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Perché come re Davide anche noi dobbiamo andare nel deserto?

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Stephane L

don Fabio Bartoli - La Fontana del Villaggio - pubblicato il 08/02/15

Qual è l'ultimo desiderio che alberga nel cuore dell’uomo?

Il nostro tempo sembra attraversare una specie di dittatura dei desideri. Agli occhi dei più il semplice fatto di desiderare una cosa appare una ragione sufficiente per avere diritto ad essa, così ad esempio il desiderio di paternità o maternità, pure legittimo in sé, diventa una ragione sufficiente per pretendere un figlio ad ogni costo.

Anche agli occhi di Adamo ed Eva l’albero proibito era bello e desiderabile (“Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza” Gen. 3,6), eppure il male non fu nel loro desiderio, ma nella disobbedienza perché è Dio stesso che ci ha creati pieni di desideri.

L’uomo è un essere insufficiente, non basta a se stesso e dunque desidera, desidera sempre.

Desideriamo che i nostri bisogni siano riempiti, che la nostra solitudine sia abitata, che la nostra notte venga rischiarata… Bellezza, amore, verità! Sono questi i nostri tre desideri fondamentali eppure nel loro nome lungo la storia umana sono stati commessi delitti inenarrabili, come è accaduto che dal desiderio di un bene è potuto scaturire un male?

Tutte le religioni hanno provato a rispondere a questa domanda, e così ad esempio il Buddismo, come anche la filosofia Stoica in Grecia, afferma che la pace si può trovare solo nella soppressione dei desideri. Quando sarai capace di non desiderare nulla allora sarai in pace…

Ma chi prende sul serio la Bibbia non può accettare questa visione! Il Dio biblico è un Dio passionale, il suo amore è un fuoco ardente, che consuma le ossa (Cfr. Ger. 20,9), non è certo il motore immobile degli Aristotelici! La pace per l’uomo allora non consiste nel sopprimere i propri desideri, ma nel sintonizzarli con quelli di Dio, nel volere ciò che Lui vuole, nell’amare ciò che Lui ama. Non c’è amore dove non c’è desiderio.

Il problema è che spesso abbiamo la sensazione che i nostri desideri e i desideri di Dio siano in conflitto. È l’eco dell’antica seduzione del serpente, che vorrebbe farci credere che Dio è nostro nemico, che non vuole il bene per noi, come quando diceva ad Eva “non morirete affatto!”. Ci sembra dunque che per desiderare ciò che Dio desidera dobbiamo rinunciare a noi stessi, mortificare le nostre aspirazioni.

Ma tra i nostri desideri ce n’è uno più profondo, nascosto ai più, eppure presente in tutti. È un desiderio sottile e tenace. Se si vive solo alla superficie della propria coscienza si può passare una vita intera senza notarlo mai. Eppure come un basso continuo attraversa tutta la musica della nostra esistenza. Una volta che lo si è percepito però non ti molla più, e ritorna a riaffiorare sempre, anche nei momenti più impensati: nella disperazione o nel coraggio, nell’angoscia o nella determinazione.

È la sete di felicità, il bisogno incoercibile che abbiamo di essere felici. Non si può sfuggire, si vive per questo, e il desiderio di felicità è l’anima di tutti gli altri, la spina dorsale di ogni desiderio, perché non possiamo desiderare nulla senza desiderare al tempo stesso di essere felici! Ma al tempo stesso è anche il pungolo di ogni desiderio, quello che gli impedisce di arrestarsi in se stesso esaurendo il suo slancio nel godimento immediato, è ciò che di fronte ad ogni cosa, una volta posseduta, ti fa dire: “Non era questo! Cerca più avanti”.

Il desiderio di felicità porta con sé il desiderio di lodare, perché l’uomo in un modo oscuro e primordiale, sa che non può darsi la felicità da se stesso. Non possiamo conquistare la felicità, ma solo riceverla in dono, non possiamo essere felici se non è un altro a renderci felici. Per questo il desiderio di felicità si accompagna al desiderio di lodare, al bisogno di essere grati a Qualcuno per la nostra gioia. Perché dopotutto noi abbiamo già ricevuto la gioia. Ogni uomo in fondo al cuore sa di essere debitore di se stesso, di essersi ricevuto in un immeritato dono, e sente il desiderio di elevare un canto di lode, di ringraziare qualcuno, che a volte neppure sa chi sia.

