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Cosa sono le esperienze di pre-morte?

esperienze di premorte

© Public Domain

Roberta Sciamplicotti - Aleteia - pubblicato il 12/01/15

Un libro aiuta a comprendere meglio questa realtà vissuta da non poche persone

La cosiddetta “esperienza pre-morte” (NDE, Near Death Experience) è un fenomeno, per ora irrisolto, sempre più studiato da neurologi, cardiologi e neuroscienziati. Francesco Agnoli lo analizza nel suo libro “Sorella morte corporale. La scienza e l'aldilà” (La Fontana di Siloe), nel quale affianca a un'approfondita trattazione del tema interviste a persone competenti sull'argomento.

Circa un terzo delle persone che hanno avuto un coma, una morte cerebrale e una rianimazione riferisce di aver vissuto un'esperienza di pre-morte, che, spiega Agnoli, viene così descritta nelle varie raccolte di testimonianze presenti nella letteratura medica: “il 'morto', senza distinzione tra credenti e non, dichiara di aver visto molto lucidamente il proprio corpo (OBE – Out of Body Experience), le persone attorno e di aver intravisto, nella stragrande parte dei casi, una luce straordinaria e indescrivibile (spesso dopo un tunnel), il tutto accompagnato da un profondo senso di amore, pace, serenità, al di fuori di qualsiasi dimensione temporale (con incontro, talora, di anime defunte)”. Alcuni testimoni raccontano invece di “esperienze terrificanti, infernali, portatrici di terrore, di angoscia profonda e di senso di colpa”.

La prima indagine sulle esperienze di pre-morte è stata quella di Raymond A. Moody jr, filosofo e medico che nel 1975 ha raccolto decine di testimonianze, tutte positive, nel best seller “La vita oltre la vita”. Nel testo, l'esperienza di pre-morte veniva descritta come un fatto gioioso, e il successo riscosso dal libro è stato enorme. L'anno dopo il cardiologo universitario Michael B. Sabom, incuriosito dall’opera di Moody, ha avviato un’indagine medica. “Partendo da un totale scetticismo – scrive Agnoli – è giunto alla conclusione che “le esperienze di pre-morte si assomigliano tra loro, nonostante la diversità di tempi e luoghi: sono visioni lucide, segnate dall’ineffabilità, dalla presenza di esperienze autoptiche (in qualche modo le più interessanti, perché verificabili), dall’atemporalità, dalla presenza non solo di una grande luce o di tenebre infernali, ma anche di entità personali (Cristo, angeli, santi, defunti conosciuti o mai visti prima)”. Per Sabom, le NDE sono “uno sguardo gettato sull’aldilà”.

La domanda dei ricercatori, ricorda Agnoli, è questa: come può avvenire che ci sia una coscienza lucida fuori dal corpo nel momento in cui il cervello non funziona più durante un periodo di morte clinica con encefalogramma piatto? In altre parole, “se persone clinicamente morte, con il cervello 'spento', vedono e percepiscono lucidamente e coscientemente, è sostenibile la visione materialista e riduzionista secondo cui l’anima – la coscienza (o, per utilizzare una parola oggi più in voga, lamente) – altro non è che il prodotto del cervello? Non è più logico riconoscere, come per altri motivi fanno tanti neuroscienziati, che la coscienza non è il semplice prodotto del cervello, perché quest’ultimo è un 'organo necessario ma non sufficiente per spiegare la coscienza'? Ancora: le NDE non potrebbero in qualche modo confermare l’idea tradizionale per cui ogni anima è creata immortale direttamente da Dio e, nel momento della morte, non perisce ma si distacca, si separa dal corpo?”.

Per l'autore, si potrebbe trattare di qualcosa di analogo a ciò che racconta san Paolo riguardo alla conversione che lo trasformò da persecutore dei cristiani in apostolo, quando in viaggio verso Damasco “all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e cadendo a terra udì una voce” (At 9, 1-9). Sempre san Paolo, parlando del giorno in cui vedremo Dio non oscuramente, ma nella luce piena, definisce Dio come Amore. Tutta la teologia cattolica, del resto, definisce Dio proprio come Luce e come Amore.

