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Miró: l’artista grande e umile che ammirava Santa Teresa di Gesù

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Enrique Chuvieco - pubblicato il 02/12/14
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Pilar Cabañas, docente di Storia dell’Arte presso la UCM, segnala la passione del pittore catalano per i misticiIn Joan Miró “c'è sempre stata una piccola luce che lo spingeva ad andare oltre, a non fermarsi”, sottolinea Pilar Cabañas, dell'Università Complutense di Madrid (Spagna), che ha pubblicato di recente Miró. El camino del arte (edizioni Encuentro). “Cammino di perfezione”, sottolinea la docente, basato sull'ascetica continua dell'artista catalano di rinunciare “a se stesso e a quanto aveva imparato”, perché concepiva l'arte “come un dono ricevuto, come una vocazione e una facoltà di diffondere semi che rendano migliori gli uomini”.

Tutto il contrario di Picasso, secondo quanto emerge nel libro, che Miró accusò di “mancanza di dignità umana” dicendo che le sue opere diventavano “deboli e vuote nel tempo”.

Cosa l'ha affascinata di Joan Miró per decidere di scrivere di lui?

La sua perseveranza, e dall'altro lato la profondità con cui impostava la sua creazione, che ti fa scoprire che gli artisti non sono affatto banali, come pensano molti, soprattutto per quanto riguarda Miró, di cui si sente spesso dire che chiunque avrebbe potuto fare ciò che ha fatto lui. Mi sono chiesta come poteva essere criticato o sminuito qualcuno di una tale profondità per il grande pubblico, per cui ho deciso di far conoscere la profondità delle sue impostazioni creative.

Come storici dell'arte, spesso ci limitiamo a catalogare le opere: quando è stata realizzata, chi ce l'ha, quanto è costata, il contesto socio-politico del momento… Di Miró si è pubblicato molto ordinato cronologicamente, ma nessuno si è fermato ad analizzarlo a livello tematico. Quello che mi è sembrato interessante è stato mostrare la coerenza della sua traiettoria, soprattutto perché Miró mi era sembrato un modello di artista.

Può spiegare meglio quest'ultimo aspetto?

Miró – anche quando era già anziano – continuava ad avere una grande forza creativa. Quando si arriva alla vecchiaia, è normale diventare conservatori; lo vediamo in artisti attuali che hanno trovato il proprio stile e le chiavi con cui potersi far riconoscere dal pubblico e dalle gallerie d'arte. E allora si rilassano, ma per Miró non è stato così.

Se tracciassimo un grafico della sua traiettoria, lo vedremmo sempre ascendente, anche se con le sue “notti oscure”, come per tutti, ma in lui c'è stata sempre quella piccola luce che lo spingeva ad andare oltre, a non fermarsi, a rinunciare a se stesso e a quanto aveva imparato (in un periodo pensò di bruciare le sue opere).

Sottotitola il suo omaggio a Miró con le parole “Il cammino dell'arte”. Cosa può dirci al riguardo?

In lui si apprezza molto chiaramente grazie alle testimonianze che sono rimaste (non è lo stesso per artisti di altri secoli) il fatto che riuscì a unire vita e arte come un'esperienza che si retroalimenta. Ciò ci fa vedere che il cammino dell'arte è un cammino di perfezione, perché considera che deve abbandonare quello che è stato imparato visto che percepisce di non poter andare oltre, così come ciascuno trova una serie di limiti nella sua vita personale che gli impediscono di progredire nel cammino professionale o in quello personale.

Quante volte bisogna fare un salto nel buio, come ha fatto Miró, visto che è molto facile fermarsi a ciò che si sa! Quando la vita chiede qualcosa di più, però, è più difficile farlo, perché comporta il rischio di non trovare qualcosa che aiuti ad andare avanti. Miró si chiedeva – figura nel libro – cosa si sarebbe detto della sua arte in futuro.

Gli interessava che dicessero non che rompeva gli schemi o che aveva una mano geniale, ma che aveva aiutato a liberare lo spirito degli uomini, di modo che questi potessero superare i propri pregiudizi e rinnovarsi.

Si parla spesso della funzione sociale dell'arte e si pensa alla denuncia e alla rivendicazione. Miró, invece, affronta il nucleo essenziale della funzione sociale dell'arte: che l'uomo trovi la sua pienezza. Poi può cercare aree più estetiche, economiche, pedagogiche, docenti…, ma l'essenza dell'arte è dare dignità all'uomo. Sembra molto astratto, ma risulta evidente in esperienze concrete, ad esempio quando ci si sente meglio all'uscita di un concerto che ci ha colpiti. Ci sono esperienze che si fanno di fronte a un'opera d'arte che commuovono perché invitano a un atteggiamento più positivo o a un cambiamento, a una speranza.

Il cammino di perfezione” che piaceva tanto a Miró di una delle sue autrici preferite, Santa Teresa…

Sì. Ci si chiede perché tanti artisti contemporanei si concentrino su di lei o su San Giovanni della Croce se molti di loro non sono neanche credenti. Ci si rende conto che l'esperienza che narra San Giovanni della Croce è molto vicina a quella della creazione artistica, e forse questa vicinanza fa sì che i mistici siano tanto ammirati.

Tornando alla semplicità appartente con cui Miró elabora le sue forme, per valorizzare le sue opere basta che piacciano?

Nell'arte contemporanea siamo passati da qualcosa che bisogna capire a qualcosa che bisogna solo sentire e sperimentare, ma c'è una via di mezzo. Fin da piccoli veniamo educati a non lasciare la scarpe ovunque, a piegare i vestiti e ad andare in giro sistemati per rispetto per gli altri, ma non veniamo educati alla sensibilità artistica.

