Al Seraphicum ciclo di incontri per riflettere sui testimoni della speranzaPapa Francesco ne parla continuamente nei suoi discorsi. Papa Benedetto XVI le ha dedicato la sua seconda enciclica, la Spe Salvi. Più sul mondo sembra calare una coltre di oscurità e di sfiducia, più la Chiesa tenta di rivitalizzare la sua luce. La luce della speranza, senza la quale il percorso degli uomini si fa – è l’etimologia stessa a suggerircelo – disperato ed incerto. Soprattutto, si fa inutile, perché quello che viene a mancare è la sua destinazione. Ma come può un cristiano oggi riscoprire la speranza? Come può illuminare con quella fiaccola che si accende nella sua vita spirituale la sua vita di cittadino e testimoniarla al prossimo? Che rapporto c’è tra la grande speranza che scopriamo nella nostra fede con le piccole e meno piccole speranze che sperimentiamo ogni giorno? Il nuovo ciclo di incontro invernali, dal titolo "Spe Salvi – Apprendere e testimoniare la speranza con Benedetto XVI", promossi dalla Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum, saranno l’occasione per riflettere su questi percorsi. Il primo incontro si è svolto domenica 30 novembre – i successivi si svolgeranno tra gennaio e marzo – ed è stato condotto dal preside della Facoltà, fra Domenico Paoletti, sul tema “Sperare di/sperare: introduzione alla Spe Salvi di Benedetto XVI”. Abbiamo chiesto a Fra Paoletti di condividere con noi qualche spunto di riflessione.
Come nasce l’idea di questo ciclo di incontri?
Paoletti: Durante l’Anno della Fede di due anni fa, avvertendo l’esigenza di approfondire il tema della fede insieme ai cittadini del nostro territorio, l’Eur, proponemmo loro un ciclo di incontri. Ci fu una bella risposta, tanto che ne venne l’esigenza di ritrovarci ancora: per questo l’anno scorso abbiamo organizzato cinque incontri sulla Lumen Fidei, la prima enciclica di Papa Francesco. Quello che è interessante notare, oltre al livello delle persone coinvolte, è il metodo che abbiamo adottato: c’è una prima proposta del tema, la mattina, dopo i saluti e la colazione, poi c’è un tempo di riflessione personale, cioè due ore di silenzio dove le persone possono raccogliersi e pregare. Il terzo momento è la celebrazione eucaristica, molto curata, con canti e letture dove si sviluppa il tema della proposta. A seguire c’è un’altra occasione importante, quella della mensa condivisa, durante la quale ci si conosce meglio, si fa amicizia. Dopo il pranzo c’è un po’ di ricreazione, seguita da un nuovo momento di confronto e di condivisione. È un metodo che cerca di coinvolgere la persona in tutte le sue dimensioni: non solo nell’aspetto intellettuale, ma anche in quello affettivo, relazionale e della fede. Quest’anno chiediamo alle persone di riflettere sulla speranza. Fede e speranza sono temi intrecciati, e approfondiremo la seconda enciclica di Benedetto XVI, la Spe Salvi. Abbiamo aperto il 30 novembre, la data in cui questa fu pubblicata, ma anche il giorno di S.Andrea, l’apostolo che morì in Turchia, la terra dove il papa è in questi giorni. La data del 30 ci fa pensare anche alla speranza del dialogo ecumenico.
In che modo la speranza diventa attuale, oggi?
Paoletti: L’attualità del tema lo colgo anche da quanto papa Francesco ha appena detto al Parlamento Europeo. Ha lanciato un messaggio molto forte, dicendo che oggi la crisi d’Europa e del mondo è una crisi di speranza, di futuro, di fiducia, e che occorre rimettere al centro della vita questa speranza, senza la quale non si vive. Ma, dice papa Benedetto XVI nell’enciclica che andremo ad approfondire, non le piccole speranze, ma occorre partire dalla “grande speranza”, questo ancoraggio al trascendente, all’eternità, a Dio. Il simbolo della speranza nell’arte paleocristiana è l’àncora, che si aggancia all’altra sponda della vita per attrarla a sé, per farla camminare. La speranza è la sorella più piccola che fa camminare la fede e la carità. In questo tempo un po’ appiattito sul presente, sul contingente, dobbiamo riscoprire questa speranza che dà senso al tutto, la grande speranza in Dio senza la quale le piccole o grandi speranze terrene spariscono.
Quale speranza ci racconta l’enciclica di Benedetto XVI?
Paoletti: Rimette al centro la Pasqua di nostro Signore Gesù Cristo. Questo è il fondamento della speranza, che non è un’ideologia, un pio affetto, un’illusione, ma si fonda sull’evento che ha vinto la morte, l’ostacolo finale con cui noi ci continuiamo a confrontare. L’Enciclica di Benedetto rimette al centro l’eternità, che Dio ci dà attraverso Gesù Cristo e alla quale noi siamo chiamati. Io quando parlo con coloro che incontro e che mi chiedono “come stai?” rispondo sempre: “sto bene, ma starò meglio!”. È un cammino verso la Terra Promessa, questo è l’aspetto più bello che emerge dall’enciclica. Con questo orizzonte, dice anche papa Francesco, la terra non ci basta e guardiamo al cielo. È un forte impegno: dice Benedetto che con la speranza siamo più impegnati perché dobbiamo preparare questo mondo, è un cammino escatologico verso il compimento. Il cristiano che spera è quello più coinvolto: i missionari infatti sono i più impegnati, sono coloro che credono che questo mondo li prepari a questa pienezza.
Come si diventa testimoni della speranza?
Paoletti: La speranza va testimoniata. Io parlo di tre segni che dovrebbero accompagnare un testimone che vive la speranza. Il primo è il distacco dalle cose, la libertà dalle cose, la sobrietà, l’essenzialità, il non essere appesantiti. Il secondo segno che io noto, che Francesco e Benedetto ci ricordano, è la gioia di chi si accontenta e non è preoccupato per le difficoltà che può incontrare domani, perché il futuro viene da Dio. Il terzo segno è preparare la storia, l’uomo e il mondo a questo incontro finale, un impegno a salvare il mondo: il mondo politico, culturale, sociale, di diverse vocazioni. Questo è un altro segno della speranza dell’uomo impegnato: non è afflitto da preoccupazioni pagane, ma vive con gioia la scioltezza di camminare con gli altri verso la pienezza. Ricordo una frase molto bella di Gabriel Marcel: “Io spero in te, Dio, per noi”. Questo è l’impegno dell’uomo che vive la speranza.