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Se Charles Schulz era un evangelizzatore…

strip of Charles Schulz

© United Feature Syndacate

Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 26/11/14

Il creatore di Snoopy e Charlie Brown non è stato solo un grande fumettista
Oggi, nel 1922, nasceva Charles Schulz. Se non sapete chi è allora avete passato una infanzia o una adolescenza piuttosto infelici, diciamocelo. Schulz era un disegnatore, ma soprattutto è il creatore dei Peanuts, vale a dire Linus, Snoopy e Charlie Brown e così via. Fu – è morto a causa di un cancro nel 2000 – un uomo profondamente legato alla sua fede, ed ebbe la grande generosità di mettere molto di se stesso nei piccoli bimbi e il loro cane, che disegnava quotidianamente per diversi giornali americani.

Non tutti sanno che 1948 Schulz si convertì al cristianesimo, diventando uno dei membri più attivi della sua congregazione. Promosse persino iniziative di evangelizzazione agli angoli delle strade per annunciare la rivelazione del Cristo ai non credenti (Panorama, 26 febbraio).

Ed è molto interessante l’universo teologico e umano che è possibile riscontrare nelle sue opere come riportato dal sito LeftWing (2005) che ci rammenta di come egli:

Fu adepto e, per un certo periodo, attivista della Church of God, una comunità metodista facente parte del variegato e a volte pittoresco mondo del protestantesimo statunitense. Già il teologo ed esegeta schulziano Robert L. Short pubblicò, anni fa, una serie di fortunati libri (usciti in Italia con i titoli Il vangelo secondo Charlie Brown, La Bibbia secondo Linus, Le parabole secondo Snoopy, tutti editi da Piero Gribaudi Editore) che illustravano in maniera chiara quanto la poetica e i testi delle strip di Schulz dovessero alla fede religiosa del loro autore. Di religione, tuttavia, nei Peanuts si parla pochissimo, lo stretto indispensabile per contestualizzare in modo elementare alcuni eventi che scandiscono il tempo eternamente ritornante dei piccoli protagonisti (la recita di Natale, ad esempio, incubo ricorrente del povero Linus) o per consentire ai “teologi” del gruppo (con sfumature diverse: Linus – il più tecnicamente preparato; Charlie Brown – incline a un pessimismo da Ecclesiaste; e Snoopy – perlopiù cantore di un Dio panico latore di spensierata felicità) di procedere con le loro riflessioni. Il resto, cioè la gran parte del dipanarsi delle vicende raccontate nelle strisce, è la vita con i suoi aspetti fondamentali, attraversata dai tentativi più disparati e sempre vani di raggiungere la salvezza: la ricerca affannosa di quell’unica, irraggiungibile vittoria a baseball che renderebbe finalmente Charlie Brown un bambino in pace con l’universo; l’attesa sempre frustrata del Grande Cocomero da parte di Linus e degli altri personaggi che, di volta in volta, il secondogenito dei Van Pelt riesce a coinvolgere con piglio da evangelizzatore; la scimmiottatura dell’introspezione terapeutica realizzata da Lucy con il baracchino dello “Psychiatric Help”; la sfrenata creazione di mondi paralleli e di ruoli eroici da parte di Snoopy; e ancora: il pianoforte e il culto di Beethoven per Schroeder; l’understatement sfigato, ma autoconsapevole di Piperita Patty; il divertente egotismo di Sally, che aspira con ogni sua stilla di energia e pensiero a un mondo di cui lei sia il centro; infine, ma tralasciandone molti altri, il correlativo oggettivo e il simbolo di tutta la strip: la coperta di Linus, vero e proprio totem postmoderno con una capacità evocativa così potente da diventare proverbiale. Di fronte a questa idolatrica (e perciò comica) ricerca di salvezza, Schulz sa perfettamente che l’unico peccato imperdonabile (l’evangelica “bestemmia contro lo Spirito Santo”) è l’incapacità di riconoscersi peccatori. Pertanto, le idolatrie che percorrono le strisce dei Peanuts non sono mai assolute e definitive, ma prevedono, piuttosto, sempre un punto di ritorno. Sono, letteralmente, “giochi” che il subcreatore del piccolo mondo dei Peanuts lascia giocare alle proprie creature, seguendo il filo della “libertà” insita nei caratteri che lui stesso ha creato e lasciato sviluppare lungo i decenni. Sempre e comunque, ogni personaggio dei Peanuts ritorna, attraverso il “travaglio del negativo”, ad appartenere a quella compagnia, al destino che gli altri personaggi rappresentano. Non c’è salvezza, sembrerebbe suggerire Schulz, se non nell’appartenenza gli uni agli altri, nel segno di un affetto, di un’amicizia, di un amore che non possono essere distrutti nemmeno dalla più spietata cattiveria (quella palla da football sempre sottratta al piede del povero Charlie Brown, ad esempio). Il peccato, l’inadeguatezza, la fragilità che percorrono ogni dimensione dell’umano sono vinti, suggerisce Schulz, dalla comunione e da niente altro, giacché la comunione tra gli uomini (per tacer del cane, definito da Short addirittura “Hound of Heaven”, vero e proprio Alter Christus dell’intera saga) è il segno misterioso, ma tangibile, del divino nella storia. Poche volte la Chiesa, la comunità di coloro che sono destinati alla salvezza (cioè, l’umanità intera), è stata rappresentata con maggiore efficacia.

Secondo il sito Evangelo.it, dalle strisce dei Peanuts traspare “una realtà cristiana e le verità fondamentali della vita”.

“Il pessimismo delle strisce di Charlie Brown, dunque, si rivela alla fine come l’unico ottimismo autentico, quello del cristiano, che pur essendo ben consapevole e partecipe al dolore e alla debolezza umana (tali le caratteristiche dei personaggi di Schulz), trae la sua fiducia dalla certezza che l’uomo non è solo, e che c’è Qualcuno che può trasformarlo e dargli la vera gioia. Per Schulz questo Qualcuno era il Dio della Bibbia in cui aveva riposto la sua fede, tanto da fargli affermare questo: “So solo che rileggendo la Bibbia , ogni volta imparavo qualcosa”. È proprio nella Bibbia che troviamo queste parole: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo” (Mt 11, 28)”.

L’impatto dell’allegra brigata disegnata con amore, ironia e quel giusto tocco di cinismo, ce lo svela Wikipedia che nella voce che lo riguarda scrive che “il quotidiano londinese The Times lo ha ricordato, il 14 febbraio 2000, con un necrologio che terminava con la seguente frase: “Charles Schulz leaves a wife, two sons, three daughters, and a little round-headed boy with an extraordinary pet dog” (ovvero: “Charles Schulz lascia una moglie, due figli, tre figlie e un piccolo bambino dalla testa rotonda con uno straordinario cane”)”.

Non avremmo saputo dirlo meglio, se non forse così…

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