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Una laicità responsabile per far dialogare libertà e fede religiosa

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 16/01/15

"Io sono Charlie", non è piuttosto laicismo? Editorialisti a confronto sul caso francese

Libertà d'espressione e fede religiosa sono parole in grado di "dialogare" tra loro? I fatti di Parigi hanno dimostrato che il fil rouge, il collante che le avvicina si può trovare nel concetto di laicità. Ed è su questa linea che si riescono a intravedere elementi comuni tra i più autorevoli commentatori cimentatisi su questi temi. 

ANDARE OLTRE LA SOLIDARIETA'
Dominique Quinio, direttore del quotidiano cattolico francese La Croix (14 gennaio), premette che rispetto alla strage di Charlie Hebdo la solidarietà espressa sui media e nelle strade e piazze francesi «indica anche l'importanza, per la vitalità di una democrazia, che siano rispettati la libertà e il pluralismo della stampa. Attaccare quel giornale significa attaccare quei principi». 

RESPONSABILITA' E STAMPA
Ma la rivendicazione della libertà di stampa non dispensa da una riflessione sulla responsabilità. «Responsabilità che deve essere esercitata da tutti i soggetti pubblici, giornalisti, politici, artisti o intellettuali, tutti coloro che dispongono del potere delle parole. Che cosa facciamo noi con i nostri scritti, con le nostre parole, con i nostri atti, per promuovere i valori di rispetto, di dignità, di fraternità? Contribuiamo alla pace sociale, alla serenità dei dibattiti, alla loro profondità?».  

UN POTERE CHE SI MERITA
Secondo Quinio «ogni giornale, ogni medium audiovisivo, ogni sito digitale, ogni cittadino che reagisce sui social network o nei forum di discussione deve interrogarsi sulle proprie pratiche», anche i giornali satirici e irriverenti. «Seguire l'attualità in una corsa che rasenta l'isteria, diffondere informazioni non verificate, mostrare e far circolare immagini degradanti, esprimere o riprodurre dichiarazioni di disprezzo, misconoscere o deridere la dimensione spirituale delle persone…Le occasioni di sbandamento sono molte. La libertà di stampa, che è anche un potere, impegna. E si merita».

CONVIVENZA E RISPETTO
La libertà di espressione, secondo l'editorialista Gian Enrico Rusconi (La Stampa, 14 gennaio), non può che legarsi, ancora di più in questo contesto, al concetto dl laicità. «La laicità – sostiene – è un criterio di convivenza civile che prescinde dalle appartenenze religiose e nel contempo è molto di più della semplice accettazione del pluralismo delle fedi. Rivendica infatti anche il diritto di criticare la religione come tale. Saldandosi con l’idea di libertà di espressione intesa in forme radicali (come nel "giornale irresponsabile" Charlie Hebdo), può dar luogo a situazioni estreme come quella cui abbiamo assistito.. Entriamo così in un terreno minato», ammette Rusconi.  

DISSENSO RAGIONATO, NON OFFESA
Che la libertà di espressione debba darsi dei limiti, «è una convinzione condivisa, che talvolta giustifica istituzioni di controllo. Non è certo il nostro caso. Qui può intervenire soltanto un autocontrollo per convinzione. Le manifestazioni d’arte e letterarie (soprattutto la satira) hanno sempre camminato sull’orlo di questa situazione». E dunque, «per chi intende convincere gli islamici a rifuggire dai cattivi rappresentanti della loro religione, anzi a isolarli, l’unica strada da percorrere è il confronto, la discussione, il dissenso ragionato. Non ha senso offendere la sensibilità degli islamici o sbattere loro in faccia l’esercizio della "nostra libertà". Così diventa una cattiva libertà».

CONCEZIONE SBAGLIATA DEI MUSULMANI
Quella laicità che è mescolanza, rispetto, dibattito "sensibile" è alimentata anche dal pensiero dell'editorialista Arnaud Leparmentier su Le Monde (15 gennaio). «Le nostre civiltà si stanno mescolando da mezzo secolo. Ce ne siamo accorti tardivamente, dato che i musulmani erano stati a lungo considerati come immigrati provenienti dalle colonie per la Francia, o lavoratori temporanei (Gastarbeiter) turchi in Germania. La loro stabilizzazione sul lungo periodo, il loro accesso alla nazionalità e il loro desiderio di esercitare la loro religione perturbano profondamente le società». 

MODELLO ISLAMOFOBO
Dunque secondo Leparmentier quel principio di laicità, utile antidoto contro fanatismo e terrorismo, non è incarnato "serenamente". «Dal 1905, il modello francese di laicità organizza la separazione tra la sfera pubblica e la sfera religiosa. Ma è fatto soprattutto per il cittadino francese e il credente cattolico, che spesso sono la stessa persona. Questo modello non funziona altrettanto bene con l'irruzione dell'islam. L'Europa del XXI secolo si ritrova così attraversata da una corrente islamofoba multiforme, in un contesto di difficoltà sociali». I francesi dovranno accettare l'idea «che l'islam sia diventato la seconda religione della Francia – sentenzia l'editorialista – e anche gli europei». 

LAICITA' COME PRINCIPIO REPUBBLICANO
Il cardinale Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux, su Il Foglio (15 gennaio) puntualizza: «Credo alla laicità come principio repubblicano, ma non penso che possa essere ragione di vita o di speranza», se intesa come l' «eliminare il fenomeno religioso dallo spazio pubblico francese è il modo migliore per alimentare l’islamismo», che quel principio non l’ha mai conosciuto nella storia dei secoli e pure oggi rifiuta. 

STATI ISLAMICI NON SONO NEMICI
Allo stesso modo, la cultura della convivenza e dell'integrazione, non si alimenta, come spiega l'autorevole filosofo e saggista bulgaro Tzvetan Todorov, con il «conflitto tra una forma pervertita dell'islam e alcuni governi occidentali, tra cui quello francese, che la combattono militarmente sul territorio di quegli Stati musulmani» (La Croix, 14 gennaio). Nè attraverso «il neoconservatorismo, che vuole imporre il bene agli altri a colpi di missili o di occupazione territoriale del loro paese. Questi nemici intimi minacciano oggi la democrazia non meno dei suoi nemici dichiarati». 

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