Numeri gonfiati, storie commoventi, ma gli italiani sono sempre meno convinti di questa opzione
L’offensiva mediatica e politica a favore dell’eutanasia in corso in Italia – che vede marciare compatto un organizzato schieramento che va da Le Iene al quotidiano LaRepubblica, dal mondo radicale a quello di taluni cosiddetti vip, molto abili a maneggiare gli slogan – è sotto gli occhi di tutti. Decisamente meno visibili, quando non del tutto occulte, risultano invece essere le strategie costantemente impiegate per orientare il dibattito, e che vanno sempre più assumendo gli avvilenti contorni di una propaganda. Per questo è importante isolare ed esaminare da vicino, sia pure in estrema sintesi, gli argomenti – che poi, in realtà, sono sempre gli stessi da qualche anno – proposti e riproposti per creare consenso attorno alla “dolce morte” benché assai fallaci, per non dire palesemente falsi e finalizzati non già a far ragionare la gente sul tema oggettivamente delicato del fine vita, bensì a smerciare ragionamenti preconfezionati, per così dire, e quindi manipolatori.
La prima tattica è quella dei sondaggi: non c’è vera campagna a favore dell’eutanasia, fateci caso, senza massiccio ricorso ad indagini demoscopiche. Peccato che detti sondaggi da un lato siano esaltati come dogma e, dall’altro, presentati in modo parziale. Non è corretto, per esempio, scrivere – come ha fatto nei giorni scorsi il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari – che «secondo l’ultimo Rapporto Italia dell’Eurispes il 64,6% degli italiani si dichiara favorevole all’eutanasia» (LaRepubblica, 26.2.2015). Premesso che ogni sondaggio sul tema è difatti da prendersi con massima cautela per via delle divergenze, talvolta perfino fra gli stessi medici, sulla definizione di eutanasia, con una rapidissima verifica si scopre come «secondo l’ultimo Rapporto Italia» i favorevoli all’eutanasia siano in realtà il 58,9%, cioè il 5,7% in meno rispetto al 2013 (64,6%) ed oltre il 9% in meno – sempre attenendosi ai dati Eurispes – al 68% del 2007. La vera notizia è quindi che gli Italiani, anno dopo anno, sono sempre più contrari all’eutanasia: ma questo, guarda caso, nessuno lo dice.
Una seconda strategia è quella di puntare il dito sulla piaga della clandestinità. E’ un vecchio trucco già usato con l’aborto: negli anni precedenti la legge si diceva fossero da 1,5 a 3 milioni (Corriere della Sera, 10.9.1976) oppure addirittura 4 milioni (L’Espresso, 9.4.1967), poi si scoprì che erano stime ingigantite in modo esponenziale, talvolta persino del 4.000%. E lo stesso accade adesso con l’eutanasia: da un lato si intervistano medici che riferiscono fatti curiosamente non verificabili e, dall’altro, si dice che in Italia i casi clandestini di “dolce morte” sarebbero addirittura 20.000, numero presentato come esito di una ricerca dell’Istituto Mario Negri. Se si va sul sito degli autori della ricerca, opera del Gruppo Italiano per la Valutazione degli interventi in Terapia Intensiva, si trova però una netta presa di distanza da siffatta interpretazione della stessa. «I dati di quella importante ricerca – si legge – sono stati riportati in maniera distorta e scorretta» e non può che essere «frutto di ignoranza, di superficialità o peggio di malafede porre sullo stesso piano l’eutanasia e la desistenza da cure inappropriate per eccesso, come purtroppo si è visto fare».
Un terzo argomento, collegato al precedente, è quello di quanti sostengono che già oggi, colpevolmente ignorate dallo Stato, oltre 1.000 persone malate l’anno si tolgono la vita ed altrettante tentano di farlo. Perché non offrire a costoro – è il ragionamento dei promotori dell’eutanasia legale – che comunque sono sofferenti e stanchi di vivere, strutture e reparti dove poter morire con dignità? A parte che fra il morire e l’essere uccisi, fino a prova contraria, sussiste un’abissale differenza pratica, etica e giuridica, c’è un aspetto che va ancora una volta tenuto presente: la fonte dei dati, ossia l’