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La tua vita ti sembra monotona?

Joven contemplando desde una ventana – it

© Monica Arellano-Ongpin

padre Carlos Padilla - pubblicato il 04/12/14

Come possiamo essere stanchi se la vita sfugge rapidamente? Abbiamo bisogno di toccare l'amore e di donarlo, di accendere il fuoco sopito

Penso a ciò che ci ha detto papa Francesco parlando dell’importanza di dare luce con la nostra testimonianza e di non stancarci mai: “Testimonianza, affinché la luce brilli e non sia nascosta in camera. Che brilli la luce! Che vedano le opere buone che compie il Padre, attraverso di noi, ovviamente. Testimonianza, perché chiedano: ‘Perché vivete così?’. Coerenza di vita. Camminare: camminanti e non erranti. E fare attenzione alla tentazione della stanchezza”.

Quando ci stanchiamo ristagniamo. Smettiamo di essere quell’acqua che scorre. Smettiamo di dare vita e speranza. Quando è facile stancarsi di essere fedeli, di essere testimoni, di dare vita! La sorte del profeta è dura, esigente, stanca.

È più facile stare tranquilli e non fare nulla. È più facile non essere testimoni che esserlo. È più facile lasciare che l’acqua non scorra. Si soffre meno. Penso che la vita che si custodisce per sé si perda, imputridisca. Penso che l’acqua trattenuta non serva a nulla. Non guarisce la vita degli uomini.

I poeti, gli artisti, i bambini, i pazzi vedono il mondo da un’altra prospettiva. Portano acqua nuova. Ci danno vita nuova. Sono i profeti attraverso i quali Dio ci parla.

Una poesia che ho trovato mi ha dato un po’ di luce, ha portato un po’ d’acqua all’anima: “Giorni azzurri d’inverno, soffia il vento. / Sole e nubi. / Pace, non sento / corre l’anima, luce senza volo, / calma lo scorrere delle acque. / Fonte, mare, barca e torrente. / Non voglio sentire il fuoco ma perdermi nel tuo grembo. / Signore della mia vita, vieni. / Anche se mi costa averti, trattenerti è il mio desiderio. / Con le mani che non afferrano, con i piedi che non sfuggono. / Vieni, Signore, non lsciarmi. / Il tuo calore calmi il freddo. / Luce e pietra, fiume e montagna. / Come dimenticarmi del cielo?”

Vogliamo essere fiume, alveo, ponte, acqua, fonte, pozzo. Vogliamo essere di Dio e far sì che i giorni di molte persone siano azzurri in inverno. Vogliamo che molti riposino e bevano nel nostro pozzo profondo.

Penso che la nostra vita sia fiume, sia nube, sia vento. Penso che ciò che facciamo è molto, e anche così è solo una goccia nell’oceano. Penso che siamo tempio e montagna, roccia sicura e vento.

Penso che l’acqua scorra e ci guarisca. L’acqua degli altri. L’acqua di Dio. La nostra stessa acqua. Vedo che l’acqua purifica il cuore. Forse abbiamo paura dell’acqua.

Nel Battesimo siamo stati immersi nell’acqua. Affondati nel seno dell’oceano per ricevere Cristo. Abbiamo bisogno di tornare a immergerci nel mare di Dio. Abbiamo la vocazione di fiume che porta al mare.

L’acqua scorre o ristagna. Siamo fiume o siamo stagno. Dipende da noi. Navighiamo verso il mare, non ci fermiamo alla costa. Ma quanto ci risulta facile stancarci di essere santi!

Ci stanchiamo di dare vita, di sforzarci, di aspirare alle vette, di dover soddisfare le aspettative di coloro che si aspettano tanto da noi. Fino a quando bisogna dare?

Ci sono persone che vivono stanche di dare, di essere generose, di aspirare a vivere sempre con il Signore. Scivolano pesantemente lungo la vita, chiedendo permesso alle loro gambe per camminare. Non fanno progetti. Si sentono come pensionati in anticipo dalla propria vita. Per questo, si limitano a vivere in modo pigro.

