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Il peccato del pettegolezzo

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mons. Charles Pope - pubblicato il 22/01/15
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Le chiacchiere oziose sugli altri possono provocare grandi danni

Le chiacchiere oziose sugli altri possono provocare grandi danni

Una delle categorie di peccato più sottovalutate è quella dei peccati della parola. Pecchiamo in molti modi, ma forse quello più comune è attraverso le parole. Troppo facilmente, quasi senza pensarci, ci dedichiamo a pettegolezzo, chiacchiere vane, bugie, esagerazioni, attacchi duri, osservazioni e riflessioni poco caritatevoli. Con la nostra lingua possiamo diffondere odio, promuovere paura e malizia, dare informazioni sbagliate, provocare tentazione, scoraggiare, insegnare l’errore e rovinare reputazioni. Possiamo provocare sicuramente gravi danni con un dono che è capace di fare tanto bene!

E non pecchiamo solo per “commissione”, ma anche per omissione, perché spesso rimaniamo in silenzio quando dovremmo parlare. Non correggiamo gli errori del prossimo quando dovremmo affrontarli con discrezione e gentilezza. Nella nostra epoca, il trionfo del male è ampiamente sostenuto dal silenzio delle persone buone – anche dal nostro silenzio come popolo cristiano. I profeti devono annunciare la parola di Dio, ma noi spesso incarniamo ciò che dice Isaia (56, 10): “I suoi guardiani (di Israele) sono tutti ciechi, non si accorgono di nulla. Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare; sonnecchiano accovacciati, amano appisolarsi”. 

Ha detto bene San Giacomo: “Se uno non manca nel parlare, è un uomo perfetto” (Gc 3, 2). È vero che non tutti i peccati della parola sono gravi o mortali, ma è anche vero che con le nostre parole possiamo infliggere grandi mali. Per questo, i peccati della lingua possono diventare gravi e mortali. Gesù ci mette in guardia: nel giorno del giudizio, gli uomini dovranno dar conto di ogni parola inutile proferita (cfr. Mt 12,36).

Tenendo conto di tutto ciò, oggi ci concentreremo su un aspetto dei peccati della parola che in genere chiamiamo “pettegolezzo”.

In una definizione generale, questo termine si può applicare a commenti triviali sulla vita altrui, ma quando considerato specificatamente come peccato, il pettegolezzo consiste nel parlare di qualcuno in modo ingiusto, con la menzogna o la divulgazione di questioni personali o private che non riguardano nessun altro se non la vittima del pettegolezzo.

In genere il pettegolezzo implica conversazioni inappropriate e senza carità su persone che non sono presenti. Quasi sempre, inoltre, aggiunge errori e cambiamenti all’informazione che viene trasmessa.

San Tommaso d’Aquino include il pettegolezzo nella sua trattazione sulla giustizia (II, IIae 72-76) nella Summa Theologica, visto che attraverso il pettegolezzo intacchiamo la reputazione altrui. Il Catechismo della Chiesa Cattolica include il pettegolezzo come materia dell’ottavo comandamento, “Non dire falsa testimonianza”.

Basandoci sulle varie forma di ingiustiza nel parlare identificate da San Tommaso d’Aquino, possiamo menzionare varie modalità di peccati della lingua:

1. L’offesa o ingiuria – Consiste nel disonorare una persona, in genere alla sua presenza, e spesso anche davanti a terzi. L’offesa o ingiuria è commessa in modo aperto, udibile, ed è generalmente motivata da impulsi di rabbia e da mancanza di rispetto personale. Può includere parole sgradevoli, insulti, parolacce e perfino imprecazioni. Nella quotidianità, non sempre ci rendiamo conto del fatto che l’ingiuria è una forma di attacco alla reputazione della persona offesa, perché contrariamente al pettegolezzo, che in genere è fatto alle spalle, l’ingiuria o offesa è “gettata in faccia” alla persona, che quindi avrebbe la possibilità di difendersi. L’ingiuria deve essere comunque menzionata quando citiamo i peccati della parola perché va di pari passo con il disonore, pregiudicando la buona reputazione della vittima. La sua essenza è molto vicina a quella del pettegolezzo. Ingiuriare è un peccato che ha l’intenzione di provocare imbarazzo o disonore personale. Ci sono modi più adulti e più cristiani di risolvere i disaccordi.

