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Gesù: lo spirito di un itinerante

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Rafael Luciani - Aleteia - pubblicato il 09/12/14

Cosa ci rivela la dimensione itinerante della sua vocazione? Perché gli evangelisti la ritengono tanto importante nella sua vita pubblica?

L'umanità di Gesù ci viene presentata come paradigma. In lui troviamo la forma più eccelsa del renderci umani. Onesto nei confronti della realtà in cui viveva, non ha mai smesso di riconoscere e denunciare il dramma sofferto dalla maggioranza delle persone (Lc 13,32). Quando questo lo ha sopraffatto oltre misura, non ha mai optato per la via dei violenti che si impongono con le forza. Ha vissuto un profondo amore solidale e compassionevole (Mt 5,48), cercando in tutto il bene dell'altro.

C'è una dimensione della sua vita sulla quale vogliamo riflettere con attenzione particolare. In essa possiamo apprezzare come si siano modellati il suo carattere e la sua personalità, nella misura in cui viveva la sua vocazione di profeta escatologico. Si tratta della sua condizione di itinerante, dedito al servizio dei poveri, senza una casa fissa (Mc 8,20) e sempre in spostamento (Lc 8,1ss). Faceva percorsi brevi nei quali alloggiava in casa delle persone che lo accoglievano. A volte, con il tempo, diventavano amici, come è accaduto con Marta e Maria (Lc 10,38). In certe occasioni dormiva dove lo coglieva la notte, su una barca sfinito dalla giornata (Mt 8,25) o in campagna, senza un tetto, esposto alle intemperie, correndo il pericolo di incontrare banditi e ladri. Cosa ci rivela questa dimensione itinerante della sua vocazione? Perché gli evangelisti la ritengono tanto importante nella sua vita pubblica? Vediamo.

Gesù è passato dal vivere incarnato in una famiglia biologica, radicato nelle tradizioni e nell'immaginario di una cultura e di un popolo concreti, ad assumere uno stile di vita itinerante, vivendo senza un tetto proprio (Lc 9,58). Simbolicamente, questo stile di vita ha manifestato il suo atteggiamento profetico di protesta e distacco di fronte ai codici dell'onore, dello status e della stabilità sociale che si applicavano a livello culturale e religioso e che definivano quella che era l'identità umana. Rivela che la nostra appartenenza a una cultura, a una tradizione religiosa o a una famiglia biologica non è assoluta, ma un cammino temporale verso la realizzazione della nostra umanità, non il “cammino” definitivo che la definisce.

Il carattere itinerante di Gesù è fonte di umanità, mostrando che solo chi approfondisce i suoi legami e diventa fratello di tutti scopre la sua identità formando una nuova famiglia, non biologica, ma quella dei figli e delle figlie di Dio che vivono fraternamente, senza esclusione sociale né pregiudizi morali.

L'itineranza lo ha aiutato a incontrare volti e storie che prima non aveva mai immaginato. Gli ha fatto cambiare posizione rispetto a quelli che sarebbero stati salvati intendendo che la sua missione non era solo per il popolo eletto. Ha imparato che la fede è una relazione che nasce da un'umanità qualitativa e non è ereditata. Ha potuto trovare fede dove altri non credevano ci fosse, come nella donna siro-fenicia (Mc 7,24-30), nel centurione (Mt 8,5-13) o negli eunuchi (Mt 19,11; Is 56,3-5). Questo è stato possibile perché non guardava né giudicava la condizione morale o religiosa del soggetto, perché si avvicinava alle persone dove vivevano, perché trovava accoglienza e qualità umana (Lc 20,21).

Dalle intemperie e dall'itineranza ha scoperto il senso per la sua vita praticando la non violenza (Mt 5,9), lottando a favore della giustizia (Mt 5,10), optando per il bene del povero e della vittima (Lc 6,20) e facendosi carico del malato e del debole (Lc 7,21). Nell'incontro con i dimenticati e i diseredati, Gesù è cambiato e ha trovato umanità laddove altri vedevano solo negatività e peccato. Egli stesso ha subìto il peso della povertà (Lc 2,7), l'angoscia e il dolore dell'esilio (Mt 2,13-15), la stanchezza dell'itineranza e lo sfinimento della propria vita in un'offerta fiduciosa a Dio. Voleva che si facessa la volontà del Padre, “come in cielo così in terra” (Mt 6,10), con pane per tutti (Mt 6,11; Lc 9,17) e riposo per coloro che erano oppressi dal peso dell'ingiustizia e dalla lotta per un futuro migliore (Mt 11,28). L'itineranza ha modellato il suo carattere e la sua personalità. Gli ha insegnato ad essere paziente e generoso con l'uso del tempo, ma anche compassionevole e misericordioso nell'assistere gli altri.

Vivere con lo spirito di un itinerante, alle intemperie, può aiutarci a rivolgere il nostro sguardo ai ciechi (Mt 20,34), a coloro che soffrono (Mt 9,35), agli affamati (Mt 15,32; Mc 8,2-3), a chi è stanco (Mt 9,36), ai malati (Mt 14,14) e a coloro che piangono la morte (Jn 11,35). L'itineranza è un'esperienza che ci apre alla grazia perché invita a includere fraternamente l'altro. Centra il nostro cuore e orienta tutte le nostre azioni alla ricerca del bene dell'altro, a costruire una società più umana, che non si centri e non si esaurisca in sé favorendo solo i benefici individuali ma la costruzione del bene comune, in cui tutti ci giochiamo l'avvenire.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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