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Violenza sulle donne, l’ascolto che può salvare

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia - pubblicato il 16/11/14
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In uscita un libro che vuole raggiungere le donne che vivono le stesse tragedie“Questa è la storia vera di una donna che conosco molto bene…”: è questo l’incipit di un racconto che è tanti racconti. Racconti di donne che vivono violenze domestiche quotidiane di ogni tipo, fisiche e psicologiche, che faticano dapprima perfino a riconoscere, che magari negano a loro stesse perché ammetterle vorrebbe dire riconoscere che la propria casa sta crollando. Perché la donna per natura è, non semplicemente abita, quella casa. E quando la violenza è lì, che la tocca ogni giorno, si accorge che la circonda una solitudine che solo poche figure riescono a rompere. E nel caso di Mariana, la protagonista della storia vera che si racconta in Col fiato sul collo. Quando l’amore diventa persecuzione di Maria Luisa Eguez, una di queste è stato un sacerdote, un padre spirituale che ha saputo diventare vicinanza ed ascolto. Queste alcune delle parole di Mariana nel libro: “All’inizio, quando mi sono risvegliata in un labirinto, l’ho chiamato Minotauro l’uomo che mi dormiva accanto, per il suo collo largo, gli occhi bovini, e perché ero stata condotta a lui, verginella ignara, per essere divorata a poco a poco. Nessuno mi ci aveva materialmente costretta, le costrizioni erano di altro tipo, più sottili, più subdole, e s’intrecciavano con i miei bisogni inespressi o repressi”. A pochi giorni dalla Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 24 novembre, Aleteia ha incontrato la professoressa Eguez per conoscere meglio le circostanze di questa storia.

Che storia racconta questo libro?
Eguez: È una storia vera, anche se qualcuno potrebbe voler pensare che non lo sia, perché disturba molto. Ma è realistica e alcuni dettagli non si possono neanche rendere pubblici, perché c’è così tanta sofferenza che difficilmente chi non ha provato una cosa del genere può capire fino a che punto questi drammi possono esistere dietro una facciata di perbenismo. È la storia di una ragazza che a sedici anni incontra un ragazzo e se ne innamora. A venti anni sono già sposati e nascono dei figli. Io scrivo sempre “le creature” perché non voglio identificare i figli né nel numero né nel genere, perché voglio che ogni donna si identifichi con i propri figli: quanti sono, come sono, non ha importanza, perché il focus è sulla donna. Tornando alla nostra storia, dopo la nascita dei figli quest’uomo lascia venire a galla la propria vera indole, quella di un alcolista violento, che prima beve di nascosto, poi lo fa in modo sempre più palese. Presto si passa dalle violenze psicologiche a quelle fisiche. La donna si sente in ostaggio, rimane per difendere i propri figli, perché ha paura che il dramma possa coinvolgere anche loro. Rimane come fosse in ostaggio, e resiste.

Perché ha voluto raccontare questa storia?
Eguez: Io ho sentito un impulso forte a tirar fuori questa storia perché ho pensato che se può servire anche ad una sola donna per darle prendere consapevolezza della trappola in cui è caduta, questo sarebbe sufficiente. Il libro è dedicato a tutte quelle donne che non ce la fanno a prendere coscienza, ad avere una voce. Ho cercato di dare voce a tutte queste donne, anche a quelle che non possono più parlare perché sono state travolte dalla loro storia.

Quali sono state le figure che sono rimaste vicine a questa donna?
Eguez: Sicuramente le figure dei padri spirituali e delle forze dell’ordine. Si erige una specie di muro di gomma intorno a queste donne quando chiedono aiuto: spesso ottengono effetto indesiderati. Queste donne chiedono aiuto a tutti, alla polizia, ai medici, ai preti. Il cammino di consapevolezza della protagonista infatti si è giovato anche di un padre spirituale, che le è stato a fianco. Anche le forze dell’ordine hanno agito con intelligenza. Per il resto, la famiglie intorno a lei tendono a negare tutto per evitare lo scandalo. Il quieto vivere ancora spinge l’entourage dei parenti a far finta di non vedere e di non sapere. La storia si è sviluppata in una cittadina di medie dimensioni, dove lo scandalo dev’essere evitato col silenzio.

Come le è stato vicino il padre spirituale?
Eguez: Ha agito con molta intelligenza, con molta disponibilità e con molto ascolto. All’inizio è stato molto difficile aprirsi e parlare di queste cose; non dobbiamo pensare ad un rapporto estemporaneo, in un confessionale, dove spesso si possono ricevere delle risposte che feriscono ulteriormente. C’è stata vicinanza ed autentico spirito paterno, soprattutto c’è stata la ricostruzione di una figura maschile che è lì, protegge, ascolta, e dimostra che non tutti gli uomini sono violenti.

Com’è oggi la situazione di questa donna?
Eguez: Ce l’ha fatta, a riprendersi. Certo, sono ferite che rimangono tutta la vita.

Ma oggi l’uomo è in galera?
Eguez: No.

Come pensa che siano affrontati questi temi dai media e dall’opinione pubblica?
Eguez: I temi complessi vanno affrontati in maniera complessa. Non è che si possa superficialmente pensare che sia sufficiente arrestare la persona, perché questa persona dopo due o tre anni esce, vorrà vendicarsi, e questo la vittima lo sa benissimo. Quindi , prima di tutto, occorre senz’altro un aiuto dalle case famiglia, perché ci si prenda cura dei minori e si tirino fuori le donne dalle grinfie di chi le vuole uccidere. Ma questo non basta, sono convinta che il giudice oltre alla galera dovrebbe prescrivere all’uomo un percorso di terapie, psicologiche o psichiatriche. È così che si disinnesca la bomba che è dentro di lui, non si può lasciare accadere che quest’uomo faccia male ad un’altra donna o vada a vendicarsi. Quindi intervenire sulla vittima, ma soprattutto sul carnefice. Inoltre credo che le forze dell’ordine potrebbero dare un supporto ed insegnare alle donne delle tecniche di autodifesa. In Italia su questo si fa troppo poco. Ed è vero, infine, che i media dovrebbero trattare la questione in termini più seri e approfonditi.