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Una Chiesa che ama le donne sacerdote e anche vescovo

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AFP PHOTO PATRICK BERNARD

Greg Daly - Aleteia - pubblicato il 20/11/14

Gli anglicani inglesi aspettano il primo presule donna per Natale

“Cristo non ci chiederebbe mai di fare qualcosa di immorale”, ha detto l'arcivescovo di Boston (Stati Uniti), il cardinale Seán O’Malley, al 60 Minutes della CBS domenica sera, quando gli è stato chiesto se è immorale che la Chiesa non ordini le donne al sacerdozio.

Spiegando che “la tradizione della Chiesa è che abbiamo sempre ordinato uomini, e che il sacerdozio riflette l'incarnazione di Cristo, che nella sua umanità è un uomo”, il cardinale ha dichiarato che la posizione della Chiesa è “una questione di vocazione e di ciò che Dio ci ha dato”.

“Se io stessi fondando una Chiesa”, ha detto, “mi piacerebbe avere donne sacerdote, ma l'ha fondata Cristo, e ciò che ci ha dato è diverso”.

Neanche un giorno dopo, dall'altra parte dell'oceano, il sinodo generale della Chiesa d'Inghilterra ha votato per inserire nel diritto canonico la legislazione necessaria a permettere alle donne di diventare vescovi della Chiesa d'Inghilterra. La decisione inglese seguiva cambiamenti simili nelle Chiese anglicane di Scozia, Galles e Irlanda. Pat Storey, vescovo della Chiesa irlandese di Meath e Kildare, è la prima donna vescovo d'Irlanda – uno dei 29 vescovi di questo tipo in tutta la Comunione Anglicana. Con cinque posti vacanti inglesi per vescovi di rango inferiore – definiti “suffraganei” – e quattro diocesi che hanno bisogno di vescovi, l'Inghilterra potrebbe avere i suoi primi vescovi anglicani donna prima della fine dell'anno.

Padre Ed Tomlinson, sacerdote dell'Ordinariato Personale di Nostra Signora di Walsingham, descrive questa mossa come una dimostrazione di “una comprensione radicalmente diversa degli ordini sacri da quella del cristianesimo storico e normativo”. L'ex chierico anglicano sottolinea che i media esortano la Chiesa cattolica a seguire l'esempio ma “Roma non è contro le donne vescovo a causa delle sue convinzioni sulle donne, ma per le sue convinzioni sui vescovi”.

Il voto di lunedì nella Church House di Westminster sull'emendamento del canone 33 ha avuto una lunga gestazione, visto che la Chiesa d'Inghilterra ha ordinato le donne prima diaconi nel 1987 e poi sacerdoti nel 1994. Nel 2005 il sinodo generale ha votato l'eliminazione degli ostacoli legali al fatto che le donne potessero diventare vescovi, ma nel 2012 la House of Laity del sinodo ha respinto la legislazione necessaria per appena sei voti. Nel luglio scorso, tuttavia, il sinodo ha approvato la legislazione con i due terzi dei voti richiesti, e il comitato ecclesiastico del Parlamento ha sostenuto il cambiamento a ottobre, per cui la rimozione dell'ultimo ostacolo era quasi una formalità.

La strada per arrivare a questo punto non è stata liscia. Nella comunità anglicana inglese non mancavano quanti pensavano che ordinando donne – al sacerdozio o all'episcopato – la Chiesa d'Inghilterra si stesse allontanando dagli insegnamenti di Cristo, dalla tradizione della Chiesa e dalla più ampia famiglia cristiana.

Lunedì, però, neanche 30 dei circa 480 partecipanti al sinodo hanno alzato la mano per opporsi alla mozione, che per passare aveva bisogno della maggioranza semplice. A luglio c'era stata una seria opposizione. Susie Leafe, direttore del gruppo evangelico conservatore Reform, ha detto alla BBC di essere rimasta “molto delusa” dalla decisione, affermando che c'è “almeno un quarto della Chiesa alle cui convinzioni teologiche questo 'pacchetto' non risponde”. Il prebendario David Houlding, membro del gruppo cattolico del sinodo, ha espresso preoccupazione a luglio per il modo in cui il cambiamento potrebbe influire sulle relazioni anglicane con la Chiesa cattolica.

Echeggiando i timori di Houlding, l'arcivescovo di Birmingham Bernard Longley, presidente del Dipartimento per il Dialogo e l'Unità della Conferenza dei Vescovi Cattolici di Inghilterra e Galles, ha risposto alla decisione di luglio ribadendo l'impegno della Chiesa al dialogo con la Comunione Anglicana e in particolare con la Chiesa d'Inghilterra. Sottolineando che “l'obiettivo del dialogo ecumenico continua ad essere la piena comunione ecclesiale visibile”, l'arcivescovo ha detto che ciò richiede “una piena comunione nell'ufficio episcopale”. Per questo, ha lamentato che la decisione della Chiesa d'Inghilterra “ponga purtroppo un ulteriore ostacolo sulla via di questa unità tra noi”.

