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Un Presidente cattolico: un bene o un male per i credenti?

Sergio Mattarella Partito Popolare

© Public Domain

Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 01/02/15

C'è chi sostiene che l'elezione di Mattarella sia il "cavallo di Troia" del laicismo, ma è anche l'occasione per un po' di autocritica circa l'ininfluenza dei cristiani in politica

All’indomani dell’elezione di Sergio Mattarella alla più alta carica dello Stato, il suo essere un cattolico è diventato oggetto di discussione per molti siti di informazione di ispirazione cristiana. Ecco che la militanza di Mattarella nella DC diviene rassicurazione oppure segno di contraddizione, al Presidente – a cui vanno i nostri auguri – non mancheranno le critiche, non tanto da destra o da sinistra, quanto dalle diverse parrocchie e sagrestie per come gestirà alcuni dossier critici. Ed giusto che sia così, perché – effettivamente – la presenza di un cattolico “di fatto” e non di nome, al Quirinale toglie alibi e interroga tutti coloro che, illuminati dal Vangelo, abbiano voglia e desiderio di sporcarsi le mani con la realtà e dunque far politica, così insieme agli auguri, si è aperto il dibattito.

Una delle “accuse” rivolte in queste ore a Sergio Mattarella è l’essere di formazione dossettiana:

“Scopo del dossettismo e di tutte le correnti della sinistra cattolica era di operare per la propria estinzione avendo come scopo la perdita di ogni connotato cattolico per accettare pienamente la completa laicità della politica, nella quale tutto è mediazione. Mattarella appartiene a questa storia e a questa cultura ed è quindi significativo che egli emerga ai massimi livelli quando la sua storia e la sua cultura sono defunte, ormai diluite nel secolarismo generale. Ecco perché si tratta di una vittoria postuma” (La Nuova Bussola Quotidiana, 31 gennaio)

Eppure l’ex ministro di Scelta Civica e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, lo smentisce categoricamente, e alla domanda dell’Huffington Post risponde:

“Non direi. Parlerei piuttosto di un cattolico di sintesi, che letto Dossetti ma anche Sturzo e ha appreso la lezione di De Gasperi. Un cattolico conciliare” (Huffington Post, 31 gennaio).

Prosegue il j’accuse della Bussola a firma di Stefano Fontana:

“Tutti ricordano le famose dimissioni di Mattarella e di altre tre ministri democristiani quando fu approvata la legge Mammì che regolamentava il mercato televisivo. I tre ministri la consideravano un favore alle tre televisioni di Berlusconi e, quindi, un attentato alla democrazia. È stato un raro caso di dimissioni di politici al governo. Però non risulta che Mattarella abbia fatto lo stesso, e nemmeno che abbia detto una parola, quando il Parlamento ha sfornato leggi ben più gravi dal punto di vista della morale pubblica, come per esempio la legge 40 o, più di recente, il divorzio express. Tuoni e fulmini per la legge Mammì, silenzio e tutti in riga per le leggi contro la vita e la famiglia. Per la cultura di provenienza di Mattarella prendere posizione su questi temi vorrebbe dire essere ideologici, ristabilire delle verità naturali che la moderna democrazia ha ormai superato. La democrazia come metodo ha il sopravvento sulla democrazia come contenuto” (La Nuova Bussola Quotidiana, 31 gennaio)

Ma la difesa su questi punti arriva dal direttore de La Croce, Mario Adinolfi:

“Un filo sorprendente è stata però la levata di scudi di qualche frangia del mondo cattolico che ha protestato con toni invero paradossali accusando, con una posizione che rivela un pregiudizio politico-ideologico, il neo presidente di essersi dimesso sì da ministro per la legge Mammì che diede il via libera alla costruzione dell’impero mediatico berlusconiano, ma di non aver fatto lo stesso “per la legge 40 o la legge sul divorzio lampo”. A parte che bisogna conoscere i fatti e Mattarella non è stato parlamentare né nella sedicesima né in questa diciassettesima legislatura repubblicana, dunque sul divorzio breve non avrebbe potuto dimettersi da alcunché. Per quanto riguarda la legge 40 io la considero una buona legge che non a caso i cattolici italiani hanno trionfalmente difeso rifilando una sonora e plateale batosta al fronte laicista che era sicuro di poterla abolire per via referendaria” (La Croce Quotidiano, 1 febbraio).

