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Svizzera: così si muore praticando l’eutanasia

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 04/11/14
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Sono 50 gli italiani che negli ultimi tre anni hanno deciso di togliersi la vita in una delle cliniche elvetiche abilitate alla “dolce morte”.
Chiamatela scelta di fine vita, eutanasia legale, o anche suicidio assistito o dolce morte. In Italia semplicemente non esiste. Non esiste nelle aule parlamentari, né in alcun tipo di documento, luogo o situazione ufficiale. Eppure, secondo l’Istat ogni anno un migliaio di italiani vorrebbero scegliere di morire quando credono. (La Stampa, 4 ottobre). Ecco l’iter agghiacciante che conduce alla morte.

50 in tre anni
Gli italiani hanno le idee chiare. In 50 negli ultimi tre anni sono riusciti ad andare in Svizzera e chiudere senza troppi clamori e con dignità la propria vita. In attesa ci sono altri 27 italiani, di cui 11 giovani sotto i 30 anni affetti da malattie psichiche molto gravi certificate da medici psichiatri, da Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) o da tumori, come spiega Emilio Coveri, presidente di Exit Italia all’Adnkronos Salute (4 ottobre).

3 strutture abilitate
Exit ha accordi con 3 strutture (Life Circle-Eternal Spirit di Basilea, Ex-International di Berna e Dignitas di Zurigo) e il 7 novembre attiverà una quarta collaborazione con la prima struttura (Liberty Life) nel Canton Ticino, più vicino al nostro Paese e dove il personale parla italiano (Linkiesta.it, 4 ottobre).

Il parere dei medici
Una volta che ha scelto la struttura, c’è una commissione medica che si riunisce e valuta la scelta. E qui comincia l’iter per morire. Se dà parere positivo, viene fissata una data in cui il malato terminale può recarsi in Svizzera per dar corso alla sua ultima volontà. Quando la persona arriva, deve sottoporsi a una nuova visita, in cui il medico, per legge, deve provare a dissuadere la persona dal suo proposito». Secondo i dati della Dignitas, il 40% delle persone, dopo quel colloquio, desiste dal suo proposito e torna a casa.

Pastiglie e narcotico
Per chi decide per il sì, invece, ha la procedura prosegue: «Per prima cosa, il medico offre al paziente due pastiglie di antiemetico, per evitare che vomiti – spiega Coveri – quindi, al paziente viene dato un bicchiere d’acqua (circa 1 dl) nel quale sono stati sciolti 15 grammi di pentobarbital di sodio, un noto narcotico che procura il sonno».

L’ultimo atto
Il sito internet avverte che si tratta di una bevanda amara e che quindi «è meglio mangiare o bere subito dopo qualcosa di dolce». I soci che devono essere nutriti attraverso sonde gastriche, prenderanno loro stessi la medicina con la sonda. Chi invece non può mangiare né alimentarsi con la sonda, può assumere il prodotto con un’endovena, ma solo in questo caso, sarà il paziente a dover «compiere l’ultimo atto». Se ciò non fosse possibile, il personale che assiste non potrà farlo al posto suo.

Coma profondo
Al termine di queste procedure, il socio si addormenta ed entro due, tre minuti entra in un coma profondo. Dopo poco tempo ancora la medicina paralizza la respirazione e il paziente, assicura Coveri, «muore in uno stato di assoluta incoscienza».