Padre Antonio Spadaro cura un’antologia che si trasforma in esercizio spiritualeIn un contesto contemporaneo in cui la vita sembra essere affamata di sazietà, di soddisfacimento dei bisogni immediati, di un’agiatezza priva di necessità impellenti di salvezza, l’uomo fa sempre l’esperienza di vivere, ma spesso in maniera distratta, poco attenta allo stupore e alle domande: vive immerso nel concreto e nell’orizzonte delle cose manipolabili.
Lo sostiene padre Antonio Spadaro, S.I., direttore de “La Civiltà Cattolica”, nel libro “Nell'ombra accesa. Breviario poetico di Natale” (Ancora), nel quale sottolinea che gli uomini vivono “uno squilibrio misterioso”, un “misterioso zoppicare”, per usare le parole di Henri De Lubac.
“Da una parte infatti, come creatura, sperimentiamo in mille modi i nostri limiti; dall’altra parte ci accorgiamo di essere senza confini nelle nostre aspirazioni. La sete d’infinito che l’uomo reca nel suo cuore, la tensione verso l’assoluto che lo anima, il suo cor inquietum non può essere saziato da cose contingenti. La condizione umana è radicalmente di attesa”.
La forma d’espressione privilegiata di questa tensione d’attesa, ricorda padre Spadaro, è la poesia, che “scopre gli abissi che abitano l’uomo e ad essi accede con facilità perché assume in se stessa sia la sua capacità di riflessione sia la sua sensibilità e i suoi affetti”.
Da ciò l'idea di un'antologia che offra 50 poesie “che dimostrano un accesso profondo agli abissi del cor inquietum”.
Leggendole, osserva, “si comprende come esse descrivano posizioni differenti, stadi diversi di cammino: dal buio alla visione, attraverso la ricerca umana e l’annunciazione che giunge dall’esterno”. In particolare, è possibile “distinguere con una certa approssimazione i confini tra 'bisogno', 'desiderio' e 'attesa', anche se a volte nel linguaggio comune i termini vengono assimilati”.
Il termine “bisogno”, indica il sacerdote gesuita, “fotografa l’uomo come essere che intende essere appagato, spinto da un elemento narcisistico. È intuibile come una 'fame' che brama un oggetto di soddisfazione”.
“Desiderio” invece etimologicamente “può significare l’atteggiamento di fissare attentamente le stelle (in latino sidera), cioè fissare lo sguardo fuori di sé, verso l’alto o anche provare la privazione ('de-') di qualcosa verso cui si tende, volgendo lo sguardo come verso le stelle. C’è dunque in ogni caso un chiaro riferimento non a se stessi, ma a qualcosa o qualcuno che è altro da sé e verso cui si tende, si aspira”.
Il termine “attesa” rafforza questo secondo significato di “desiderio”, implicando una situazione di “at-tenzione” e di ascolto “che chiede una risposta, una rivelazione. C’è dunque nell’attesa la tensione verso qualcuno o qualcosa che si prevede sopraggiunga. C’è l’aspettativa di una presenza, anche se non definita, chiarita del tutto, a meno che non giunga una 'annunciazione' che ci dica qualcosa in più”.
Le poesie dell'antologia non sono preghiere e almeno per la maggior parte non sono neanche “religiose” in maniera formale. Lo scopo della raccolta è infatti quello di “individuare le corde profonde che l’animo umano tocca quando non gli basta più la superficialità ordinaria, la narcosi di una vita che si trascina come un automatismo”.
In questo contesto, il lettore è “chiamato ad accogliere i versi come se gli arrivassero chiusi in una bottiglia che arriva sulla spiaggia dal vasto oceano”.
Ogni testo è corredato da un breve commento che vuole essere “una guida (non obbligatoria) alla lettura”, senza alcuna nota critica ma con “lo sviluppo brevissimo di qualche dettaglio utile per l’approfondimento e la meditazione”.
Quattro i filoni a cui si ricollegano le poesie: “Buio”, “Ricerca”, “Annunciazione” e “Visione”.
La speranza di padre Spadaro è che la raccolta, che costituisce un percorso e suggerisce un itinerario che ha un inizio e una fine perché sono le poesie che hanno sviluppato in lui “un percorso interiore”, sia per il lettore “una sorta di imprevedibile 'esercizio spirituale'”.