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A Roma una “cupola” mafiosa per fare soldi sui rifugiati

Immigrants Center Astalli

© ALESSIA GIULIANI/CPP

Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 04/12/14

Guarino (Centro Astalli): “sono i rischi di un sistema basato su una perenne ‘emergenza’”

“Tu c'hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”: è la dichiarazione inequivocabile intercettata nel corso delle indagini della Procura di Roma che hanno svelato la “cupola” di affari e politica che ha avviluppato la città creando, tra l’altro, un business molto redditizio attraverso le cooperative cui era affidata  l’accoglienza di immigrati e rifugiati. Un’inchiesta dai contorni “sempre più inquietanti”, come ha scritto L’Osservatore Romano, che può portare a ripercussioni e rischio paralisi nel Comune di Roma, ma anche sul mondo della cooperazione. Il 4 dicembre un cartello di associazioni impegnate nel sociale, tra le quali il Centro Astalli del Servizio dei gesuiti per i rifugiati, la Comunità di Sant’Egidio, Libera, la Comunità ebraica di Roma, ha promosso la manifestazione “Roma città aperta, sicura e inclusiva” per affermare la necessità di interventi pianificati che creino i giusti presupposti per l’integrazione socio-culturale degli immigrati e insieme il recupero delle periferie. Aleteia ne ha parlato con Berardino Guarino, direttore progetti del Centro Astalli.

La manifestazione diventa una risposta anche ai fatti svelati dalla Procura di Roma?

Guarino: La manifestazione è stata pensata dopo i fatti di Tor Sapienza per riaffermare che se ci sono problemi nelle periferie questi non si risolvono prendendosela con i rifugiati. I fatti di questi giorni rivelano l’esistenza di delinquenti che non si sono fatti scrupolo di utilizzare bandi e programmi sociali per lucrare anche sulla pelle dei rifugiati. L’obiettivo era far soldi, per cui non c’è distinzione tra rifugiati, rom, verde pubblico o raccolta dei rifiuti. Tuttavia se si  continua a gestire il problema dell’accoglienza a migranti e rifugiati nel nostro paese con un criterio di emergenza, attraverso appalti a cui possono partecipare tutti, espone al rischio che qualcuno se ne approfitti.

Siete stati sorpresi o avevate qualche sentore di quanto avveniva?

Guarino: Il degrado che emerge dai fatti denunciati dalla Procura non può non impressionare: dalle intercettazioni emerge una tale mercificazione assoluta di qualsiasi cosa che colpisce. E’ stata portato a degenerazione anche il valore della cooperazione sociale, che invece è un valore molto positivo che mette insieme le persone per creare lavoro e offrire servizi importanti. In varie sedi abbiamo diverse volte segnalato il rischio che si corre a lavorare in emergenza e anche per grandi numeri, così che gli appalti vengono attribuiti alle strutture più grandi che, con meno scrupoli e nell’ottica di lucrare, possono offrire i prezzi più bassi, ma servizi di scarsa qualità. Succede così che si portino cento persone in un grattacielo solo perchè è il posto più economico che c’è, senza curarsi del fatto che l’accoglienza è qualitativamente bassa e va ad incidere in un territorio che ha già dei problemi. Mentre il sistema dello Sprar garantisce il rispetto di alcuni indicatori, questo altro sistema si traduce – alla fine – in risorse sprecate, perchè non progettuali. Un servizio richiesto a volte solo per tre mesi o sei mesi si risolve sostanzialmente in un “parcheggio”. C’è una cattiva impostazione di fondo. Occorrerebbe, invece, programmare l’accoglienza in luoghi già conosciuti perchè qualificati o perchè inseriti da tempo nel territorio con una storia di solidarietà.

Questi fatti possono accrescere il sospetto o la contarietà di parte dell'opinione pubblica verso il tema immigrazione?

Guarino: In realtà il malaffare va dove ci sono i soldi, qualunque sia il campo da lucrare. Semmai aumenterà la sfiducia verso la politica che ha dimostrato di non avere gli anticorpi contro la corruzione e il degrado. Anche il mondo della cooperazione dovrà avviare una riflessione sul venir meno dell’ideale della solidarietà che non significa gratuità, me nemmeno desiderio di lucrare. Tuttavia la risposta è nel gestire in modo diverso i problemi che ci sono. Bisogna ridurre al massimo lo spazio dell’emergenza, perchè nell’emergenza si certificano cose che normalmente non sono ammesse. Il programma Sprar richiede, ad esempio che i centri siano piccoli, in luoghi già riconosciuti come luoghi di accoglienza, in relazione con il territorio, soggetti a monitoraggio. Ci sono gli elementi progettuali per impedire che venga accesa la “rabbia delle periferie” e accresciuta la possibilità di una buona convivenza che rispetti i diritti di tutti. 

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