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Essere o stare? Mettici l’anima! Getta radici!

Whimsy in want. – it

CC images. Reyner Media

padre Carlos Padilla - pubblicato il 16/01/15

Nella vita conta più ciò che siamo che dove stiamo, ma il fatto di “stare” ci aiuta ad “essere”

Non è facile distinguere il significato dei verbi “essere” e “stare”. “Stare” parla di stati e di luoghi, di momenti a volte passeggeri, ma ha anche a che vedere con qualcosa di permanente, con il fatto di gettare radici, con il semplice “stare” senza bisogno di dover fare qualcosa. “Essere” parla dell'essenza, di ciò che siamo realmente.

“Stare” può essere qualcosa di temporaneo. “Essere” sembra più definitivo. Siamo di passaggio in questa vita, ma siamo eterni. Siamo in luoghi che possono passare o restare. A volte questi luoghi determinano ciò che siamo.

“Stare” non è solo passeggero, può anche implicare stabilità. Stare in luogo può parlarci di appartenenza. Apparteniamo al luogo in cui stiamo.

A volte, però, è proprio ciò che manca a noi che ci fa passare da un luogo all'altro, senza dimora. Corriamo cercando di saziare l'anima con troppe cose. Desideriamo avere le cose all'ultimo grido. “Non è possibile fare sempre le stesse cose”, pensiamo, e ci neghiamo la stabilità. Ci sembra qualcosa di caduco e senza futuro.

“Il padrone del passato non può essere allo stesso tempo il padrone del futuro”, affermiamo. Non possiamo vivere di ricordi. E cerchiamo cose nuove, quello che è appena cambiato.

Il verbo “essere” ci sembra insulso, senza vita, troppo statico. Mancano novità e mobilità, flessibilità e passione. È un verbo sprovvisto di allegria. È proprio della morte. Chi muore sta nel suo luogo di riposo per sempre. Lì riposa. In lui non c'è più vita. Vediamo allora che è meglio “stare” di passaggio che “stare” per sempre in un posto.

La routine ci schiaccia. “Essere” ci parla di qualcosa di permanente, mentre “stare” denota fugacità. Oggi siamo in un posto e domani in un altro. Tutto sembra passeggero e temporaneo.

Dall'altro lato, spesso confondiamo i due verbi. Diciamo che qualcuno è ingiusto quando ciò che accade è che non ha agito bene. Diciamo che qualcuno non è saggio solo perché ha commesso un errore. A un bambino diciamo che è stupido, o cattivo, o mediocre, quando forse è stato semplicemente pigro o cattivo in un momento determinato. È stata una semplice caduta, non qualcosa di definitivo.
Da un fatto, da un'azione, non possiamo dedurre l'“essere” definitivo di una persona. Perché le apparenze a volte ingannano.

Il fatto di “stare” in un determinato luogo non vuol dire che siamo con il cuore piantato lì. A volte ci vedono in un posto e interpretano chi siamo a partire da quel posto, ci giudicano. Forse indovinano, forse no. Siamo in un posto e sembra che sia il nostro posto definitivo, ma forse siamo solo di passaggio o semplicemente non stiamo dove vorremmo stare.

Possiamo “stare” circondati di gente e non per questo smettere di “stare” soli. Nella vita è più importante ciò che siamo rispetto a dove stiamo, ma il fatto di “stare” ci aiuta ad “essere”.

Non basta “stare” in un posto, in una posizione, in un luogo determinato, per appartenere a quella realtà ed essere in un determinato modo. Possiamo stare in un luogo senza comprometterci, senza voler dare la vita per ciò che rappresenta quella realtà. Tante volte stiamo con una persona ma non stiamo realmente con lei. Stiamo lì fisicamente ma l'anima è volata, sta da un'altra parte, non c'è impegno.

Ciò che conta davvero è imparare a “stare” dove stiamo in realtà e ad “essere” a partire dal luogo in cui stiamo. Ma questo è un compito che dura tutta la vita.

Vogliamo essere capaci di gettare radici. Quando stiamo e non ci impegniamo è come se fossimo semplicemente di passaggio nella vita. Non siamo allora degni di fiducia. Perché oggi stiamo lì, ma chissà, domani potremmo non starci. Chi non sta con il cuore nel luogo in cui deve vivere forse teme l'impegno, o ha paura di gettare radici profonde che gli tolgano libertà.

Gesù è passato per la vita facendo il bene. È passato gettando semi di speranza. È stato in molti luoghi, ha calpestato molte vie, ha solcato i mari. Ha amato fino all'estremo ed è stato amato. Ha creato vincoli, pur sapendo che un giorno la separazione avrebbe provocato dolore. Ha condiviso la vita con molti uomini, ha pescato con loro, ha parlato loro della vita, ha sognato accanto a loro, ha immaginato il futuro, ha condiviso desideri. Lì dove stava il suo corpo stava la sua anima e gettava radici. Affondava fin nel profondo senza paura di perdere la mobilità.

Riconosco che non capisco la vita in altro modo. Se oggi mi tocca stare qui, mi impegno e non c'è altro. Guardo Gesù e sento che è ciò che mi chiede. Se domani non starò qui non lo so. Non controlliamo il futuro. Il pellegrino fa della terra che calpesta la propria casa.

Gesù si impegnava con quell'uomo della via, con il pellegrino, con colui che viveva nella sua terra. Era pastore e padre, fratello e povero. Era vento e casa, fuoco e speranza, roccia e mare. Era e allo stesso tempo stava.

A volte lo hanno definito peccatore vedendolo mangiare con i pubblicani, ma non era peccatore, stava con i peccatori. Giudicavano che non fosse Dio e si confondevano, sospettavano delle apparenze. Quelli che mangiavano con Lui lo vedevano come parte del loro cammino. Chi lo guardava da lontano giudicava le sue azioni.

Facilmente facciamo lo stesso e deduciamo l'“essere” dallo “stare”, ma non è così evidente. Le conseguenze non si possono trarre tanto facilmente. L'abito non fa il monaco. Il luogo non ci fa in un determinato modo.

Ciò che siamo è capace di cambiare un luogo, ma è anche vero che, quando ciò che siamo non è chiaro, il luogo può cambiarci da dentro. Se il luogo, l'atmosfera, è capace di elevarci, renderemo grazie al cielo. Se l'ambiente è negativo, ci tirerà in basso e smetteremo di aspirare a ciò che è più alto.

Per questo sono così importanti i luoghi in cui stiamo, gli ambienti che condividiamo. Ci rendiamo persone in un luogo determinato, in una casa, in uno spazio, in una realtà, in un mondo molto concreto. Siamo lì dove stiamo e facciamo di quello spazio la nostra vita. Ci “facciamo” in quel luogo che scegliamo o lì dove ci ha portato la vita. “Stare” è molto importante, perché ci forma, ma siamo sempre più del luogo che abitiamo.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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spiritualità
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