Migliaia di feti sopravvissuti all'aborto vengono abbandonati ogni giorno come scarti. Le ONG raccolgono firme perché il Consiglio d'Europa affronti questo trattamento disumano e illegale
Di fronte all’incapacità del Comitato dei Ministri e al rifiuto della Commissione per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa di condannare l’infanticidio neonatale e di ricordare che ogni nato vivo ha diritto al rispetto della sua vita e a cure, qualunque siano le circostanze della sua nascita, bisogna guardare la realtà.
Per denunciare la pratica dell’infanticidio neonatale, il Centro Europeo per la Legge e la Giustizia (ECLJ), sostenuto, tra gli altri, dall’Ufficio internazionale cattolico dell’infanzia (BICE), ha lanciato una petizione ufficiale all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, che in pochi giorni ha già raccolto 150.000 firme.
Alcuni Paesi europei permettono l’aborto quando il bambino potrebbe già sopravvivere, ad esempio il Regno Unito (fino a 24 settimane), e senza un controllo reale, come in Spagna.
A volte il bambino nasce vivo, dopo un “fallimento” dell’aborto. Nella maggior parte dei casi, questi bambini, che possono essere stati feriti dal tentativo di aborto, vengono abbandonati alla morte senza cure, agonizzando e lottando per respirare, assassinati da un’iniezione letale o per asfissia, soprattutto quando potrebbero sopravvivere da soli, o perfino gettati via con gli scarti biologici.
È un trattamento disumano e illegale, che avviene sotto silenzio. È contrario al diritto, destinato a difendere ogni essere umano fin dalla nascita.
Secondo il British Journal of Obstetrics and Gynaecology, a 23 settimane di gestazione il 10% dei bambini sopravvive all’aborto. In base alle testimonianze delle ostetriche, questa percentuale è più alta.
La sofferenza subita da questi neonati è in primo luogo provocata dall’aborto. In Francia, il bambino o feto viene prima assassinato per iniezione letale al cuore o al cordone, e poi se ne provoca la nascita.
A volte l’iniezione non è fatta bene o non produce il suo effetto, e quindi il bambino nasce vivo. Uno studio inglese valuta la percentuale di successo nell’87% dei casi [1], quindi l’esito negativo dell’iniezione letale si verificherebbe nel 13% dei casi.
Il metodo di aborto tardivo più utilizzato in alcuni Paesi (nel 76% degli aborti tra le 15 e le 19 settimane e nel 44% di quelli realizzati dopo le 20 settimane in Inghilterra nel 2013 [2]), quello della “dilatazione-evacuazione”, è ancor peggiore.
Consiste nel dilatare il collo dell’utero e poi evacuare il bambino con una pinza. Il feto o il bambino viene spesso estratto a pezzi: il medico ghermisce quello che riesce a ghermire, tira e strappa via quello che viene.
Dopo l’evacuazione, il corpo viene ricostruito per verificare che non manchi alcun “pezzo”. Il bambino viene smembrato vivo, il che costituisce una terribile tortura. In genere non c’è anestesia né feticidio in precedenza.
In questo, il diritto europeo protegge gli animali più degli esseri umani. La direttiva 2010/63/UE dell’Unione Europea, che cerca di assicurare la protezione degli animali utilizzati a scopi scientifici, proibirebbe queste pratiche, ma non se si applicano agli esseri umani.
Riconosce tuttavia che è “dimostrato scientificamente” che le “forme fetali di mammiferi” (che includono gli esseri umani) possono “sperimentare il dolore, la sofferenza e l’angoscia” prima del terzo trimestre della gestazione.
Di fatto, studi scientifici dimostrano che il feto reagisce quando viene toccato a otto settimane [3], e che prova sofferenza a partire dalle 14 settimane [4].
La Commissione dei Ministri del Consiglio d’Europa si è occupata anche di questa questione, ma dopo sei mesi di dibattiti non è riuscita ad adottare una risposta comune. Alcuni Governi respingono ogni difesa della vita umana perinatale.