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Dare a una madre una sepoltura degna del suo Battesimo

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Aleteia - pubblicato il 18/11/14

L'insegnamento cattolico sulla morte e sul morire mi ha aiutato a capire e ad affrontare una serie di rischi morali

Mark Gordon

Alle 12:50 di venerdì 31 ottobre, ho stretto la mano di mia madre mentre esalava il suo ultimo respiro e lasciava questo mondo. Barbara Gordon era nata in povertà, ma l'aveva superata. Era rimasta vedova da giovane e aveva superato anche quella prova. Nei suoi ultimi trent'anni di vita, ha sperimentato una profonda sofferenza fisica combattendo con un'infezione virale del suo cuore che alla fine ha richiesto un trapianto, seguito da problemi renali che hanno distrutto i suoi reni, una grave forma di diabete e una serie di altre problematiche. Nonostante tutto questo, irradiava la gioia, la pace e il coraggio che derivano da un rapporto personale duraturo con Gesù Cristo. Attraverso di Lui ha superato tutto questo, anche nella morte.

Come suo figlio, ho avuto il privilegio di essere lì, confortandola e amandola fino alla fine, ma è stato anche un privilegio essere lì come cattolico, cosa che mia madre non era. Come il mio defunto padre, era un ministro evangelico protestante ordinato. I suoi tre figli si sono tutti riconciliati con la Chiesa da adulti, e anche se rispettava le nostre scelte mia madre è rimasta sempre al di fuori della Chiesa cattolica, fino alla fine.

A me, ad ogni modo, la sua morte ha offerto una nuova possibilità di apprezzare l'insegnamento della Chiesa sulla morte e sulla dignità della persona umana, soprattutto alla fine della sua vita, e quei riti che confortano sia la persona che sta morendo che chi le sopravvivrà.

Una settimana prima che mia madre morisse, ho ricevuto una telefonata dal direttore medico della casa di riposo dove ha vissuto nell'ultimo anno. Mi ha spiegato che a suo avviso e secondo lo staff infermieristico mia madre stava iniziando il processo di “transizione”, che ha descritto come il movimento interiore dalla lotta per la vita all'accettazione della morte. Ha raccomandato che la mandassimo alla casa di cura per malati terminali per farle avere accesso alle cure palliative offerte da quel centro.

Abbiamo incontrato lo staff della casa di riposo per malati terminali un paio di giorni dopo. Abbiamo spiegato che eravamo preparati a lasciare che la natura facesse il suo corso e non avevamo interesse ad accelerare la morte di mia madre o a privarla artificalmente di assistenza vitale come cibo e acqua. In altre parole, non eravamo interessati a una sorta di eutanasia camuffata. Lo staff è stato visibilmente sollevato. Ci ha detto che deve spesso affrontare richieste di “affrettare le cose” o somministrare colpi di grazia chimici, portando un processo naturale a una fine innaturale.

Come cattolico che doveva prendere la decisione finale, ho potuto consultare l'esteso insegnamento della Chiesa sulle questioni del fine vita, che mi ha aiutato a capire e ad affrontare i rischi morali impliciti nel fare una distinzione tra cure ordinarie e straordinarie, gestione del dolore e sedazione terminale, utilità e necessità. Mi ha dato un modello filosofico-morale con cui potevo mettere in contrasto o allineare i particolari della situazione di mia madre. Mi ha fornito anche un linguaggio morale delicatamente sfumato, essenziale per chiarire il mio pensiero e comunicare le mie conclusioni ai professionisti sanitari.

L'insegnamento della Chiesa mi ha inoltre sfidato in tutti i momenti a verificare le mie motivazioni, inclusa la mia reazione emotiva alla vista di mia madre che mi moriva davanti agli occhi. Attraverso il ben testato consiglio della Chiesa, sono riuscito a sviluppare un'obiettività essenziale nella mia capacità decisionale, non abbandonando mai un'identificazione empatica con mia madre o i profondi legami di amore e dovere filiale. La Chiesa mi ha aiutato a vedere cosa stava accadendo, ma anche cosa sarebbe accaduto se la morte di mia madre doveva essere santa, cristiana, e io dovevo emergere da questa esperienza con la coscienza pulita.

Nell'ultima settimana di vita di mia madre abbiamo pregato e cantato e le abbiamo letto la Scrittura, soprattutto i suoi salmi preferiti. Visto che si trovava nelle condizioni prevista dal canone 844.4, che riguarda l'amministrazione del sacramento dell'unzione dei malati ai non cattolici, ho anche chiesto al mio pastore di venire e amministrarglielo, cosa che ha fatto. In quella settimana abbiamo tenuto d'occhio lo staff della casa di cura per essere sicuri che rispettassero i nostri desideri e quelli di mia madre.

Alla fine, pochi istanti dopo la morte di mia madre, ho alzato le mani sopra la testa, ho guardato in alto e ho immaginato il suo spirito sollevarsi dalla stanza e osservarmi da lì. “Spero di averti resa orgogliosa”, ho sussurrato. “Ti vedrò in Paradiso”. Una grande pace mi ha avvolto, confermando che le avevo dato una partenza che era degna del suo Battesimo, della sua confessione di fede e della sua destinazione finale. Devo ringraziare la Chiesa per questo.
I giorni seguenti sono stati pieni di tutti gli impegni richiesti per funerale, sepoltura, notifiche e così via. Come sempre, mi sono rifugiato nella Messa mattutina, dove le parole belle e familiari della liturgia hanno assunto un nuovo significato: “Ricordati dei nostri fratelli che si sono addormentati nella speranza della resurrezione e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza; ammettili a godere la luce del tuo volto”.

Mia madre ha avuto un piccolo servizio privato in un luogo adibito ai funerali, seguito dalla sepoltura. I miei fratelli e io non abbiamo chiamato dei sacerdoti protestanti perché senza l'Eucaristia non ce n'è bisogno. Abbiamo invece letto un salmo e un passo dalla prima lettera ai Tessalonicesi. Abbiamo cantato un inno e pronunciato i nostri interventi davanti al piccolo gruppo di familiari presenti. Dopo, accanto alla tomba, ho sentito che avevamo bisogno di altro, e quindi mi sono rivolto nuovamente alla Chiesa e ho recitato il rito con la raccomandazione finale, che i laici sono autorizzati a utilizzare.

Ancora una volta, si è rivelata la saggezza della Chiesa. Il linguaggio poetico e formale del rito ha comunicato più di quello che le mie parole sarebbero mai riuscite a fare, e ha dato a tutti i presenti – cattolici e non cattolici – il saluto che Barbara Gordon avrebbe voluto. E così la mia madre terrena è andata, ma la mia Santa Madre Chiesa rimane, per confortare e consolare, per insegnare e nutrire, e per questo sarò eternamente grato.

Mark Gordonè partner di PathTree, un'impresa di consulenza specializzata in capacità di ripresa organizzativa e strategia. È anche presidente della Società di San Vincenzo de' Paoli della diocesi di Providence e di un rifugio per senzatetto e di una mensa locali. È autore di Forty Days, Forty Graces: Essays By a Grateful Pilgrim. È sposato da 31 anni con Camila e ha due figli.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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