Quando si dice a un bambino nel parco che bisogna condividere, gli si offrono delle chiavi. Nell'arte è uguale: se ai bambini non si danno dei modelli (ci saranno straordinariamente quelli che li hanno in modo naturale) sul colore, la forma, la sensibilità artistica così presente, ad esempio, nella cultura asiatica, si sta negando loro una grande ricchezza.

Allora una persona di cinquant'anni che non ha avuto una minima formazione artistica capirà difficilmente l'arte contemporanea…

In effetti c'è un aspetto che ha a che vedere con il fatto che un'opera piaccia anche se non la si capisce, ma non si può raggiungere una profondità maggiore se non si dispone di una formazione artistica, ad esempio su certe pennellate o una composizione. Ho l'esempio dei miei figli, che non si riesce a portare in un museo neanche a trascinarli!

Ad esempio, perché i bambini si divertono con la plastilina fino a dieci anni e poi la abbandonano? Se si lasciassero volare questi bambini con l'immaginazione e si continuasse ad esortarli a sperimentare con i colori, andrebbero avanti. Ciò che conta, invece, sono in primo luogo la matematica e l'inglese. In questo modo, diciamo loro che è questo l'importante. Con questo sistema educativo, siamo condannati a far sì che non valorizzino il patrimonio artistico che possediamo una volta arrivati a dirigere la società.

Miró diceva di Picasso che le sue opere diventavano deboli e vuote con il tempo, e lo accusò di mancanza di dignità umana…

Picasso diventa frivolo con la sua genialità. Miró, invece, con le difficoltà che ha avuto – il suo spirito andava davanti alle sue capacità –, è il contrario: aveva un grande impegno nei confronti della sua vocazione artistica e una grande fede nella funzione dell'arte. Non ho riscontrato questo impegno così profondo con l'arte in Picasso. In lui c'è sempre una sfida ad essere il primo, il più progredito, a dimostrare la sua genialità e a stare sul mercato. In Miró la necessità di cercare l'applauso non è tanto impellente.

Personalmente non sono riuscita a vedere in Picasso quell'impegno nei confronti dell'arte come dono ricevuto, come una vocazione, cosa che aveva invece Miró, che concepiva la sua arte e il suo lavoro come elementi che possedevano la capacità di spargere semi che rendono migliori gli uomini. L'artista di Malaga era un innovatore perché ha mandato in frantumi gli schemi artistici, e va ringraziato per questo, visto che ha aiutato la bellezza a progredire. Ma si aggroviglia spesso in un turbinio che lo porta all'autocompiacimento. Credo che buona parte delle sue opere non dovrebbe stare nei musei.

Nel suo libro riferisce, con testi di Miró, la sua spiritualità e l'impatto che gli provocavano la natura e le cose. Sembra che cercasse l'essenza di tutto ciò che lo circondava…

Era un uomo molto semplice e umile, virtù, almeno per me, che fanno sì che una persona sia capace di lasciarsi sorprendere dalla realtà mantenendo allo stesso tempo l'innocenza. Lo percepiamo in buona parte della sua opera.

Egli dice che l'artista “deve essere disposto a lavorare nella massima indifferenza e oscurità”…

Già nella sua prima fase, quando dipinge le spighe e gli insetti, parla di come entrare in quella spiga e, come i pittori cinesi, non fermarsi alla superficie. Essi ritengono che per dipingere un bambù si debba diventare un bambù. L'ingenuità con cui è ideata La masía (1920-1922), con le lucertole, i galli e gli altri animali, deriva da questa impostazione: comprendere fino in fondo ciascuno degli elementi. Questo modo di affrontare la realtà, semplificando l'essenza di questi elementi, lo porta all'astrazione.

Egli riconosce di non aver mano per il disegno…

È così, per cui è ammirevole e ha avuto grande merito nel riuscire a trarre da dentro questo fiume di sensibilità. Bisogna vedere con realismo quali sono le proprie attitudini. È come il giovane Daniel Stix, sportivo handicappato che appare nell'annuncio di Cola-Cao e fa tutto. Picasso, invece, aveva tutto.

In questo senso, quando l'artista Chillida è venuto a Madrid e tutti lo lodavano per quanto disegnava bene, si chiedeva in solitudine se potesse essere arte quello che per lui era così semplice. Il giorno dopo cambiò mano e iniziò a disegnare con la sinistra.

Miró ha ottenuto scarso riconoscimento in Spagna durante il franchismo…

Ci sono artisti che sono andati in esilio dopo la Guerra Civile, ma lui ha subito “l'esilio interiore”, come li definiamo noi storici. È rimasto qui, ma non ha partecipato al regime. Quando Franco era sul punto di morire gli hanno offerto di realizzare una retrospettiva al Museo di Arte Contemporanea, quando era ormai una figura consacrata nel panorama internazionale. Ha partecipato a mostre a Barcellona. Si è rinchiuso tra Mallorca, Barcellona, Parigi e Stati Uniti, per cui la sua attività si è svolta più fuori che dentro.

Nei suoi scritti, l'artista catalano allude a Dio e alla “necessità di scoprire l'essenza religiosa” per “non aggiungere nuove fonti di abbrutimento a quelle che si offrono oggi ai popoli”…

Ci sono molti riferimenti a Dio nei suoi scritti giovanili, meno in quelli successivi. Ciò che sappiamo grazie a testimonianze è che accompagnava la moglie a Messa.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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