Una domanda sulla contemplazione di Dio da parte dei misticiSan Paolo fornisce alcune indicazioni sulla scienza spirituale come la tripartizione dell’uomo (anima corpo spirito), oppure rivela la scienza dei desideri della carne contrari ai desideri dello spirito… Suor Faustina riferisce le parole di Gesù, secondo cui il miglior modo per contemplare Dio è la meditazione dei suoi attributi (Amore, Santità e Giustizia). Altri mistici hanno avuto l’aiuto degli angeli e alcune rivelazioni sugli angeli. Qual è il giusto atteggiamento da tenere rispetto alle questioni spirituali profonde?
Piero Bianco
Risponde padre Athos Turchi, docente di filosofia alla Facoltà teologica dell'Italia centrale
La domanda è piuttosto oscura: quali sono tali questioni spirituali e quali sono quelle profonde rispetto a quali superficiali? Prendiamo le cose in generale, e distinguiamo tra ascetismo e misticismo. L’asceta – dal greco askesis, «esercizio», da askeo, «io esercito» – è colui che tramite esercizi e discipline corporali e psicologiche cerca di elevarsi a Dio, o per lo meno al piano spirituale, più che gli è possibile. L’ascetismo è presente nelle religioni orientali in modo considerevole, si pensi allo yoga, come lo è nel cristianesimo, nell’ebraismo e nell’Islam in forme più ridotte. L’asceta porta la sua mente a uno stato in cui ritiene di incontrare il livello spirituale della vita o del Dio in cui crede, e a questo cerca di adattare la sua esistenza.
Mentre il mistico – dal greco mystikòs «misterioso», e questo da myein «chiudere, tacere» – al contrario è colui che sotto l’influsso del Dio accede a ciò che è «chiuso, misterioso». La mistica è molto presente nel cristianesimo si pensi a Meister Eckhart, a S. Caterina da Siena, a S.Teresa d’Avila, a S.Giovanni della croce. Il mistico per l’azione dello Spirito Santo si apre al mistero e ai misteri di Dio, che a nessuno è possibile accedervi per quanta ascesi possa fare. Si riporta comunemente l’episodio dell’asina di Balaam [libro dei Numeri 22-23-24] come esempio di una forma mistica che subisce l’asina del profeta Balaam, il quale stava per disobbedire a Dio e l’asina lo richiama al suo dovere per un intervento divino.
Questo per dire che il mistico non necessariamente è un «santo», ma è colui che Dio sceglie per rivelarsi. L’asceta, invece, per mezzo di una ferrea disciplina sulla propria persona, si pensi agli anacoreti come Simone Stilita, mira a trascendere i valori umani verso quei valori superiori o divini, e in particolare la carità, che sono il centro di tutta la vita cristiana. L’ascesi e la mistica, in parole povere, sono due cammini opposti della spiritualità: la prima è lo sforzo dell’uomo di portarsi a vivere come Dio, la seconda è l’azione di Dio che si rivela all’uomo.
Ovviamente in generale un mistico è sempre anche un’asceta e viceversa, come lo erano i succitati santi, però non è necessario che l’uno sia anche l’altro. Per esempio Santa Teresa di Calcutta non parla di esperienze particolarmente mistiche, mentre senz’altro è una grande donna di ascesi che ha saputo adeguare la propria vita alla carità di Cristo, come un S.Giovanni Paolo II e altri ancora.
Torniamo alla domanda iniziale. Possiamo dire che le questioni spirituali più profonde sono le esperienze mistiche, nelle quali la persona umana subisce l’azione di Dio e perciò perviene alle conoscenze massime per un essere umano perché in questa esperienza la persona è a contatto colla profondità dell’Essere stesso. Che cosa di sé Dio riveli, è una questione che riguarda Dio soltanto. In generale Dio rivela al mistico ciò che questi ha sempre avuto come suo riferimento di devozione: S.Caterina da Siena percepiva lo Sposo, S.Francesco il crocifisso salvatore, S.Giovanni della croce la Trinità, e così via. Dio è vario in questo suo darsi all’anima umana, perché la ricchezza del suo essere non è comprensibile né esauribile. Da qui è possibile capire come i mistici abbiano avuto rivelazioni su determinati e diversi attributi di Dio nei quali hanno affondato la loro esperienza spirituale.
Infine due parole sulla frase di San Paolo della quale, in tutto questo discorso, mi sfugge il senso che il lettore gli vuol dare. Comunque la tripartizione umana a cui accenna San Paolo io la leggo come una forzatura cristiana sulla reale costituzione antropologica. L’uomo è anima e corpo, l’anima è la forma, il corpo è la materia, l’insieme è l’essere umano. Paolo parla di spirito perché l’anima, informata e trasfigurata dalla grazia divina, presenta una trascendenza che ristruttura l’essere umano. Lo spirito, in altri termini, indica un po’ la sintesi del nuovo stato umano al quale accede colui che è rinato nel battesimo. Non avrebbe senso che oltre l’anima vi fosse anche uno spirito perché aumenterebbe solo la partizione umana senza risolvere niente, anzi aprendo una processione all’infinito nella composizione.
Lo spirito perciò è quella grazia divina che si aggiunge all’uomo nel momento che, diventando figlio di Dio, si trasfigura in un essere oltre il mondo umano: «poiché non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo» (Gv 15,19); e ancora: «Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo» (Gv 17,14). L’uomo spirituale è costui: all’individuo umano, di anima e corpo, si assomma lo spirito, che indica l’azione di Dio-Cristo su di lui e lo rende figlio di Dio, entrando a far parte dell’essere stesso divino.
In sintesi. Ogni uomo è chiamato a relazionarsi con Dio cercando per quanto è possibile di imitarne la carità, in tal senso ogni cristiano è chiamato a una forma di ascesi. Al contrario il mistico è colui al quale Dio, in modo arbitrario, si rivela. Infine ogni figlio di Dio è un essere spirituale perché la «figliolanza» battesimale, come dice Gesù, fa di quell’uomo un non-essere del mondo, cioè un figlio di Dio.