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Da quanto tempo non ti confessi?

Seven Reasons to Return to Confession AP Photo L Osservatore Romano – it

AP Photo/L'Osservatore Romano

Miguel Cuartero Samperi - pubblicato il 20/02/15

Quaresima tempo di conversione e di ritorno a Dio.

 Vuoi confessarti?
– Confessarmi?
– Sì, confessarti.
– Ma che c’entra?
– Penso che sia un’esperienza che tu debba fare. Abbiamo parlato tanto, ma devi toccare con mano l’amore. Magari non oggi. Domani, se vuoi.
– Ma io non mi confesso da più di trent’anni e non saprei neanche da dove iniziare! L’idea mi mette un po’ di angoscia. 

Ogni buona confessione inizia con un esame di coscienza che ci fa tornare con la memoria alla nostra ultima confessione, cioè all’ultima volta che abbiamo consegnato a Dio tutti i nostri peccati per ricevere il suo perdono e la grazia del sacramento. 

Da quanto tempo non mi confesso? Se la vita spirituale è una battaglia, al colpo inferto all’anima dal peccato, il cristiano è chiamato a rispondere con un “colpo” di grazia, che può facilmente infierire attraverso il Sacramento della Riconciliazione (o penitenza). Se il peccato è un tumore, che fa male all’anima e che progressivamente potrebbe arrivare ad ucciderla, il cristiano è invitato a tagliarlo via, ad estirparlo ogni volta che si ripresenta minacciosamente, al fine di guarire da questo male che ferisce e che allontana da Dio e dal prossimo.

Sono passati ormai più di trent’anni da quando il papa Giovanni Paolo II scrisse l’esortazione Reconciliatio et Paenitentia per riflettere sul sacramento della Penitenza (o confessione). Il testo fu pubblicato nell’Avvento del 1984 dopo il Sinodo Ordinario dei Vescovi sul tema “La riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa oggi”. Giovanni Paolo II scriveva che, in un mondo pieno di ferite, di divisioni e di frantumazioni, nel cuore degli uomini esiste una profonda “nostalgia di riconciliazione” che solo potrà essere soddisfatta con un processo di conversione che sani la radice di ogni lacerazione: il peccato.

Rompere radicalmente con il peccato è dunque la condizione necessaria per riconciliarsi con Dio e ciò – continuava il pontefice – “si realizza soltanto attraverso la trasformazione interiore o conversione, che fruttifica nella vita mediante gli atti di penitenza” (RP 4).

Oggi è ancora necessario che la Chiesa rifletta ed approfondisca sul mistero della riconciliazione sacramentale, soprattutto in una società che ha rifiutato, e dunque perso, il senso del peccato. La situazione non era diversa già trent’anni fa e Giovanni Paolo II denunciava “il progressivo attenuarsi del senso del peccato, proprio a causa della crisi della coscienza e del senso di Dio” (RP 18).

Nel tempo di Quaresima siamo invitati a prendere nuovamente coscienza del peccato; a rientrare in noi stessi, a riconoscere il nostro bisogno di conversione e di riconciliazione con Dio, a recuperare quel legame di amicizia col nostro Padre celeste, quella comunione che il nostro peccato ha spezzato. L’invito del sacerdote che ci impone le “Ceneri” all’inizio del percorso quaresimale, è l’invito che la Chiesa ci fa per poterci preparare alla grande festa della Pasqua che è l’incontro con Cristo risorto. “Convertiti e Credi al Vangelo” è un invito a ritornare all’essenziale della vita cristiana; sono le parole che Gesù pronunciò all’inizio della sua predicazione nella Galilea, prima ancora di chiamare i discepoli a seguirlo lasciando tutto ciò che possedevano, prima ancora di compiere miracoli di guarigione e di scacciare i demoni (Mc 1,15). Il Sacramento della Riconciliazione è chiamato anche “Sacramento della Conversione” perché sacramentalmente il cammino di ritorno a Dio (CCC 1423).

La missione della Chiesa, una “comunità riconciliata e riconciliatrice”, è quella di annunciare al mondo la misericordia di Dio verso tutti gli uomini, di annunciare (in primo luogo attraverso la testimonianza) che l’amore gratuito di Dio – che ha offerto suo Figlio sulla Croce per tutti gli uomini – è per tutti, senza distinzioni, ed è più forte del peccato.
La difficoltà della riconciliazione con Dio è tutta nello spezzare il proprio orgoglio (che ci illude di essere onnipotenti e autosufficienti) e riconoscerci bisognosi della misericordia divina. E’ ciò che ha affermato il papa Francesco nel suo Messaggio per la Quaresima 2015:

“Se umilmente chiediamo la grazia di Dio e accettiamo i limiti delle nostre possibilità, allora confideremo nelle infinite possibilità che ha in serbo l’amore di Dio. E potremo resistere alla tentazione diabolica che ci fa credere di poter salvarci e salvare il mondo da soli”.