Il gruppo Reform si aspetta che le congregazioni anglicane che non accettano le donne vescovo verranno costrette ad andarsene se dovessero essere ordinate delle donne alla guida delle loro diocesi; una “nuova casa” ovvia per loro sarebbe la Missione Anglicana in Inghilterra, una struttura di sostegno organizzata dalla Global Anglican Future Conference. Altri se ne sono già andati, alcuni unendosi alla Chiesa cattolica, sia come membri dell'Ordinariato Personale di Nostra Signora di Walsingham, istituito di recente, che come singoli convertiti. Si stima che circa un decimo del clero diocesano cattolico in Inghilterra e Galles abbia compiuto i primi passi sulla via del sacerdozio come membro della Chiesa d'Inghilterra.

Un'agitazione di questo tipo era ovviamente prevedibile. Già nel 1948, C.S. Lewis scriveva in risposta alle raccomandazioni che la Chiesa d'Inghilterra dichiarasse le donne idonee all'ordinazione che “compiere un passo così rivoluzionario in questo momento, tagliarsi fuori dal passato cristiano e ampliare le divisioni tra noi e altre Chiese stabilendo un ordine di sacerdotesse tra di noi sarebbe quasi un atto gratuito di imprudenza. E la Chiesa d'Inghilterra stessa verrebbe fatta a brandelli da questa operazione”.

Per Lewis, un cambiamento di questo tipo implicava “qualcosa di ancor più profondo di una rivoluzione”, e avrebbe comportato che la Chiesa d'Inghilterra diventasse “una religione diversa”.

Anticipando i commenti recenti del cardinale O'Malley, sottolineava il ruolo del sacerdote come rappresentante di Dio al popolo, affermando che il fatto che una donna rappresenti Dio come sacerdote implicherebbe conclusioni tali che “l'Incarnazione potrebbe aver assunto la forma femminile come quella maschile, e la Seconda Persona della Trinità potrebbe essere chiamata anche la Figlia di Dio, e il matrimonio mistico essere invertito, con la Chiesa come sposo e Cristo come sposa”.

Un immaginario di questo tipo, affermava, non dovrebbe essere preso alla leggera, visto che “Dio stesso ci ha insegnato come parlare di Lui”. Ritenere arbitraria l'immagine maschile della rivelazione, commentava, era un'argomentazione contro il cristianesimo stesso.

La maggior parte degli anglicani inglesi di oggi non sarebbe sicuramente d'accordo con il reverendo Giles Fraser, che afferma su The Guardian che le argomentazioni teologiche usate per opporre resistenza alle donne vescovo “sono sempre state un sottile camuffamento della società patriarcale”, e che in risposta alla decisione di lunedì “la maggior parte della gente nella Chiesa vorrà gridare un alleluia piuttosto empatico”. Indipendentemente dalla sua saggezza o dall'accantonamento delle preoccupazioni di quanti sono contrari come cinici pregiudizi mascherati da sincera teologia, sembra chiaro che la decisione del sinodo colpirà molti come un trionfo della giustizia e del senso comune. Alcuni, tuttavia, potrebbero osservare che, indipendentemente dal motivo, è come voler aggiustare le sedie a sdraio del Titanic.

Parlando a ottobre a Christianity Today, la docente della Lancaster University Linda Woodhead ha affermato che la Chiesa d'Inghilterra è in un momento di crisi e ha ora la sua “ultima chance”. La 50enne professoressa di Sociologia della religione ha affermato che la sua “è l'utima generazione che in larga misura si interessa alla Chiesa d'Inghilterra”. Scettica sul fatto che questa Chiesa sia in declino in fase ormai terminale, la Woodhead teme ad ogni modo che si ridurrà a piccole enclave della classe media.

I numeri sembrano darle ragione. Se oltre la metà dei britannici con più di 70 anni si identifica come membro della Chiesa d'Inghilterra, ciò vale per meno di un decimo degli under 20, e scrivendo su Christianity Today Ruth Gledhill cita Ben Clements di British Religion in Numbers (BRIN) dicendo che ha constatato che la percentuale di persone interpellate dal British Election Study che si identifica come anglicana è scesa dal 64.5&% degli interpellati nel 1963 ad appena il 31.1% di quest'anno.

Forse non sorprende che Tim Thornton, vescovo anglicano di Truro, abbia detto a Radio Cornwall appena una settimana fa che l'analisi quantitativa delle presenze indicava una conclusione inevitabile e che la Chiesa d'Inghilterra ha solo “cinque o sei anni” per salvarsi.

Resta da vedere se la nomina di donne vescovo servirà a invertire il declino anglicano.

Greg Daly copre il Regno Unito e l'Irlanda per Aleteia

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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