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Tra Bibbia e Papa Francesco, il Te Deum di Asia Bibi

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 03/01/15
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La donna cristiana è da oltre 2000 giorni rinchiusa in un carcere pachistanoIl Te Deum di Asia Bibi è un continuo dialogo con Dio. Lo fa attraverso le Sacre Scritture che ha imparato a leggere durante la sua prigionia. La donna cristiana ne ha parlato a Tempi.it (2 gennaio). 

RINGRAZIAMENTO A CRISTO
«Comincio la mia giornata con il nome di Cristo sulle labbra – ha spiegato – che mi incoraggia sempre a iniziare ogni giorno confidando nella fede cristiana. Termino tutte le mie giornate ringraziando il mio Cristo, che è stato con me tutto il giorno e che mi dona la notte per rendere grazie e riposarmi».

IL SALMO 138
Asia trascorre parte delle sue giornate leggendo la Bibbia. «Ripeto sempre le parole contenute nei versetti 7 e 8 del salmo 138. Recitano così: "Se cammino in mezzo al pericolo, tu mi ridoni vita; contro la collera dei miei avversari stendi la tua mano e la tua destra mi salva. Il Signore farà tutto per me. Signore, il tuo amore è per sempre: non abbandonare l’opera delle tue mani".

LIBERTA' E PREGHIERA
E per il nuovo anno ha chiesto a Dio «di perdonare tutti coloro che abusano del mio nome per trarne profitto e di darmi presto la libertà». A Papa Francesco, invece, la donna chiede «con forza» di «ricordarmi nelle loro preghiere. Io sono convinta e credo che le vostre preghiere possano aprire presto la porta della mia cella e liberarmi».

IN ATTESA DELLA CORTE SUPREMA
Nel carcere di Multan, dove è stata trasferita dal giugno 2013, Asia misura il tempo in passi. E aspetta. Che la Corte Suprema, massima istanza giudiziaria pachistana, finalmente, riconosca la sua palese innocenza. O che le pressioni internazionali convincano il presidente a concederle la grazia (Avvenire, 19 dicembre).

2.019 GIORNI DI PRIGIONIA
E' in prigione da 2.019 giorni, scrive ancora Tempi.it, per aver bevuto un bicchiere d’acqua. Pakistana, di fede cattolica, sposata e madre di cinque figli, è stata incarcerata con l’accusa di “blasfemia” in una «cella senza finestre» oltre cinque anni fa, il 19 giugno del 2009, in seguito a un diverbio con due colleghe musulmane: aveva preso dell’acqua dal pozzo per ristorarsi durante il lavoro nei campi ed è stata accusata di aver infettato la fonte. 

UN RICATTO IRRICEVIBILE
In Pakistan il reato di “blasfemia” prevede sanzioni che vanno dall’ergastolo fino alla pena capitale e l’8 novembre 2010 il giudice Naveed Iqbal ha condannato Asia Bibi all’impiccagione. Avrebbe potuto salvarsi, perché quello stesso giudice è entrato nella sua cella e le ha offerto la revoca della sentenza in cambio della conversione all’islam, ma la donna ha risposto: «Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui».