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Il cristianesimo è per i falliti

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Aleteia - pubblicato il 17/11/14

Ma l'arroganza può portarci a vederlo come la religione di chi ha successo

di David Mills

“Non andrei mai in chiesa con il mio idraulico”. Questa frase è uscita dalla bocca di un uomo con un elegante abito scuro in una parrocchia episcopale tradizionalista di Long Island, dove il reddito è abbastanza superiore alla media del resto degli Stati Uniti e del mondo. Io ho riso, pensando che si trattasse di uno scherzo, ma poi ho visto che parlava sul serio. È stato imbarazzante.

Capisco lo snobismo. Tutti se ne macchiano, perché quasi tutti sono snob riguardo a qualcosa. Quello che non capisco è che le persone lo dichiarino a voce alta. Un cristiano può “sentirsi” snob, soprattutto se è stato allevato in ambienti sociali in cui buona parte dei lavoratori, anche qualificati, è vista come inferiore ai banchieri e agli investitori, ma chi si sente così deve capire qual è l'impressione che suscita parlando in questo modo.

Gesù è morto per l'idraulico. E se Gesù è morto per lui, tu puoi sederti al suo fianco e sentirti felice di questo. Lo stesso, del resto, si applica al fatto di sederci al fianco di quell'uomo in abito scuro elegante. Gesù è morto anche per lui.

C'è un numero piuttosto rilevante di cristiani delle fasce sociali ritenute più elevate che credono che vivere virtuosamente e seguire determinati orientamenti “passo a passo” sia qualcosa di semplice e che dà sempre buoni risultati. In questo modo, è facile dimenticare che anche il fallimento è piuttosto “semplice”. Quando si pensa così, si tende a dimenticare che il cristianesimo è una religione per i falliti. E questa è una gran cosa!

Le classi più agiate, soprattutto qui negli Stati Uniti, trovano “divertente” l'elitismo di certi mezzi di comunicazione, come il New York Times: impeccabilmente liberale e “di sinistra” nelle sue posizioni editoriali, è allo stesso tempo pieno di annunci di appartamenti, vestiti e oggetti che solo i ricchi riescono a pagare, oltre che di racconti continui sullo stile di vita dell'alta società. Gli editori non sono molto più interessati all'idraulico di quel ricco episcopale, ma almeno mostrano interesse per il giusto salario e l'abitazione dignitosa dell'idraulico.

Al momento di valutare criticamente la propria supposizione che il cristianesimo sia una religione per le persone di successo, questi cristiani “di classe superiore” non trovano più che la cosa sia tanto divertente. Vivendo in un Paese ricco come gli Stati Uniti, abbiamo difficoltà a pensare in un altro modo. Siamo una società pelagiana.

Questa supposizione può essere identificata nella preferenza accordata nella nostra vita sociale a quelli che sono ricchi di famiglia. Appare anche, in modo più sottile, quando i cattolici conservatori sperano di contare su un po' di clemenza per l'annullamento del loro matrimonio, adducendo ad esempio il benessere dei figli del secondo matrimonio, ma sono sconsolati quando il Sinodo straordinario dice che anche i figli dei partner omosessuali hanno bisogno di ricevere assistenza pastorale e la meritano.

Questa presunzione per cui il cristianesimo è per gente che ha successo a livello sociale si manifesta anche nella facilità e nella rapidità con cui accettiamo censure agli errori di altre persone. Quell'uomo celibe “non si è sistemato quando ha avuto la possibilità”, quella donna nubile “è stata troppo esigente”. I disoccupati “dovrebbero sforzarsi di più per trovare lavoro” o “accettare ciò che si presenta loro”. In questi ambienti, ci si aspetta che gli “strani” vivano al margine perché, in qualche modo, devono aver scelto di essere “strani”.

Queste presupposizioni appaiono anche nei giudizi morali sulle persone di successo, e tutto questo si riflette nella cultura di autoaiuto che oggi infetta anche il cattolicesimo. Le persone che soffrono potrebbero “cambiare vita” se seguissero semplicemente le istruzioni: i “dieci passi per questo” o i “dodici passi per quello”. Il successo è venduto come così facile che i falliti possono solo aver scelto di non avere successo.

Mi diceva qualche tempo fa un amico: “Come cristiani, possiamo non sperare 'la nostra miglior vita qui e ora', ma speriamo che la nostra fede ci dia alcune delle cose migliori qui e ora. Anche se solo in certi settori. È una tentazione umana universale, che finisce per essere aggravata dal clima consumistico in cui viviamo. Si pensi al complesso che esiste nel mondo cattolico sulla castità. Buona parte di esso sembra basato su una versione velata di questa 'teologia della miglior vita qui e ora'. 'Vuoi il meglio del sesso? Allora aspetta fino a dopo il matrimonio! Io ho seguito le regole di Gesù per la mia vita sessuale e non mi sono mai dovuto preoccupare delle malattie sessualmente trasmissibili! Ho aspettato fino al matrimonio e Gesù ha approvato la nostra eccellente vita sessuale!' E punti esclamativi, molti punti esclamativi!”

Il fatto è che Gesù ha scelto come suoi amici più intimi l'equivalente degli idraulici del I secolo. Era con quegli amici che conversava dopo gli intensi giorni di predicazione e dedizione al popolo. Si accompagnava a prostitute, ubriachi e piccoli criminali (gli esattori delle imposte), i falliti del mondo; e anche con i farisei, che i Vangeli ci mostrano come falliti a modo loro. Ma i primi sapevano di essere falliti agli occhi del mondo, i farisei no.

Quelle persone semplici sapevano – e il mondo non permetteva che se ne dimenticassero – di essere quelle più propense a sentire e ad accettare l'offerta del Salvatore, che ci ha detto: “Accettate la mia grazia. Non uscirete da soli dai buchi in cui vi mettete. Rovinerete tutto un'altra volta, e un'altra ancora, e ancora. Ma io vi amo e voglio che siate felici”.

Il pelagianesimo è negativo per noi, peccatori. E il fallito che sa di essere un fallito è capace di donare più facilmente la propria vita al Grande Fallito che è morto per tutti sulla croce.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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