Oggi, a trent’anni da quel bellissimo documento firmato dal papa polacco, è lecito interrogarsi ancora sul senso profondo del sacramento della riconciliazione e sul suo significato per l’uomo di oggi. A porre la domanda è Ricardo Reyes, sacerdote panamense, autore del libro Mi Lasciai Sedurre. Perché confessarsi? (ed. San Paolo 2015).  Dottore in Liturgia presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, Reyes ha pubblicato il suo primo libro nel 2012 (Lettere tra cielo e terra, ed. Cantagalli) per spiegare in un linguaggio semplice e comprensibile a tutti il mistero dell’Eucarestia. Dopo il successo del primo libro (numerose le presentazioni con annessa catechesi sull’Eucaristia nelle parrocchie italiane) il sacerdote centroamericano ci propone una appassionante storia di amicizia che getterà un po’ di luce sul mistero della misericordia di Dio e sul sacramento della riconciliazione.

Il testo (non un trattato di teologia ma un racconto di vita) si svolge come un unico e incalzante dialogo tra Roberto e Michele. Il primo è un sacerdote sudamericano “in combattimento”, che non si vergogna della sua fragilità e del suo “rapporto burrascoso con Dio” ma che appoggia tutta la sua esistenza nella fedeltà e nella misericordia divina che è “più forte delle sue meschinità”; il secondo un uomo lontano dalla fede, ansioso, un testardo, che affronta una penosa malattia pieno di dubbi, cercando un po’ di luce nel buio della sua storia. Entrambi, l’uno parlando del Vangelo e l’altro “filosofeggiando” razionalmente, scopriranno di essere accomunati da una stessa sorte: essere uomini in cammino, bisognosi della grazia e della misericordia di Dio.

Lasciamo ora che sia lo stesso autore a presentare questo suo nuovo libro tramite le parole che introducono il testo.

Nel primo Angelus del suo pontificato papa Francesco pronunciò una frase che più di ogni altra è entrata nel cuore dei cristiani: «Dio non si stanca mai di perdonarci […]: il volto di Dio è quello di un padre misericordioso, che sempre ha pazienza».
Dopo queste parole una moltitudine di persone, tra cui migliaia di cristiani non praticanti, si è riversata nei confessionali di tutte le parrocchie del mondo. La riscoperta del perdono e, di conseguenza, il fatto di riportare Dio al centro dell’esistenza sono stati per molti il primo grande dono di questo pontificato.
Papa Francesco non solo invitava ad accogliere il perdono, ma esortava soprattutto a capirne l’essenza. Feci mio quell’invito desiderando, anche come prete, di capirne di più sia per me stesso che per quanti avessero voluto scoprirne il mistero e la meraviglia nascosti.
È nata, così, l’idea di questo libro che, ovviamente, non è un trattato teologico sulla confessione, ma soltanto il tentativo di fare luce su molti aspetti che, a mio avviso, sono essenziali per inquadrare questo sacramento nella giusta prospettiva. Mi spiego meglio: credo sia fondamentale per parlare del perdono sapere, per esempio, che cosa sia il peccato, che troppi riducono al frutto di piaceri proibiti; come pure capire che senso possa avere il dover dire a un prete i propri fatti più intimi, cosa questa assolutamente incomprensibile a molti. Insomma, ho cercato di chiarire alcuni concetti essenziali
raccontando in forma dialogica e intrecciando realtà e fantasia l’incontro tra un sacerdote e un suo amico che si dichiara “non credente”.
Un dialogo, in definitiva, che svelerà i due volti della storia: i problemi a volte inaspettati dei preti e l’inconsapevole tendere dei cosiddetti “lontani” verso Dio, verso un centro che non sanno però come raggiungere.
Preti e non credenti appariranno accomunati dal loro essere uomini e, in quanto tali, uniti dal comune senso di precarietà e di incertezza che a tratti la vita mette davanti e dal bisogno di essere in qualche modo riscattati.
È una storia che spero possa arrivare al cuore di tutti e allo stesso tempo aprire la mente alla grandezza del sacramento della riconciliazione in modo semplice e bello. E la bellezza sta proprio nel mostrare la veracità delle parole del profeta Isaia citate dal Papa: «Se anche i nostri peccati fossero rossi scarlatti, l’amore di Dio li renderà bianchi come la neve».

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