2. La diffamazione – Consiste nel parlar male del prossimo in modo ingiusto e alle spalle. È ledere il buon nome di qualcuno davanti a terzi, ma senza che la vittima lo sappia. Questo tipo codardo di pettegolezzo impedisce che la persona di cui si parla riesca a difendersi o a chiarire ciò che viene detto su di lei. Possiamo menzionare due modalità di diffamazione:

a. La calunnia – Consiste nel dire bugie su qualcuno alle sue spalle. 

b. La detrazione o maldicenza – Consiste nel dire verità su qualcuno alle sue spalle, ma verità che sono dannose per la persona e che gli altri non hanno alcun bisogno di conoscere. Si tratta di informazioni che, per quanto vere, hanno il potenziale di danneggiare in modo superfluo la reputazione o di pregiudicare il buon nome della vittima davanti agli altri. Ad esempio, può essere vero che Tizio ha alcuni problemi di dipendenza da sostanze, ma è un’informazione che non ha bisogno di essere condivisa con chiunque. Ci sono momenti, è chiaro, in cui è importante condividere certe verità con altri, ma solo se si parla con persone che, per giusta causa, devono conoscere queste informazioni. Oltre a ciò, le informazioni devono essere verificate e non solo basate su voci. Si possono condividere legittimamente, infine, solo le informazioni strettamente necessarie, evitando di scendere eccessivamente nei dettagli per curiosità futili e meschinità.

3. La mormorazione-sabotaggio – Si può individuare un tipo specifico di pettegolezzo che assomiglia molto alla diffamazione ma che ha sfumature particolarmente gravi. Mentre chi diffama parla alle spalle per danneggiare la reputazione di una persona assente, il mormoratore-sabotatore oltre a parlare alle spalle cerca di creare problemi concreti alla sua vittima, portando le persone ad agire contro di lei. Forse vuole pregiudicarla a livello professionale, o forse il suo obiettivo è promuovere reazioni d’ira o perfino di violenza contro la vittima delle sue chiacchiere. Il fatto è che la persona che pratica la mormorazione-sabotaggio vuole incitare qualcuno contro la persona della quale sta parlando. Questo va al di là del pregiudizio alla reputazione: in questo caso, il mormoratore vuole pregiudicare, ad esempio, le relazioni, le finanze, la situazione legale della sua vittima, ecc.

4. La ridicolizzazione – Consiste nel far sì che le persone ridano di qualcuno, di qualche caratteristica fisica o comportamentale della persona, del suo modo di essere, ecc. Può sembrare una cosa di poco conto, ma spesso è un tipo di chiacchiera che si trasforma in gesti di burla o in parole umilianti e offensive, che sminuiscono la persona o la disonorano nella comunità. In non pochi casi, la ridicolizzazione si trasforma in quello che oggi è conosciuto come “bullismo”.

5. La maledizione – È il desiderio espresso pubblicamente che una persona sia vittima di qualche male o subisca un danno. Può non essere effettuata davanti alla vittima e si tratta di un peccato della lingua che provoca e disonora la vittima davanti a terzi. L’obiettivo di maledire qualcuno spesso incita gli altri a provare rabbia contro questa persona.

