A Istanbul la Dichiarazione congiunta di Francesco e Bartolomeo I chiede pace per Medio Oriente e Ucraina e assicura la prosecuzione del dialogo ecumenicoA Istanbul l'unità dei cristiani sembra davvero più vicina, tradotta da papa Francesco e il patriarca ecumenico Bartolomeo I, in gesti e parole che rappresentano altrettante pietre miliari sulla strada del dialogo tra la chiesa cattolica e quella ortodossa.
Nell'ultimo giorno del viaggio di Bergoglio in Turchia, Bartolomeo lo ha accolto di nuovo al Fanar per festeggiare insieme la solennità di S. Andrea, fratello di S. Pietro e patrono del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. E' una tradizione consolidata che i leader delle due chiese si scambino visite in occasioni della festa dei patroni. Anche Bartolomeo I è stato a Roma il 29 giugno scorso per la ricorrenza di S. Pietro e Paolo e, tra un'occasione e l'altra, è già la quinta volta che i due si incontrano.
Perchè l'incontro è fondamentale per il dialogo, affermano entrambi, l'uno di fronte all'altro nella chiesa patriarcale di S. Giorgio del 1720, senza cupola, in quanto secondo la regola stabilita dagli Ottomani dopo la conquista della città, la cupola fu ritenuta appannaggio delle sole moschee.
Il corso della storia ha cambiato direzione, afferma Bartolomeo nell'omelia della Divina liturgia, cuore della vita delle chiese ortodosse, quando Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora si sono incontrati in Terra Santa cinquanta anni fa e "i cammini paralleli e talvolta contrastanti delle nostre Chiese si sono incontrati nel comune sogno del ritrovamento dell'unità perduta".
Un autentico dialogo è sempre "un incontro tra persone con un nome, un volto, una storia e non solo un confronto di idee" gli fa eco Francesco, nel suo intervento dopo l'omelia, sottolineando come la discussione teologica in corso tra le due chiese per superare le divisioni debba essere accompagnata dalla possibilità di guardarsi negli occhi e scambiarsi abbracci di pace. Proprio come hanno fatto loro ieri al termine della preghiera ecumenica con il gesto straordinario del pontefice che ha chinato la testa per avere una benedizione insieme "alla Chiesa di Roma" e l'altro gesto altrettanto straordinario di Bartolomeo che lo ha baciato sul capo e poi stretto in un abbraccio.
Francesco ricorda i 50 anni della promulgazione della Unitatis Redintegratio, il documento sull'ecumenismo del Concilio Vaticano II e assicura il rispetto del principio che vi è contenuto sul rispetto non solo delle tradizioni liturgiche e spirituali, ma anche delle discipline canoniche delle chiese d'Oriente. Il rispetto di tale principio è "condizione essenziale e reciproca" per il ristabilimento della piena comunione tra le due chiese.
"Piena comunione – sottolinea Francesco scartando tutte le parole che hanno favorito il sospetto reciproco – non significa nè sottomissione l'uno all'altro, nè assorbimento, ma piuttosto accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato a ciascuno". "Voglio assicurare a ciascuno di voi – scandisce il pontefice con mite decisione – che per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune, e che siamo pronti a cercare insieme, alla luce dell’insegnamento della Scrittura e dell’esperienza del primo millennio, le modalità con le quali garantire la necessaria unità della Chiesa nelle attuali circostanze". "L’unica cosa che la Chiesa cattolica desidera e che io ricerco come Vescovo di Roma, “la Chiesa che presiede nella carità” – insiste facendo riferimento a quel suo primo definirsi dalla Loggia di S. Pietro la sera dell'elezione molto apprezzato dagli ortodossi, – è la comunione con le Chiese ortodosse".
E' il mondo di oggi a richiedere alle due chiese – quasi due miliardi di fedeli insieme, sparsi in tutti i continenti – di vivere fino in fondo l'essere discepoli di Gesù: la voce dei poveri, delle vittime dei conflitti, dei giovani senza lavoro e sfiduciati o che credono solo nei beni materiali.
Infatti, afferma a sua volta Bartolomeo "per tutto il tempo che noi siamo impegnati nelle nostre dispute, il mondo vive la paura della sopravvivenza e l'ansia del domani" a causa di divisioni e conflitti "molte volte addirittura nel nome di Dio" in un pianeta distrutto senza pietà dalla cupidigia dell'uomo.
"Questa fede, che abbiamo conservato in comune in oriente e occidente per un millennio – afferma il patriarca di Costantinopoli – siamo chiamati di nuovo a porre come base della nostra unità". C'è un dovere verso il futuro: "a cosa serve la nostra fedeltà al passato – afferma Bartolomeo che ha i suoi problemi con il resto del mondo dell'ortodossia e a conservare il ruolo di primus inter pares soprattutto rispetto al patriarca di Mosca Kirill che lo accusa di voler fare il 'papa ortodosso' – se questo non significa nulla per il futuro?". Tra l'altro, non c'è "più il lusso per agire da soli" in quanto i persecutori dei cristiani non fanno distinzioni tra chiese e l'unità "si attua già in alcune regioni attraverso il martirio".
Le stesse regioni – Iraq, Siria, Medio Oriente – per le quali viene espressa preoccupazione e richiesto ancora una volta l'intervento della comunità internazionale – nell'ambito della Dichiarazione comune che viene firmata dal pontefice e dal patriarca alla fine della Divina liturgia e dopo la benedizione ecumenica fatta insieme dal balcone del patriarcato incorniciato di rose bianche e rosse come i colori della bandiera turca. La dichiarazione invoca pace per l'Ucraina e invita tutti i leader religiosi a rafforzare il dialogo per costruire la pace assicurando l'importanza per le due chiese di un dialogo costruttivo con l'Islam oltre alla prosecuzione del dialoto teologico portato avanti dalla Commissione mista internazionale. La Chiesa ortodossa celebrerà nel 2016 il Grande Sinodo con tutte le 14 chiese autocefale della sua tradizione e si spera, afferma Bartolomeo, che possano partecipare anche degli osservatori della Chiesa cattolica come già avviene per i sinodi di questa.
"Caro fratello, carissimo fratello – lo interpella papa Francesco con un grande sorriso, mettendo da parte l'appellativo 'santità che ha contraddistinto il discorso ufficiale – siamo già in cammino verso la piena comunione e già possiamo vivere segni eloquenti di un’unità reale, anche se ancora parziale". E a guardare l'affetto con cui tornano ad abbracciarsi, sembra più facile crederlo.