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Evangelizzare e convertire non sono mai una forzatura

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 05/12/14

Padre Gheddo: il proselitismo è un'imposizione, lontano dallo spirito della missione

Che differenza c'è tra i concetti di proselitismo ed evangelizzazione? Papa Francesco ha toccato la questione con alcuni pronunciamenti molto duri. Nel corso dell'intervista concessa ad Eugenio Scalfari su La Repubblica (1 ottobre 2013), il Pontefice affermava: "Il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso".

In occasione del messaggio per la festa di San Gaetano in Argentina (news.va, 7 agosto 2013), Bergoglio aveva invece detto: "Vai a convincere un altro che si faccia cattolico? No, no, no! Vai ad incontrarlo, è tuo fratello! E questo basta. E tu vai ad aiutarlo, il resto lo fa Gesù, lo fa lo Spirito Santo".

PROSELITISMO E' FORZATURA
«Il proselitismo è cosa ben diversa dalla evangelizzazione – sentenzia padre Piero Gheddo,  autorevole missionario del Pime -. Il proselitismo richiama il fare proseliti. Cioè io voglio convincere un'altra persona a cambiare le sue ragioni. Da parte mia c'è una certa imposizione nei suoi confronti. L'evangelizzazione è tutt'altro. Io, da missionario, cerco di vivere il Vangelo nel migliore dei modi, annunciando il messaggio di Gesù senza protagonismi, senza imposizioni nei confronti di coloro che circondano la mia quotidianità». 

LA CONVERSIONE DELLA TRIBU'
Padre Gheddo ricorda che ancora oggi, in diverse zone interne dell'Africa, «quelle in cui si vive ancora nelle capanne», se un capo tribù si converte, accade che si convertono anche gli altri membri del villaggio. «Ma questo non è un esempio di proselitismo – sottolinea – perché il missionario, prima di dare il battesimo ai neo-convertiti, non fa alcuna forzatura. La tribù è come una famiglia, la conversione del capo è molto sentita, offre spunti di confronto e il missionario in questo percorso non interviene mai imponendo una conversione collettiva. Accade tutto in piena autonomia». 

LA LEZIONE DI PADRE COLOMBO
Sulla conversione durante le missioni, è emblematica la lezione di padre Augusto Colombo, uno dei missionari cattolici più conosciuti in India, di cui padre Gheddo è un grande estimatore. «A lui dicevo spesso: "Tu fai molte conversioni, costruisci villaggi, risaie, pozzi". Ma Padre Colombo mi rispondeva: "Non sono queste cose a far convertire le persone. La conversione è un qualcosa di misterioso: Dio fa una "proposta" a tutti. Quante volte in un villaggio che ho aiutato, nessuno si è convertito al cattolicesimo. Invece quante altre volte è capitato che in villaggi lontani, dove non c'è stato il mio supporto, molti hanno accolto la proposta di Dio e si sono convertiti"». 

FRATELLO TRA I FRATELLI
Le parole di padre Colombo «fanno capire come ci sia sempre chi risponde positivamente e chi no. Il resto lo fa lo Spirito Santo, come spiega papa Francesco. Il missionario va a vivere con un popolo. Impara la lingua, si abitua a mangiare e dormire come fanno loro. Il missionario va a vivere come un "fratello tra i fratelli", per testimoniare la carità, l'amore di Dio, l'amore concreto. Qualcuno risponde a questo amore, altri no». 

NELLE COMUNITA' DI MUSULMANI
Un caso pratico di come la conversione non sia mai frutto di una forzatura, si verifica con i missionari che approdano nelle comunità musulmane, in Bangladesh, India, Camerun. «Tante volte capita di ascoltare islamici che vorrebbero farsi cattolici – dice padre Gheddo – ma i missionari dicono di "no". Anzi, aggiungono spesso: "E' la tua rovina!! Ascolta pure la Parola di Dio, ma non convertirti. Io qui non ti voglio". In queste comunità, un musulmano che si converte scatenerebbe la reazione degli altri, battaglie in famiglie, scontri con i suoi conoscenti. E la Chiesa non vuole questo! Non vuole guerre! Non vuole divisioni! Se vuoi convertirti realmente, allora spostati altrove, rivolgiti alla Chiesa per venire in Europa, studiare, fare dei percorsi e capire realmente se condividi realmente la "proposta" di Dio!».   

NEGLI OSPEDALI IN LIBIA
Il missionario racconta la sua esperienza in Libia durante il crollo del regime di Gheddafi. «Mi chiamò monsignor Martinelli, vescovo di Tripoli. Negli ospedali mancavano gli infermieri, e avviammo una mobilitazione. Arrivarono migliaia di suore cattoliche infermiere, italiane, spagnole, polacche, francesi e sopratutto filippine. Curavamo i musulmani negli ospedali. Molti di loro mi dicevano: "Le nostre donne non sarebbero mai capaci a farlo". E io rispondevo: "Fatele studiare, e saranno capaci anche loro". Tanti hanno iniziato a pensare che il cristianesimo fosse positivo, valido. Ma io mai mi sono permesso di forzarli o semplicemente dire loro di convertirsi. Il percorso per la conversione, se realmente ritenevano il cristianesimo qualcosa di positivo, dovevano avviarlo autonomamente, senza alcun mio incentivo». 

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