Ma allora da cosa proviene questa sfiducia nei confronti di Mattarella? Per il professor Andrea Riccardi intervistato dall’Huffington Post che stabilisce che è finita la fine dell’ingerenza della CEI nel quadro politico italiano, ingerenza che ha caratterizzato l’intero ventennio della Seconda repubblica:

“Allora ci fu questo scontro tra cattolicesimo della presenza e della mediazione, tra Cl e Azione cattolica. Ma oggi tutto questo è passato. Certo, c’è stata anche in queste ore una opposizione confessionale che ancora si riferisce a quella logica dei ‘valori non negoziabili’, ma ora il papato di Francesco ha rimosso il cortocircuito italiano. Non c’è più il primato della difesa dei valori non negoziabili. Ma questo non significa assolutamente poter schiacciare il nuovo presidente sulla dimensione del cattocomunista distratto verso i richiami della Chiesa. Mattarella a mio avviso è uomo di sintesi: questa è una dimensione tipica di grandi cattolici italiani come Montini e Moro. Il nuovo presidente è un politico concreto, laico e cattolico, che sa dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare, un moroteo che vive e proietta nell’impegno politico la sua cultura giuridica e da credente.” (Huffington Post, 31 gennaio).

Ed è questa linea presenza-mediazione che bisognerà dare una risposta, non sulla fase passata, ma su quella nuova del XXI secolo, perché essere cattolici ed essere cattolici che fanno politica oggi è assai diverso che esserlo negli anni ’50 o negli anni ’70. Ecco che una interessante riflessione arriva da Diego Ruggiero su Vino Nuovo, che in più di una occasione si è interrogato sul tema dell’impegno politico dei cattolici e della crisi della cultura politica del cattolicesimo italiano.

“il problema è più profondo: stregati da un contesto culturale edonista ed individualista abbiamo abdicato in questi anni alla nostra capacità di leggere ed interpretare realmente la realtà italiana. Papa Francesco invece ci indica risolutamente la via. È quella dell’ascolto attento, operante e dialogico nella ricerca della sinodalità che in politica si traduce in “democraticità” delle strutture politiche e dei partiti. Il punto è: i cattolici oggi impegnati in politica in Italia sanno farlo? Ed ancora: le nostre strutture formative ecclesiali (parrocchie, associazioni e movimenti) hanno l’obiettivo di formare laici autonomi e con la schiena dritta (obbedienti in piedi mi insegnava il mio presidente di Ac) oppure nella pratica le nostre alte aspirazioni si riducono a formare yes man del don o del mons. di turno? A me pare che personalità del calibro di La Pira, Lazzati, Dossetti, Fanfani o Moro – esponenti di quella cultura politica che ha formato Mattarella – non fossero proprio degli yes man. Allora il problema oggi è come ri-generare i cattolici alla politica. Con quale stile e con quali priorità? […] Bisogna porsi domanda alte, partendo dai luoghi più bassi, dalle piazze e dai campanili, perché solo partendo la lì le domande sono sofferte e le risposte vere. Ad esempio, i cattolici italiani per anni si sono divisi sui programmi rispetto alle varie formazioni politiche che hanno – per così dire – fecondato diventando irrilevanti. Hanno mai posto come discrimine delle proprie scelte di collocazione politica, la democraticità delle strutture di partito? Non hanno ceduto alle logiche personalistiche imperanti?! Hanno mai pensato che l’attenzione alle povertà (in una società in declino) fosse prioritaria? Hanno mai pensato alla grande importanza che tanti ormai attribuiscono alle tematiche ambientali o ad interpretare la nuova “cultura della rete”? Non è che qualche volta – io dico spesso – si sono fatti dettare l’agenda delle priorità dalle culture più laiciste, rincorrendo temi importanti ma non essenziali nella vita della stragrande maggioranza degli italiani? Perché la politica se non interpeta e legge la società concreta – quella con lo smartphone in mano – diventa una costruzione a tavolino irrilevante” (Vino Nuovo, 1 febbraio).

Buon lavoro Presidente, noi speriamo che questa foto la ispiri sempre…

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