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Ricordo di un’intervista al Papa mai fatta

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Luis Badilla - Terre D'America - pubblicato il 25/02/15

“Sorpresa, fu lui a farmi un gran numero di domande. Era molto interessato alla persona che aveva davanti”
Incontrai a Roma l’arcivescovo di Buenos Aires, cardinale Jorge Mario Bergoglio, nell’autunno del 2005. Lui, alla mia richiesta d’intervista aveva risposto al telefono con grande affabilità ma al tempo stesso con fermezza. “Preferirei evitare l’intervista ma ci possiamo incontrare comunque per parlare”, fu la sua risposta. L’appuntamento fu fissato in un convitto per il clero vicino al Vaticano dove il cardinale doveva incontrare un confratello vescovo. Arrivando la prima sorpresa fu singolare: seppure io ero in anticipo di 15 minuti il cardinale già mi aspettava nella hall leggendo un piccolo libro, forse di preghiere. Il saluto, con una stretta di mano, fu cordiale e affettuoso. Il suo sorriso immediato e trasparente mi trasmise subito fiducia ed entusiasmo al punto che, per qualche istante, ho pensato che avrebbe concesso l’intervista.
Tornai a vivere questo saluto caldo e affettuoso, ma questa volta offertomi da Papa Francesco, la mattina del 25 dicembre 2014, dopo il suo Messaggio Urbi et Orbi, a ridosso del finestrone della Loggia della Basilica dove poc’anzi aveva implorato la pace per il mondo. Quella mattina non ho potuto evitare il ricordo del 2005 anche se le circostanze erano del tutto differenti, ma ebbi una sensazione insolita che mi fece pensare: cambia la missione alla quale sei chiamato ma non cambia l’uomo. Pensai subito a quanto spesso mi dice un amico ebreo che ama profondamente Papa Francesco: “E’ un grande Papa e un grande sacerdote perché è un grande uomo”.
Ricordo che nel nostro incontro del 2005, che si prolungò per quasi mezz’ora, il cardinale subito dopo i saluti, mentre cercavamo di avvicinare due poltroncine, è tornato a precisare con dolcezza che non desiderava rilasciare nessun’intervista. Poi, seconda sorpresa, cominciò a farmi un gran numero di domande (raramente poste da altri intervistati in molti anni di servizio per il Programma Ispanoamericano di Radio Vaticana). Era molto interessato alla persona che aveva davanti e mi ha chiesto, per esempio, da quale Paese latinoamericano provenivo, perché stavo a Roma, se ero sposato e quanti figli avevo, se i miei genitori erano vivi, come era il mio lavoro … Ascoltò le mie risposte, spesso laconiche, con interesse e partecipazione al punto di domandarmi a quale età e perché erano morti i miei genitori o come si svolgeva specificamente il mio lavoro. Era evidente che le mie risposte non era rimaste nell’aria. S’interessò anche per la mia salute scherzando con la mia magrezza per poi aggiungere: ma sai molte persone mingherline sono dei falsi magri. Io stesso sono stato per molti anni un falso magro, aggiunse sorridendo.
Ad un certo punto guardandomi quasi con severità mi chiese: ma Lei quali domande mi voleva fare?
Ricordo di aver risposto subito: diverse domande Eminenza, ma soprattutto una in particolare … Vorrei che Lei mi spiegasse una sua espressione che mi ha sempre affascinato: “Il pastore deve avere l’odore delle sue pecore!” La sua risposta immediata è stata: E’ una cosa che dico spesso ai miei sacerdoti perché loro devono ricordare in ogni istante che il Signore ha dato loro la missione di custodire e guidare il gregge. Le pecore si fidano e si lasciano guidare solo se riconoscono nel proprio pastore ciò che cercano e di cui hanno bisogno. Il 13 marzo 2013, in un breve commento per la Radio Vaticana, due ore dopo l’elezione di Papa Francesco, ricordai alla collega che m’intervistava questo momento e la spiegazione di questo suo pensiero, che poi, come è noto, lui stesso ha ribadito e spiegato a più riprese.
Mentre parlavo con il cardinale Bergoglio, quasi dieci anni fa – ed ero certo che parlava a me, persona non conosciuta e senza nessuna importanza né titolo – lo faceva con trasporto e partecipazione. Il suo sguardo, vivace e penetrante, accompagnava il movimento delle sue mani, fortemente espressive. Ascoltandolo avevo una sensazione precisa e mi dicevo: parla a me e desidera farsi ascoltare perché convinto dell’importanza di quanto sta dicendo. Rimasi molto colpito poiché raramente mi era capitato di parlare con una persona che facesse ogni sforzo possibile per farsi ascoltare; una persona che guardandoti negli occhi ti dedica interamente il suo tempo, seppure breve, con l’intento di comunicare veramente, cercando nell’interlocutore riscontro e reazioni …
Dopo aver parlato anche su ciò che chiamò “idolatrie del nostro tempo”, pronunciò una frase per me molto significativa: “C’è una grande bisogno di rinnovare la fede”. Alla mia richiesta sul senso ultimo di questa frase, la sua risposta fu perentoria: “Tornare a Gesù, come dice Paolo, ‘ricordati di Cristo’. E’ lui che regna su ogni cosa e lo fa dalla Croce. Se togliamo la Croce nulla ha senso”.
Mentre scandiva queste parole con grande partecipazione, dalla tasca della giacca tirò fuori una piccola croce di legno e depositandola nelle mie mani aggiunse: “Viene da Terra Santa”.

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