Come dice Chesterton:

“Nessun uomo ha veramente misurato la vastità del debito verso quel qualsiasi essere che l’ha creato e che lo ha reso capace di chiamarsi qualcosa. Dietro il nostro cervello, per così dire, vi è una vampa o uno scoppio di sorpresa per la nostra stessa esistenza: scopo della vita artistica e spirituale è di scavare questa sommersa alba di meraviglia, cosicché un uomo seduto su una sedia possa comprendere all’improvviso di essere veramente vivo, ed essere felice.” (Gilbert Keith Chesterton, Autobiografia)

Il desiderio di lodare è l’ultimo desiderio del cuore dell’uomo: avere qualcuno da lodare, aver qualcuno da ringraziare per il dono della vita. Per accorgersene basta pensare a come ci sentiamo quando facciamo il contrario di lodare, cioè quando disprezziamo. L’uomo che disprezza immiserisce se stesso, dimentica la bellezza della sua vita, diventa incapace di gioia, l’uomo che loda invece si riempie di bellezza e diffonde intorno a sé un profumo di allegria.

Però questo desiderio è sottile, parla sottovoce. E così più spesso ascoltiamo la nostra rabbia o la nostra presunzione o il bisogno di gratificazioni. Per questo a volte per far affiorare in noi questo desiderio principe bisogna passare attraverso esperienze estreme. Come è accaduto al re Davide.

Leggiamo nel Salmo 62 (63)

O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco,
ha sete di te l’anima mia,
desidera te la mia carne
come terra arida, assetata, senz’acqua.
Così nel santuario ti ho contemplato,
guardando la tua potenza e la tua gloria.
Poiché il tuo amore vale più della vita,
le mie labbra canteranno la tua lode.
Così ti benedirò per tutta la vita:
nel tuo nome alzerò le mie mani.
Come saziato dai cibi migliori,
con labbra gioiose ti loderà la mia bocca.
Quando nel mio letto di te mi ricordo
e penso a te nelle veglie notturne,
a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe l’anima mia:
la tua destra mi sostiene.

Davide compone questo salmo nel deserto di Giuda, mentre fugge dal re Saul. Ha perso tutto, è un uomo disperato e solo, non è più il coraggioso fanciullo che ha affrontato e sconfitto il gigante Golia, non è più il valoroso generale che ha sconfitto diecimila Filistei, non è più il giovane favorito del re, non è più lo sposo della principessa Mikal. Ha perso il suo successo, il suo prestigio, la sua fortuna ed è braccato come un brigante attraverso le montagne, costretto a nascondersi nelle caverne del deserto.

In questa condizione egli capisce cosa desidera davvero. Proprio perché non ha più niente, capisce che ciò di cui davvero ha bisogno è Dio, Dio solo. Non gli servono gli onori e i lussi della corte, non gli basta il calore dell’abbraccio di Mikal, non cerca il favore del re, neppure l’amicizia di Gionata lo può più consolare. Di una cosa sola ha sete la sua anima, una cosa sola può riscaldare la sua carne: contemplare Dio nel santuario.

Che gioia incredibile avere un Dio! Sapersi interamente affidati al suo amore, custoditi all’ombra delle sue ali protetti in questa bellezza che illumina ogni cosa, guidati nel cammino della vita… È una gioia che è solo dell’uomo. Dio possiede la gioia di essere Dio, ma non sa cosa vuol dire avere un Dio. O meglio, non lo sapeva, perché una volta divenuto uomo in Gesù ha sperimentato anche Lui questa bellezza.

Una volta che l’hai gustata non si può più farne a meno. Chi ha assaporato la felicità di avere un Dio non può più vivere senza. Da qui l’immensa nostalgia di Davide, che nel deserto sperimenta il vuoto di tutto.

Nell’esperienza della gioia di avere un Dio, ora Davide può dare un nome a Colui che deve lodare, ora egli sa a chi essere grato. L’accenno al santuario è importante e bisogna capirlo. Essendo stato esiliato dalla reggia, Davide era lontano anche dal tempio. Costretto a fuggire nel deserto non poteva più partecipare alla liturgia, e la cosa di cui più di tutto sente la nostalgia è proprio questa: poter di nuovo lodare il Signore nell’assemblea, poter stendere le braccia verso di Lui e di nuovo innalzare il suo canto, celebrando la Sua potenza e le Sue glorie.

La liturgia è la risposta più profonda a questo desiderio dell’uomo, perché ogni liturgia è innanzitutto questo: la celebrazione della lode. È o non è l’Eucaristia il Grande Ringraziamento che sale a Dio dalla Chiesa? La bellezza della liturgia non serve solo a commuovere, non è mera coreografia, ma deve innanzitutto esprimere proprio questa tensione alla lode, questo slancio di gratitudine. Per questo la sola cosa più irritante di una liturgia sciatta è una liturgia vuota, formalmente perfetta, ma senza slancio, senza anima, in cui non si senta vibrare la lode.

La liturgia è il luogo in cui si radunano quei tre bisogni fondamentali che abbiamo visto all’inizio: Bellezza, Amore e Verità, per questo è il luogo in cui tutti i desideri si danno appuntamento, la celebrazione della felicità che ci è stata donata.

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