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Desierto en Marruecos – it

© makunin

padre Carlos Padilla - pubblicato il 04/03/15

Quello che facciamo parla di ciò che siamo, ma siamo molto di più

Nella nostra vita abbiamo degli angeli che ci fanno scoprire il volto di Gesù. In Quaresima pensiamo a quelle persone che Dio ha posto sulla nostra strada. Io sono per loro cammino. Essi sono per me cammino. Ci aiutiamo a vivere.

Chi aiuto a camminare nella fede? Chi mi aiuta?

A volte sembra come se i cristiani si salvassero da soli. Pregano da soli. Camminano da soli. Non esiste un cristiano solo. Ce ne sono sempre due. Procediamo come i pellegrini di Emmaus cercando senso per la vita. La Chiesa è così. Abbiamo bisogno gli uni degli altri per vivere le nostre giornate.

Il deserto è un'immagine dura e suggestiva allo stesso tempo. Quaranta giorni di Quaresima, l'attraversamento del deserto, un tempo di grazia e di conversione. Attraversare il deserto presuppone il fatto di uscire dalla terra promessa per rientrare. Allontanarci per vedere in modo più chiaro.

Giorni fa leggevo una riflessione su San Giovanni Battista: “Bisogna andare nel deserto, fuori dalla terra promessa, per rientrarvi come un popolo convertito e perdonato da Dio.

Giovanni si sente chiamato a invitare tutti ad andare nel deserto per vivere una conversione radicale, essere purificati nelle acque del Giordano e, una volta ricevuto il perdono, poter rientrare nella terra promessa per accogliere l'imminente arrivo di Dio” (1).

Uscire dalla terra promessa per poter essere perdonati. Uscire per chiedere perdono guardando la nostra debolezza con un po' di distanza. Decentrarci nella periferia, come diceva papa Francesco, per vedere chiaramente.

Non guardare le cose dal centro perché l'unico centro è Gesù Cristo. Lo sguardo ampio e chiaro che si ha solo quando non si guardano le cose dal centro ma dalle periferie è di grande aiuto.

Quando ci allontaniamo dalla valle salendo sulla montagna si vede meglio la nostra vita per com'è. È ciò che accade in Quaresima. Usciamo da noi stessi per vedere meglio la nostra realtà.

Prendiamo un po' di distanza per valutare quali cose sono al loro posto e quali vanno migliorate. Ci togliamo le scarpe per rientrare scalzi nella terra promessa, alla presenza di Gesù. Bisogna cambiare il cuore e iniziare un nuovo cammino.

Mi commuove pensare al deserto. Non è un luogo attraente. Ha caldo e freddo estremi. C'è solitudine e una persona lì si trova sola con se stessa.

Può essere allora che la Quaresima abbia a che vedere con la verità della mia vita. Chi sono io? Dall'esterno si vede un po' meglio. Viviamo circondati da tante sicurezze e protezioni.

Ci spaventa confrontarci con la nostra originalità. È come se non riuscissimo a comprenderci senza tutti gli ornamenti che riempiono la nostra corazza. Ci rivestiamo del mondo e ci allontaniamo da Dio.

Per questo andare nel deserto è lasciare tutto ciò che ci definisce per vivere nudi davanti a Dio. L'immagine della nudità è forte. Chi sono io senza vestiti? E i miei titoli, e il mio nome?

Giorni fa una persona commentava: “Non importa cosa fai. Ciò che conta è quello che sei”. È ovvio, ma non lo viviamo.

Quasi sempre viviamo colpiti da ciò che l'altro fa, dai suoi successi, da quello che ha o che mostra. Ciò che è naturale, senza trucco, non richiama tanto l'attenzione.

Un volto senza trucco non è lo stesso, è comune. Oggi una fotografia si può sistemare per sembrare meglio di ciò che siamo. Senza rughe, molto più giovani e attraenti. Gli ornamenti aiutano, sistemano, dissimulano la verità.

La semplicità di una vita come tutte le altre sembra non brillare, non c'è colore. Forse non brilla o forse sono io che non so vedere il suo scintillio nascosto?

Non siamo quello che facciamo. Siamo ciò che siamo dentro di noi, la nostra verità più profonda. È certo che quello che facciamo parla di ciò che siamo, ma siamo molto di più.

Le nostre azioni dicono qualcosa della mia verità, ma non tutta. Alla fin fine, al momento della morte saremo soli e nudi davanti a Dio. Senza poter fare nient'altro. Semplicemente essendo quelli che siamo. Poveri, spezzati, esauriti.

Voglio spogliarmi di tutto. Del mio rango, della mia posizione, del mio nome, della mia storia. Di tutto. Il pudore ci copre e ci protegge. Non vogliamo apparire nella nostra verità davanti a tutti.

È troppo violento e scomodo che gli altri sappiamo come siamo. Ci sentiremmo giudicati perché già noi ci siamo giudicati in precedenza e non ci siamo trovati accettabili.

I vestiti possono cambiare tutto. Almeno per un po' migliorano. O un'immagine in una rete sociale nella quale appaio meglio di ciò che sono. Perché sappiano chi sono. Attraverso le foto che riflettono la mia vita.

Sono le mie foto. Sono le mie azioni. Sono gli amici che mi seguono. Sono i miei successi e le mie glorie. È vero. Sono tutto questo. Ma sono anche i miei difetti, i miei limiti, la mia malattia, le mie cadute, la mia solitudine, la mia amarezza, la mia tentazione, le mie stranezze.