La serietà di questi peccati della parola o della lingua dipende da una serie di fattori, tra i quali la portata del danno commesso contro la reputazione della vittima, le circostanze di luogo, tempo e linguaggio e quante e quali sono le persone che hanno ascoltato i commenti velenosi.
Se non c’è intenzione di danneggiare la vittima, la colpa del peccatore può diminuire, ma non si elimina il fatto che parlar male degli altri è un peccato in sé. Disonorare una persona, soprattutto con l’intenzione consapevole di pregiudicare la sua reputazione e la sua posizione davanti agli altri, è un peccato che può diventare molto grave. Uno dei tesori più preziosi di qualsiasi persona è la sua reputazione, visto che in essa risiede la sua possibilità di relazionarsi con gli altri e di coinvolgersi in quasi tutte le forme di interazione umana. Pregiudicare la reputazione di qualcuno è quindi una cosa seria. Per quanto questo danno possa spesso sembrare di poco conto, non possiamo disconoscere che quella che riteniamo una piccola cosa possa provocare danni molto più grandi di quelli che immaginiamo. Sui peccati di pettegolezzo, San Giacomo ci dice: “Vedete un piccolo fuoco quale grande foresta può incendiare! Anche la lingua è un fuoco, è il mondo dell’iniquità, vive inserita nelle nostre membra e contamina tutto il corpo e incendia il corso della vita, traendo la sua fiamma dalla Geenna” (Gc 3,6).

È vero che a volte abbiamo bisogno di avere conversazioni necessarie su persone che non sono presenti. Forse cerchiamo consigli per far fronte a una situazione delicata; forse abbiamo bisogno di qualche incentivo per rapportarci a una persona difficile o dobbiamo effettuare una legittima verifica dei fatti. Forse, soprattutto nei contesti professionali, siamo invitati a compiere qualche valutazione su colleghi, funzionari o situazioni. In casi di questo tipo, dobbiamo limitare l’obiettivo delle nostre conversazioni a ciò che è strettamente necessario, parlando solo delle persone e dei fatti che devono davvero essere affrontati.

Cercando consigli o incentivi, dobbiamo parlare solo con persone che siano di fiducia e possano ragionevolmente aiutarci. Ogni volta che è possibile, dobbiamo omettere dettagli superflui, tra i quali il nome della persona della quale stiamo parlando. “Discrezione” è la parola chiave anche nelle conversazioni necessarie sul prossimo.

Dall’altro lato, è importante sapere che il sigillo estremo può essere inutile e perfino dannoso. Ci sono momenti in cui le situazioni devono essere affrontate in modo diretto e chiaro. In questi casi, dobbiamo seguire le norme stabilite da Gesù nel Vangelo di Matteo (18, 15-17): “Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea; e se non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano”. 

In altre parole, la discrezione deve lasciare spazio anche alla trasparenza in determinate circostanze, come quelle in cui una comunità deve trattare certe questioni in modo pubblico e chiaro.
Come regola generale, dobbiamo avere sempre grande cura nei confronti dei peccati della lingua o della parola. Con grande facilità corriamo il rischio di rovinare la reputazione e la dignità degli altri a causa dei nostri pettegolezzi. Parlare degli altri può provocare gravi danni, oltre a portare al peccato tutte le persone che prendono parte a quel tipo di conversazione. Il Salmo 141, 3 eleva a Dio questa preghiera: “Poni, Signore, una custodia alla mia bocca, sorveglia la porta delle mie labbra”.

Anche noi possiamo recitare preghiere come questa, ad esempio: “Aiutami, Signore! Tieni il tuo braccio sulla mia spalla e la tua mano sulla mia bocca! Metti la tua parola nel mio cuore, di modo che quando parlo sia Tu in realtà a parlare attraverso di me. Amen”.

Monsignor Charles Pope è parroco della parrocchia Holy Comforter-St. Cyprian di Washington, D.C. Ha frequentato il Mount Saint Mary’s Seminary ed è laureato in Divinità e Teologia Morale. È stato ordinato nel 1989 e nominato monsignore nel 2005. Ha condotto uno Studio Biblico settimanale al Congresso degli Stati Uniti e alla Casa Bianca, rispettivamente per due e quattro anni. Questo articolo è stato pubblicato in origine sul blog di monsignor Pope sul sito web dell’arcidiocesi cattolica di Washington.

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[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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