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Comunione dei divorziati risposati: dov’è il problema teologico?

Can Divorced Catholics Receive Communion? – it

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Finesettimana.org - pubblicato il 11/11/14

Torniamo a parlare di Sinodo e del dibattito che esso sta stimolando nella Chiesa

di Jean-François Chiron

I dibattiti che hanno caratterizzato il Sinodo invitano a tornare sui motivi teologici del rifiuto che la Chiesa cattolica oppone alla comunione eucaristica dei divorziati risposati. La risposta abituale evoca una contraddizione tra lo status dei divorziati risposati e l'alleanza irrevocabile conclusa da Cristo con la sua Chiesa, di cui l'Eucaristia è segno. Come ha scritto Giovanni Paolo II: i divorziati risposati «sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia.» (Familiaris consortio , n° 84).

Questa affermazione deve essere compresa bene. Perché un nuovo matrimonio civile non ha effetti sul legame sacramentale che è stato assunto precedentemente: agli occhi del magistero cattolico, si tratta solo di una forma di concubinato. Un matrimonio civile concluso prima del matrimonio religioso non è del resto maggiormente preso in considerazione dalla Chiesa: dei cattolici sposati solo civilmente possono senza problemi sposarsi religiosamente dopo il loro divorzio, anche se hanno dei figli; si presume che niente di matrimoniale sia esistito prima.

Ora, si sa che la comunione torna ad essere possibile per dei divorziati risposati se vivono nella continenza (cf. n° 1650 del Catechismo della Chiesa cattolica). Quindi sono colpiti dal divieto ecclesiale solo le coppie che hanno relazioni sessuali – se no, perfino i divorziati risposati continenti sarebbero privati dall'accesso all'Eucaristia. Ciò che è problematico, non è quindi la ratificazione puramente civile di una nuova unione, poiché essa è senza effetti sul legame sacramentale: è la dimensione sessuale del nuovo status.

Si ha dunque motivo di ritenere che la ragione dell'opposizione del magistero alla comunione eucaristica dei divorziati risposati riguarda (semplicemente, se così si può dire) la morale sessuale.  Non è lo stato di divorziato risposato civilmente “in quanto tale” ad essere in contraddizione con ciò di cui l'Eucaristia è segno, è ciò che esso comporta normalmente: i rapporti sessuali “illegittimi”. Essi non possono essere sacramentalmente perdonati, e quindi impediscono la comunione eucaristica. Mentre i divorziati risposati che vivono la continenza mettono fine alla loro specifica situazione di peccato, ed è questo che conta.

Il magistero cattolico ritiene che ogni relazione sessuale al di fuori del matrimonio sacramentale sia “intrinsecamente disordinata”, indipendentemente da qualsiasi contesto e da qualsiasi circostanza. Ora, la situazione delle coppie di divorziati risposati che desiderano vivere una relazione stabile e fedele (che è ciò che indica proprio il loro nuovo matrimonio civile) è forse paragonabile a quella di persone che tradiscono il loro coniuge o si dedicano ad una forma di “vagabondaggio sessuale”? O ad una relazione sessuale occasionale al di fuori del matrimonio? Tutti gli atti (sessuali) qui evocati sono da mettere sullo stesso registro, da considerare ugualmente immorali e quindi tali da impedire,
allo stesso titolo, l'accesso all'Eucaristia? Si comprende anche che delle coppie rifiutino di veder ridotto al solo registro genitale, indipendentemente dalla sua importanza antropologica, ciò che essi si sforzano di ricostruire con la grazia di Dio: vi rientrano dei valori autentici che nessuno nella Chiesa potrebbe contestare. Ricordiamo infine il principio enunciato da papa Francesco: “L'Eucaristia, anche se costituisce la pienezza della vita sacramentale, non è un premio destinato ai perfetti, ma un generoso rimedia e un alimento per i deboli” (Evangelii Gaudium, n° 47).

Ciò che qui è in causa è la definizione di un atto umano, cioè di un atto sessuale: in quale misura il contesto e le circostanze devono essere prese in considerazione nella sua definizione, e quindi nella sua valutazione etica? Occorre anche chiedersi se è opportuno un apprezzamento pastorale nella valutazione della moralità di un atto. Prendere in considerazione queste prospettive implicherebbe che il magistero cattolico fosse pronto a dei cambiamenti, come ha sottolineato il vescovo di Anversa, Mons. Bonny: fino a che punto è legittimo, nell'affrontare questi problemi, privilegiare
una sola scuola di teologia morale?Non è inutile ricordare a questo riguardo che papa Francesco cita nell'Evangelii Gaudium (n° 44) la formula del Catechismo della Chiesa cattolica che ricorda che “l'imputabilità e la responsabilità di
un'azione possono essere diminuite o addirittura soppresse” da “fattori psichici o sociali”: anche se il paragrafo della bozza di documento sinodale che cita quello stesso brano a proposito dei divorziati risposati non ha ottenuto la maggioranza qualificata, appare chiaramente che la maggioranza dell'Assemblea sinodale ha ritenuto che tale richiamo fosse importante.

Si percepisce l'importanza della riflessione a cui sono chiamati i vescovi se desiderano veramente prendere in considerazione la radice dei problemi. Almeno, è possibile ritenere che il dogma dell'indissolubilità del legame matrimoniale non è in discussione nel dibattito che si è aperto in seguito all'intervento del cardinal Kasper, incaricato da papa Francesco. È la dimensione etica, inseparabile da un approccio pastorale, ad essere al cuore di questo problema, come di tutti quelli dibattuti a Roma.

*Jean-François Chiron è professore all'università cattolica di Lione

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