A volte corro il rischio di trasformarmi in questo stagno e di smettere di essere fiume. Quando non permetto che arrivino a me nuove correnti. Quando voglio essere roccia, terra secca. Quando divento statico e freddo. Roccia quieta, esanime. Senza vita.

Al Sinodo della famiglia, papa Francesco ha parlato della “tentazione dell’ irrigidimento ostile, cioè il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere”.

A volte, quando non mi lascio aiutare, arricchire, guarire, quando mi chiudo nella mia carne, quando mi aggrappo alla lettera, muoio. Quando non cerco l’acqua che rinnova. Quando non offro la mia acqua e mi secco.

C’è una fonte che nasce dalle mie viscere, ma serve grande profondità d’animo perché non smetta mai di effondere acqua. Molta profondità perché ci sia vita. Bisogna amare ed essere amati. Toccare l’amore e donarlo. Accendere il fuoco sopito. Uscire da se stessi e mettersi in cammino. Bisogna avere fede.

Come Santa Bernardette quando ha preso l’acqua dal fango umido, scavando con le proprie mani. Perché credeva, perché confidava in quella donna che l’aveva guardata con tenerezza.

Dobbiamo fidarci di più. Di Dio, degli uomini, di Maria. Lasciare che l’altro sia colui che ci guida, che ci fa uscire dal nostro riposo.

Siamo stanchi. La vita ci stanca. Ci stanca essere riversati sul mondo, con i piedi legati. Ci stanca non essere liberi e cercare sempre di mostrare l’aspetto migliore. Ci stanca dare e non ricevere qualcosa in cambio, o dare sempre le stesse cose senza trovare risposta, cambiamenti, progressi.

Ci stanca prenderci cura della vita e vedere che non serviamo tanto. Fare il lavoro che abbiamo, sempre lo stesso. Amare le persone che ci amano e non essere creativi, perdendo il desiderio della novità. E senza novità si perde il desiderio. O amare in modo pigro chi ci ama tanto.

A volte aspettando che finiscano per amarci. Ci importa tanto. E ci stanca curare coloro che ci hanno amato, sostenuto, animato. E ora hanno bisogno di noi. Ci stanca vivere e servire. Senza neanche dormire. Ci stanca la vita rapida, che ci sfugge in modo impaziente tra le dita.

Ci stanca gettare radici e non gettarle. Avere una terra e non averla. Pensare che facciamo le cose bene o che non le facciamo. Leggere tante cose, vedere tante immagini. Ci stanza dare senza ricevere.

Ci stanca cercare Dio a tentoni e non sentire il suo amore ogni mattina. Ci stanca il freddo, la pioggia, il sole, l’orario rigido di ogni giorno. Ci stanca che ci chiedano le cose.

Ci stanca stancarci e doverci riposare. E sognare il riposo. Ci stanca cercare il riposo. Sì, la stanchezza della vita.

Come possiamo essere stanchi se la vita è un dono che sfugge rapidamente? Vorremmo trattenerla per sempre. E non è possibile. Perché ci stanchiamo tanto? Magari imparassimo a stancarci con senso. Stancarci con un obiettivo. Stancarci dando tutto, dando la vita.

San Carlo Borromeo diceva che un vescovo troppo attento alla sua salute non riuscirebbe a diventare santo. Che ogni sacerdote e ogni apostolo deve avere lavori che non riesce a svolgere piuttosto che tempo che gli avanza.

È così per gli apostoli, per gli innamorati che sanno di poter perdere la vita senza paura, senza problemi. Quanto è difficile stancarsi senza riposo! Quanto è difficile vivere stanchi senza che ci importi! In cielo arriverà il riposo. Le acque che scorrono e non si fermano. Le acque che non riposano finché non arrivano al mare. Le acque profonde e chiare. Le acque che mostrano la luce di Dio.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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