Sono tutto allo stesso tempo. Un po' di ogni cosa. Dio mi porta nel deserto per svuotarmi. Di cosa mi devo svuotare per potermi guardare nella mia verità?

La Quaresima ci porta nel deserto, e lì ci porta a staccarci da ciò che è di troppo.

Diceva padre José Kentenich: “Devo distaccarmi dal mondo. Se non ho raggiunto questo distacco in modo permanente, il cuore mi dirà sempre ciò che si trova in lui, quello che è mondano e non quello che è divino”.

Quanto ci costa rompere con ciò che ci rallegra, che ci dà vita, che ci intrattiene! Perché Dio vuole che rompiamo con il mondo che Egli stesso ha creato?

Non credo che dobbiamo rompere con tutto. Non è così, ma è vero che spesso viviamo limitati, legati, perché il mondo ci pesa. Perdiamo libertà interiore per donarci, per amare di più, per avere tempo per gli altri.

Portiamo il mondo legato all'anima e non ci lascia crescere. Viviamo rovesciati nella vita, senza interiorità, senza silenzio, senza pace, correndo da una parte all'altra.

Ci leghiamo con tutte le fibre del nostro essere a ciò che ci piace, a ciò di cui abbiamo bisogno, e può essere che questo essere legati ci limiti nella nostra corsa verso Dio.

L'idea non è quella di rompere tanto per rompere. Si tratta di guardare alla nostra vita con sincerità e di chiederci: “A che sono legato? Cosa mi impedisce di correre?”

Se vediamo che ci sono cose che ci legano e ci tolgono il tempo per i nostri cari, per la nostra missione, per la vocazione che Dio ci ha dato, allora dovremo rompere.

Non rifiutiamo il mondo, lo amiamo, ma rinunciamo a tutto ciò che non ci fa avanzare, maturare ed essere più santi. Se vediamo aree in cui siamo deboli e schiavi, allora dovremo rompere. Rinunciare e sacrificarci.

Ci addolora doverci sacrificare quando ce lo chiede la Chiesa. Non c'è carne più appetibile di quella di un venerdì di Quaresima. Quando dobbiamo digiunare, tutto ci attira di più. In generale, il sacrificio costa sempre.

Rinuncia, sacrificio, digiuno, silenzio, sono parole che suonano dure, fredde, grigie come quella cenere di un mercoledì che ci mettono sulla testa il primo giorno di Quaresima. Ce la mettono per ricordarci che siamo poveri, piccoli, deboli, peccatori.

Ci aiuta a volgere il volto a Dio. A chiedergli di curarci e di sollevarci. Di abbracciarci pieno di misericordia. Oggi ci chiediamo cosa dobbiamo tagliare, dove Gesù vuole che siamo più liberi, più suoi, più di coloro che amiamo.

Siamo così attaccati a noi stessi, ai nostri progetti e ai nostri desideri, da non essere liberi di amare, di vivere, di donarci. La Quaresima ci invita al distacco. Vogliamo decentrarci e centrarci solo in Cristo, anche se questo ci sembra totalmente impossibile.

Vorrei pregare come questa persona: “Caro Gesù, credo in te e confido in te. Voglio liberarmi dalle mie paure, dalle mie catene che mi fanno vivere insicura e attaccata ai miei progetti. Voglio vivere la santa indifferenza. Voglio che tu faccia di me uno strumento secondo la tua volontà.

Ti prego di darmi la grazia di desiderare ciò che temo, per essere libera e potermi donare totamente a te. Gesù, aiutami a non chiedere di 'non soffrire', ma a chiedere di 'saper soffrire' secondo la tua volontà”.

Quanto è difficile distaccarci dai nostri desideri! Non vogliamo soffrire. Non vogliamo la croce. Mettiamo il nostro io in primo piano. Noi siamo al centro. Sogniamo la vita, la pace, la liberazione totale.

Oggi guardiamo a Maria. Ella è stata la donna totalmente padrona di sé, libera, donata interamente a Dio, distaccata dal proprio io. In lei non c'è divisione né rottura. È armonia. È la donna integra. I suoi desideri si uniscono a quelli di Dio. Non c'è rottura. Sono una cosa sola.

In lei regna Dio, non il suo io, non il suo egoismo. Non desidera soffrire. È umana. Desidera amare ed essere amata. Come tutti noi. Ma in lei abita Dio. In lei Dio decide e ama.

In lei Dio si dà agli uomini nella sua donazione generosa e silenziosa. Nel suo sì costante e fedele: “Si compia in me secondo la tua parola”. Magari la Quaresima cambiasse il nostro cuore! Guardiamo a Maria. Tutti abbiamo bisogno della conversione.

Il nostro cuore si è indurito. Ascoltiamo: “Convertitevi e credete al Vangelo”. Abbiamo bisogno che questi giorni di Quaresima ci cambino il cuore. La cenere ce lo ha ricordato. Abbiamo bisogno che Dio ci mette al nostro posto.

Proviamo la stessa impotenza che Egli ha vissuto nel deserto. L'impotenza di un amore che vuole donare la vita. Vogliamo che Dio regni in noi, perché solo così impareremo a soffrire con Lui, a vivere con Lui, a morire con Lui.

Abbiamo bisogno di un'acqua pura che plachi la sete del nostro deserto, che ci riempia il cuore ferito e pieno di nostalgia. Abbiamo bisogno di vivere vicino a Gesù nel deserto, per essere forti nella tentazione, per confidare nel fatto che Egli sarà con noi tutti i giorni della nostra vita.

(1) José Antonio Pagola, Jesús, aproximación histórica.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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