Dalle testimonianze raccolte da Moody e da altre, Agnoli deduce che “il Paradiso intravisto e 'assaggiato' dai 'ritornati' è compatibile (…) solamente con quello cristiano”. Allo stesso modo, Moody afferma che nessuno dei casi che ha studiato “sembra indicativo del fatto che esista una reincarnazione”, anche se nessuno la esclude. Del resto, chiede Agnoli, “che senso avrebbe un’esperienza di pre-morte, l’uscita dal corpo e l’attingimento di una realtà puramente spirituale, se alla morte di ognuno seguisse davvero la trasmigrazione dell’anima in un altro corpo materiale? E che senso possono avere gli incontri del ritornando con i suoi defunti, dal momento che in un’ottica di reincarnazione non esiste un Paradiso, un luogo ad hoc dei defunti, che dovrebber dunque – come ebbe a dire il Dalai Lama proprio riguardo alle NDE – essere già reincarnati da qualche altra parte?”.

Interpellato su cosa dicano le esperienze di pre-morte riguardo all’anima, il prof. Enrico Facco, specialista in Neurologia e docente di Anestesiologia e Rianimazione all'Università di Padova, ha risposto che queste esperienze “suggeriscono immediatamente l’ipotesi di una sopravvivenza alla morte fisica e quindi dell’esistenza dell’anima, ma questo è solo una sorta di volo pindarico realizzato secondo il nostro modello culturale e la nostra concezione tradizionale di anima”, perché le NDE, “se possono essere un suggestivo indizio di sopravvivenza alla morte fisica, non ne costituiscono alcuna prova”.

A questo proposito, ha lasciato alcuni spunti di riflessione, indicando che “l’anima è un concetto sfuggente e tutt’altro che definito, come del resto la stessa coscienza, per non parlare dell’inconscio”, che “bisogna stare attenti a non confondere l’anima, come spesso succede, con il proprio io, l’unica cosa che pur parzialmente percepiamo di noi stessi”. “Oltre l’anima – aggiunge il docente – si dovrebbe considerare lo spirito, anch’esso tutt’altro che ben definito come ogni istanza della psiche”; inoltre: punto primo, “se anima e spirito esistono come concetti e se possiamo parlare di religiosità e di attività trascendenti, questo significa che esse sono prima di tutto facoltà della mente”, punto secondo, “se anima, spirito e religiosità sono facoltà della mente, possono essere studiate scientificamente e meglio conosciute senza escludere a priori i mondi di loro pertinenza, superando finalmente le pregiudiziali contraddizioni storiche tra scienza, filosofia e religione”.

Sempre nel volume, padre Alberto Carrara, dottore in Biotecnologie Mediche e membro della International Neuroethics Society, ha sottolineato che il tema dell’anima costituisce, insieme ad altri come quello della coscienza o della libertà, “una sorta di 'filo rosso' che trapassa la storia della riflessione e della ricerca dell’essere umano nel suo irresistibile slancio verso la conoscenza della verità delle cose e di se stesso”.

“Nonostante tutti i tentativi che negli ultimi decenni si sono succeduti e che vorrebbero eliminare la realtà di una dimensione trascendente, che va al di là della mera dimensione materiale del reale, oggi, anche alla luce della ricerca neuroscientifica, il concetto di 'anima' riemerge quale struttura antropologica irriducibile, necessaria per dar ragione di numerosi fenomeni umani che non avrebbero un senso all’interno del solo mondo della ricerca empirica”.

Parlare di “anima” nel XXI secolo, ha aggiunto, “significa allargare l’orizzonte e cercare di integrare le evidenze empiriche che le neuroscienze (e le altre scienze empiriche) ci forniscono all’interno di una cornice più ampia che renda ragione della causa proporzionata alle dimensioni peculiari dell’umano”.

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