questa lucidità e questa volontà, dice il vicepriore di Bose, «non hanno nulla a che vedere con il suicidio», come appare con chiarezza da queste parole tratte dal testamento spirituale di fra' Christian:  "Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, mi piacerebbe che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era 'donata' a Dio e a quel paese … Mi piacerebbe, se venisse il momento, di avere quello sprazzo di lucidità che mi permetterebbe di sollecitare il perdono di Dio e quello di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse ferito. Non posso auspicare una morte così. Mi sembra importante dichiararlo. Infatti non vedo come potrei rallegrarmi del fatto che un popolo che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio". 

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