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L’uomo della Sindone noi crediamo sia Gesù

Mons. Cesare Nosiglia

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Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 05/11/14

Papa Francesco sarà a Torino il 21 giugno per l’ostensione della Sindone e i 200 anni della nascita di San Giovanni Bosco

La visita di Papa Francesco il prossimo 21 giugno a Torino sarà il culmine delle iniziative legati all’ostensione della Sindone (19 aprile-24 giugno 2015) e alla celebrazione del duecentesimo anniversario della nascita di san Giovanni Bosco. Evento ecclesiale e pastorale (per il 2015 non sono previste iniziate legate alla ricerca scientifica), l’ostensione del sacro telo ripropone sempre un interrogativo sulle ragioni della scienza e quelle della fede. Aleteia ne ha parlato con l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia.

Cosa rappresenta la Sindone per la fede della Chiesa?

Nosiglia: Questo telo è una catechesi vivente, una Biblia pauperum come si diceva un tempo. La “Bibbia dei poveri” non è fatta da parole, ma da immagini e pitture. I Vangeli ci presentano il corpo martoriato di Gesù e noi ritroviamo questi segni nella Sindone: i colpi della flagellazione, la corona di spine, il volto. Si dice “l’uomo della Sindone”, ma per noi è il corpo del Signore, la fede ce lo fa vedere e comprendere. La ricerca scientifica non ci ha dato una parola ultima, definitiva, su questo straordinario oggetto. Probabilmente non c’è. La fede va oltre e ci porta a contemplare il mistero della morte e resurrezione del Signore nel sacro telo.

Cosa attira i visitatori della Sindone? Nell’ultima occasione, nel 2010, sono stati oltre due milioni…

Nosiglia: Tutta la gente che si reca, anche brevemente, a contemplare i segni di questo corpo rimane colpita. Io sono convinto che, come ha detto papa Francesco, ciò accade perché è Lui che ci guarda, non siamo solo noi che, anche solo per curiosità, guardiamo. Ti accorgi che sei tu il guardato, il chiamato. C’è un messaggio che ti arriva nel cuore e nella coscienza e ti dà gioia e speranza. Perché dalla morte del Signore è nata la vita. Per questo abbiamo scelto come motto: “L’amore più grande”, quello che dà la vita e anche tu sei capace, oltre che di riceverlo, di darlo.

Cosa vi aspettate dalla visita di papa Francesco?

Nosiglia: Ci aspettiamo che il papa venga a confermarci nella fede. Abbiamo bisogno di punti di riferimento in un mondo che si è sempre è più allontanato dalla fede e dalla tradizione cristiana. Invece in Gesù c’è la possibilità di riscoprire anche il senso della nostra piena umanità. La vita umana in Cristo, come ha detto il Concilio Vaticano II, trova il massimo compimento, per cui si vive l’amore, la famiglia, il lavoro, l’ambito sociale in modo più ricco di gioia e di significato per sé e per gli altri. Nell’Evangelii Gaudium papa Francesco ha detto con forza tutte queste cose e l’esortazione apostolica, che è anche un po’ il programma del pontificato, sarà proprio il testo sul quale ci preparemo alla sua visita. Inoltre ci sarà un forte impegno verso i poveri e gli ammalati, contro la “cultura dello scarto” di cui ci parla sempre il pontefice, insieme ad una rinnovata attenzione per i giovani che sono il nostro futuro.

Lei è appena tornato da Gaza dove ha visitato la comunità cristiana insieme a una delegazione della Conferenza episcopale italiana: quale impressione ne ha tratto? Ci sarà un collegamento tra l’Ostensione di Torino e la Terra Santa?

Nosiglia: Abbiamo visto delle distruzioni gravi, interi quartieri distrutti. La reazione degli israeliani è stata davvero pesante, ma c’è la volontà di ricostruire a partire soprattutto dai più giovani. Occorre riuscire a superare le contrapposizioni e trovare la via della pace per delle comunità che hanno avuto delle esperienze positive di convivenza in passato, come ci hanno raccontato. I moderati di entrambe le parti, israeliana e palestinese, dovrebbero essere sostenuti dalla comunità internazionale. Abbiamo sentito dalla gente un grande desiderio di pace, sono stanchi di guerra e di odio. Vorremmo che almeno una piccola delegazione potesse venire in occasione della venuta del papa ma è molto difficile uscire da Gaza: speriamo di farcela.

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