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Dipendenza da internet, è emergenza sociale

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia - pubblicato il 04/11/14
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È in uscita un rapporto che dimostra la gravità di una patologia che le istituzioni finora non hanno considerato come tale.
Il numero dei malati cresce, ed è difficile quantificarlo con precisione. Quello che è certo è che si parla di malati. Questa è la definizione da usare, infatti, per quanto i soggetti stessi rifiutino di considerarsi come tali. Eppure nascono centri medici per trattarla, vengono tracciate grigli e tipologie delle varie forme che essa può assumere, griglie che descrivono sintomi a noi familiari, che facilmente ci hanno sfiorato o hanno sfiorato qualcuno vicino a noi. La dipendenza da internet è favorita da stili di vita personale e professionale (quelle ore ed ore davanti al computer a scivolare tra un’email da scrivere e un like su Facebook da digitare) che ci riguardano tutti. Per questo è bene conoscere di che cosa si tratta, e Internet-Patia, Rapporto sulla dipendenza da web, una ricerca curata dall’AIART con il contributo di medici ed esperti di alto profilo, va in questa direzione. Il documento sarà presentato il prossimo 6 novembre nella Sala Giulio Cesare, in Campidoglio, in una giornata che prevede contributi competenti e prestigiosi, tra i quali quella del Ministro della Salute On. Beatrice Lorenzin e S.E. Mons. Nunzio Galatino, Segretario Nazionale CEI. Aleteia ne ha parlato con il dott. Luca Borgomeo, Presidente Nazionale AIART, Associazione Spettatori Onlus.

Come nasce questa ricerca?
Borgomeo: Sempre di più, da parte di molti ci veniva segnalato che figli, parenti e conoscenti potevano essere diventati internet-dipendenti. I casi crescevano, anche perché non c’è un monitoraggio ufficiale da parte delle autorità. L’internet-dipendenza non è ancora riconosciuta come malattia, mentre lo è la ludopatia, la dipendenza dal gioco. Quella da web riguarda le relazioni virtuali, cioè l’uso esagerato delle chat, di Facebook e così via, la dipendenza dal sesso virtuale, dalla cyber-pornografia, dal gioco d’azzardo patologico (pensiamo al poker online), e perfino la dipendenza da e-commerce compulsivo. C’è anche una dipendenza particolare che è del controllo continuo delle email, con persone che in una giornata guardano la loro posta anche 40-50 volte. E dire che eravamo abituati al postino che passa una volta sola…. Di fronte a questi fenomeni abbiamo riscontrato una scarsa attenzione, mentre considerata la diffusione crescente vediamo che ormai si tratta di una vera e propria emergenza.

Non si sa quanti sono gli internet-dipendenti?
Borgomeo: Non esiste un dato oggettivo di quanti sono perché manca un monitoraggio, e poi soprattutto perché chi è affetto da questa sindrome tende a nasconderla. Così anche i parenti e i conoscenti. È un processo lungo, perché si diventa dipendenti dopo un certo periodo; per questo noi abbiamo nel nostro volume anche alcuni contributi di psicoterapeuti che testimoniano quali siano i primi sintomi di questa malattia. Non è di poca importanza il fatto che il volume che noi presentiamo abbia un’introduzione del Prof. Federico Tonioni, responsabile del primo ambulatorio in Italia per la cura della dipendenza dal web, da lui fondato presso la Facoltà di Medicina e Psichiatria del Policlinico Gemelli a Roma. È un ambulatorio, perché non essendo la dipendenza del web ancora riconosciuta dalle istituzioni mancano strutture sanitaria ad hoc. In generale però noi abbiamo registrato quattro realtà significative in questo campo: oltre alla realtà di Roma ci sono l’Ospedale di Verona, l’Ospedale di Pistoia e l’Ospedale di Bari.

Come lavorano questi centri?
Borgomeo: Per identità di materia hanno collegato la dipendenza del web ad una dipendenza molto simile, quella della droga. Soprattutto, questi centri hanno cominciato a prendere in esame casi clamorosi di dipendenza del web. Nella parte finale del nostro Rapporto abbiamo messo in evidenza che questa non è una battaglia che può essere lasciata combattere solo ai genitori, ai parenti e ai conviventi. Certo, sono le persone più colpite sono loro: quando una ragazza passa 7 o 8 ore al giorno su internet è chiaro che tralascia studio, relazioni, attività fisiche mettendo a repentaglio la propria salute. In questi casi i genitori tentano di arginare il fenomeno ma molte volte non hanno la competenza per farlo, oppure non avvertono la gravità del problema e quando agiscono è tardi. Nella parte finale del libro raccontiamo molte storie di questo tipo, con famiglie distrutte, ragazzi che non finiscono gli studi, persone che perdono il lavoro. È uno spaccato veramente devastante.

Chi deve risolvere questo problema?
Borgomeo: Non solo la famiglia, ma anche le istituzioni. Alcune si stanno muovendo, come i centri medici di cui abbiamo parlato. I media, la televisione e i giornali ne parlano poco di questi problemi, lo fanno solo dopo che producono tragedie come omicidi o suicidi. Noi mettiamo in evidenza anche il ruolo che possono avere istituzioni formative come la Chiesa e la scuola. Noi non vogliamo fare allarmismo, né demonizzare il web: noi crediamo che sia una straordinaria opportunità, che accorci le distanze e migliori le conoscenze. Ma come tutti gli strumenti vanno usati con responsabilità, con senso critico, e non vanno abusati. Come AIART, fino a 8-10 anni fa abbiamo insistito sul fatto che la televisione dovesse assumere un ruolo educativo e che non fosse solo veicolo di messaggi devastanti soprattutto per i minori. Oggi i genitori si mobilitano quando noi mettiamo in evidenza che l’abuso del web produce danni al cervello, al modo di relazionarsi, alla vista, all’udito: noi abbiamo una generazione di trentenni che ha già problemi di questo tipo. Queste preoccupazioni di carattere sanitario sono quelle che producono la vera consapevolezza. È qui dunque che come AIART noi abbiamo il dovere, pur con i nostri mezzi limitati, non solo di segnalare il problema, ma anche di approfondirlo e di richiamare le istituzioni a svolgere il proprio ruolo. Non è possibile che l’apparato legislativo non si sia mai occupato di questo aspetto del web. Non è pensabile ad esempio che il cyber bullismo possa produrre danni tanto più concreti del bullismo reale: quest’ultimo infatti ha come antidoto la presenza di una persona che può reagire, il cyber bullismo invece mette chi lo pratica al riparo da qualunque reazione. Se noi pensiamo che in Africa sono molte di più le persone che hanno il cellulare rispetto a quelle che hanno l’acqua corrente, capiamo come questi strumenti hanno sconvolto i modelli tradizionali di sviluppo e crescita di intere comunità. Sono fenomeni sempre più presenti ed urgenti, e bisogna mettervi riparo al più presto.