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167 anni di comunismo. Ma la Chiesa che ne pensa?

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Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 21/02/15
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Il 21 febbraio del 1848 a Londra vedeva la luce il “Manifesto del Partito Comunista” di Marx ed EngelsIl Manifesto del Partito Comunista fu scritto da Karl Marx e Friedrich Engels fra il 1847 e il 1848 e pubblicato a Londra il 21 febbraio del 1848. La prima e parziale traduzione italiana fu pubblicata nel 1889. E' stato un documento fondamentale per i movimenti di sinistra da quel momento fino almeno al 1989, anno della Caduta del Muro di Berlino e del crollo del comunismo sovietico. Ad oggi solo pochi paesi al mondo sono “comunisti” ed è in atto nei partiti che si sono ispirati a questa opera una profonda revisione, così come molti comunisti hanno scelto – già a partire dagli anni '70 – una “abiura” delle dottrine del socialismo scientifico. Tuttavia è indubbio che esso sia uno dei documenti politici più influenti della storia dell'umanità e una critica radicale al modello capitalistico tanto della prima industrializzazione, quanto contemporaneo.
 

La Chiesa Cattolica, con la Divini Redemptoris di Papa Pio XI – pubblicata cinque giorni dopo l’enciclica sul nazional-socialismo Mit brennender Sorge per evitare l’uso propagandistico della condanna dell’avversario da parte dell’uno come dell’altro regime – costituisce la più articolata analisi del fenomeno comunista da parte della Chiesa. I documenti sono letteralmente centinaia, e fra i più recenti spiccano l’istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede (allora presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger) Libertatis nuntius su alcuni aspetti della “teologia della liberazione”, del 1984, e i riferimenti al marxismo nell’enciclica Spe salvi, del 2007, di Benedetto XVI (Massimo Introvigne, 2009 sul sito del Cesnur).

Ma perché la Chiesa ha condannato il comunismo?

Nel XXI secolo papa Benedetto XVI, nell'enciclica Spe Salvi ha dichiarato: «Marx non ha solo mancato di ideare gli ordinamenti necessari per il nuovo mondo – di questi, infatti, non doveva più esserci bisogno. Che egli di ciò non dica nulla, è logica conseguenza della sua impostazione. Il suo errore sta più in profondità. Egli ha dimenticato che l'uomo rimane sempre uomo. Ha dimenticato l'uomo e ha dimenticato la sua libertà. Ha dimenticato che la libertà rimane sempre libertà, anche per il male. Credeva che, una volta messa a posto l'economia, tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo: l'uomo, infatti, non è solo il prodotto di condizioni economiche e non è possibile risanarlo solamente dall'esterno creando condizioni economiche favorevoli», aggiungendo che «Marx ha indicato con esattezza come realizzare il rovesciamento. Ma non ci ha detto come le cose avrebbero dovuto procedere dopo» (Wikipedia).

Spiega la Congregazione per la Dottrina della Fede, nel linguaggio filosofico rigoroso che è tipico del cardinale Ratzinger: “il pensiero di [Karl] Marx [1818-1883] costituisce una concezione totalizzante del mondo nella quale numerosi dati di osservazione e di analisi descrittiva sono integrati in una struttura filosofico-ideologica, che predetermina il significato e l’importanza relativa che si riconosce loro. Gli a priori ideologici sono presupposti alla lettura della realtà sociale. Così la dissociazione degli elementi eterogenei che compongono questo amalgama epistemologicamente ibrido diventa impossibile, per cui mentre si crede di accettare solo ciò che si presenta come un’analisi, si è trascinati ad accettare la stessa filosofia o ideologia” (Libertatis nuntius, n. 6). Per Marx la critica della religione è il presupposto di ogni critica: “la critica del cielo si trasforma nella critica della terra, la critica della teologia nella critica della politica” (Spe salvi, n. 20).

Ma i poveri ci sono eccome nella storia della Chiesa

'L'attenzione per i poveri è nel Vangelo, ed è nella tradizione della Chiesa, non è un'invenzione del comunismo e non bisogna ideologizzarla''. Così papa Bergoglio in un'intervista pubblicata nel libro 'Papa Francesco. Questa economia uccide' di Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi, ''Se ripetessi alcuni brani delle omelie dei primi Padri della Chiesa su come si debbano trattare i poveri, ci sarebbe qualcuno ad accusarmi che la mia è un'omelia marxista'', osserva il pontefice. '''Non è del tuo avere che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene. Poiché è quel che è dato in comune per l'uso di tutti, ciò che tu ti annetti'. Sono parole di sant'Ambrogio, servite a Papa Paolo VI per dire, nella 'Populorum progressio', che la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto''. ''Non possiamo più aspettare a risolvere le cause strutturali della povertà, per guarire le nostre società da una malattia che può solo portare verso nuove crisi. I mercati e la speculazione finanziaria non possono godere di un'autonomia assoluta'', afferma papa Francesco. ''La globalizzazione ha aiutato molte persone a sollevarsi dalla povertà, ma ne ha condannate tante altre a morire di fame. Questo sistema si mantiene con la cultura dello scarto. Quando al centro del sistema non c'è più l'uomo ma il denaro, gli uomini e le donne sono ridotti a semplici strumenti di un sistema sociale ed economico dominato da profondi squilibri. E così si 'scarta' quello che non serve a questa logica: è quell'atteggiamento che scarta i bambini e gli anziani, e che ora colpisce anche i giovani'', osserva Bergoglio. ''A volte mi chiedo: quale sarà il prossimo scarto? Dobbiamo fermarci in tempo'' (La Stampa, 11 gennaio).