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Caro prete ti scrivo…

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Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 13/11/14
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Cosa fare quando la fatica del servizio sacerdotale rischia di spegnerne la gioia?
Il servizio del sacerdote è fede e prossimità generosa al popolo di Dio, ma cosa succede quando le fatiche e le prove rischiano di spegnerne la gioia? E’ la preoccupazione espressa dai vescovi italiani riuniti ad Assisi nei giorni scorsi per l’assemblea generale dedicata alla riflessione sulla vita e la formazione dei presbiteri. Dopo aver discusso molto, tanto che “le richieste di poter prendere la parola hanno ampiamente superato il tempo a disposizione”, i 231 vescovi presenti (compresi 12 emeriti) hanno preso simbolicamente carta e penna e hanno inviato un messaggio ai “carissimi presbiteri delle Chiese d’Italia”, in primo luogo per ringraziarli di quanto fanno ogni giorno.

E’ inoltre necessario, secondo i vescovi, iniziare o continuare un percorso comune per “prendersi cura del ministero del prete” puntando sulla formazione e il rinnovamento. “Il fattore determinante del rinnovamento della vita del clero – scrivono i vescovi – è l’assunzione dell’appartenenza al presbiterio come determinazione essenziale della nostra identità sacerdotale”. Così il presbiterio diventa “luogo di paternità e fraternità” così come di “discernimento e accompagnamento”. In questo modo sarà anche più facile vincere il timore di “diventare un peso per le nostre comunità a motivo delle nostre inadeguatezze e dei nostri peccati”.

Tanti sono gli aspetti che incidono sul ministero sacerdotale affrontati nel confronto collegiale avviato ad Assisi: dalle trasformazioni in corso che “non vanno cercate solo all’esterno della Chiesa”, alla contrazione numerica, dal venir meno “dell’omogeneità della cultura religiosa dei candidati” sulla quale fino a poco tempo fa poteva innestarsi la formazione al presbiterato, alla “crisi del sapere proprio del ministero”.

Per evitare il rischio di preti “funzionari” o “clericali che allontano la gente”, come ha ammonito papa Francesco nel messaggio all’Assemblea, occorre ripartire dal seminario e da itinerari di formazione nei quali “le esperienze pastorali non devono relegare in secondo piano la vita comunitaria” e in cui il discernimento per l’ammissione agli ordini sacri “sappia verificare le attitudini alla fraternità presbiterale e all’obbedienza ecclesiale”, che non è fine a se stessa, ma nasce “dal legame sacramentale che costituisce sacerdoti e vescovi in un corpo solo”.

Insomma, meno attivismo e più fraternità: questa sembra essere la parola d’ordine per sacerdoti e vescovi. Per questo occorre prendersi cura di tutte le età, non solo – quindi – accompagnare il clero giovane, ma anche qualificare proposte per i sacerdoti anziani e se “il presbiterio, nella buona come nella cattiva sorte, è la famiglia del sacerdote” si avverte tutta l’importanza che “anche quanti si sono resi colpevoli di delitti possano non sentirsi abbandonati a se stessi”.

In generale poi, dicono i vescovi italiani, occorre una ridefinizione dei compiti del presbitero perché siano ristabilite le priorità e vengano individuate forme che lo aiutino “a sentirsi meno oberato dal peso della gestione amministrativa”.

La riflessione è appena avviata: il confronto deve continuare adesso nelle Conferenze episcopali regionali che sono invitate a coinvolgere, nel modo che riterranno opportuno, anche i presbiteri locali.

“Con l’augurio più affettuoso, la perseverante preghiera reciproca, il saluto più cordiale”. Firmato: i vescovi italiani.