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A Sarajevo la guerra non è finita

Archibishop Vinko Puljic

© Public Domain

Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 12/02/15

Puljić: “per una vera riconciliazione, è necessario il coraggio della verità e della responsabilità”

A sorpresa papa Francesco ha annunciato che si recherà in visita a Sarajevo il 6 giugno prossimo. "Vi chiedo fin d'ora di pregare – ha detto il pontefice nel corso della preghiera dell'Angelus del 12 febbraio – affinché la mia visita a quelle care popolazioni sia di incoraggiamento per i fedeli cattolici, susciti fermenti di bene e contribuisca al consolidamento della fraternità e della pace". La capitale della Bosnia ed Erzegovina, che durante la guerra seguita alla dissoluzione della Jugoslavia, ha subito un lunghissimo assedio (dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996), vive oggi una difficile fase di ristrutturazione della società e delle istituzioni politiche, come testimonia ad Aleteia l'arcivescovo di Sarajevo, il cardinale Vinko Puljić.

Quale eco ha avuto l'annuncio della visita di papa Francesco?

Puljić: La notizia, rimbalzata su tutte le agenzie internazionali, è stata accolta con molta gioia dalla gente di Bosnia ed Erzegovina e i media hanno contribuito a diffondere la notizia con accenti molto positivi. Tante persone di diversi settori sociali e rappresentanti delle istituzioni si sono congratulati personalmente con me per l’arrivo del papa a Sarajevo. E' chiaro che i cattolici del Paese e anche quelli dei Paesi vicini sono i più felici per questa visita, per la possibilità di pregare con il pontefice e di averlo vicino fisicamente.

Quale città troverà il papa? Come è cambiata Sarajevo a vent'anni dalla fine dell'assedio?

Puljić: Bergoglio viene ad incontrare persone che portano molte ferite incise nell'anima. Sarajevo non può essere uguale dopo quattro anni di assedio e migliaia di granate cadute sulla città. La popolazione è anche cambiata nella composizione: c'è molta gente nuova, emigrati dall’interno del Paese che sono arrivati nella capitale. Il volto di Sarajevo è stato in gran parte restaurato, ma è più difficile restaurare lo stato di diritto. Anche il processo di riconciliazione prosegue lentamente: la gente stenta a riacquistare fiducia perché le ferite sono numerose e molti i problemi politici. In particolare oggi a Sarajevo è difficile essere cattolici e sono sempre meno.

Pesa lo sbilanciamento dovuto anche all'emigrazione di tanti cattolici?

Puljić: Questa disuguaglianza pesa, ma soprattutto pesa sul nostro popolo l’alto tasso di disoccupazione. E' un problema di tutto il Paese, ma soprattutto dei cattolici perché manca la tutela giuridica. Solo la popolazione più anziana rimane nel Paese e pian piano muore, mentre le generazioni più giovani non ritornano. In tanti continuano ad emigrare, così che l'insieme di tutte queste condizioni scoraggia la sopravvivenza del nostro popolo.

Che cosa rappresenta, allora, la visita del papa per i cattolici della Bosnia?

Puljić: Il papa viene come pellegrino di pace, portando il messaggio della solidarietà e della promozione della parità dei diritti. Come pastore e buon padre viene ad incoraggiarci, ma anche ad incoraggiare tutti i cittadini di questa città e di questo Paese. Per questo tutti sono stati sinceramente felici apprendendo del suo arrivo.

La comunità islamica bosniaca ha inviato un messaggio dando il benvenuto a papa Francesco: come sono i rapporti tra le comunità?

Puljić: Noi capi delle Chiese e delle comunità religiose ci siamo parlati anche durante la guerra promuovendo la pace. Al termine del conflitto abbiamo istituito il Consiglio interreligioso nel quale discutiamo di molte questioni. Su diversi temi abbiamo prodotto degli accordi, ma purtroppo non possiamo risolvere quei problemi che deve risolvere la politica, lo Stato. Non abbiamo gli stessi punti di partenza nei negoziati, ma il dialogo non si è fermato mai, anche se non concordiamo in tutte le questioni. In questo momento penso che tutti abbiano una sincera opinione positiva di papa Francesco.

Vent'anni fa la strage di Srebenica: oggi è davvero finita la guerra in Bosnia? Quali conseguenze sono ancora presenti?

Puljić: Purtroppo ancora oggi si avverte il vento dell'intolleranza, soprattutto perché nella politica ancora non c’è coraggio di chiamare ogni cosa con il vero nome e affermare che il crimine non si può giustificare in nessun modo. Lo avvertiamo in discorsi che incitano all'odio e lo tocchiamo negli episodi di profanazione di chiese, cimiteri, moschee.

Si può arrivare alla riconciliazione, nella giustizia, senza perdere la memoria di quello che è accaduto?

Puljić: Si deve avere il coraggio di iniziare dalla verità e dalla responsabilità. È molto importante stabilire lo stato del diritto così che tutti possiamo essere uguali davanti alla legge. E' necessaria, inoltre, la sicurezza dell’identità religiosa ed etnica nazionale, così che non ci siano maggioranze forzate prodotto dell'assimilazione e della negazione dell’identità. Non si deve dimenticare, ma nemmeno possiamo fermarci nel passato. È necessario cercare la strada verso il futuro.

Il papa nel discorso al Parlamento europeo ha chiesto all'Europa di rafforzare la democrazia dei paesi europei e di assicurare la libertà religiosa: cosa si aspetta la Bosnia dall'Europa?

Puljić: Ho paura che la democrazia si sia logorata. Sempre di più sulla scena vediamo il dominio degli interessi economici, il dominio dei più potenti. Cresce la paura del terrorismo ma bisogna evitare il rischio che in nome della lotta al terrorismo nascano nuove forme di predominio e di potenza. L’Europa è troppo occupata con l’euro e le banche, mentre sta trascurando l’uomo, i diritti dell’uomo e la sua dignità. Speriamo che l’Europa si svegli.

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