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Torna Loris per aiutarci a capire l’affettività degli adolescenti

Boy

© Dudu Viana

Roberta Sciamplicotti - Aleteia - pubblicato il 03/11/14

Nuova puntata della serie di libri di don Marco D'Agostino sul mondo adolescenziale

“Lasciatemi provare. Adolescenti, ormoni a mille” (San Paolo) è il titolo di un altro volume della serie di libri sul mondo degli adolescenti, a metà strada tra narrativa e riflessione esistenziale, per aiutare gli educatori a rapportarsi alle nuove generazioni.

L’autore don Marco D’Agostino, sacerdote cremonese che lavora con adolescenti e giovani come insegnante di Lettere antiche e responsabile del Centro Vocazioni, torna a presentare le vicende di Loris Priori, sedicenne alle prese con la fatica di crescere.

Il testo è la prosecuzione di A Dio cosa importa di me? Adolescenti al bivio, e vede Loris impegnato innanzitutto a destreggiarsi nel delicato rapporto con i genitori.

“Loro non erano mai contenti”, racconta. “Faticavo a comunicare con loro, ma la cosa che mi dava più fastidio era essere considerato un incapace. Non ero mai all’altezza della situazione. Non sapevo come renderli felici”.

“Credevano che io fossi un bambino perché ‘non sa fare, non sa decidere, non sa prendersi le sue responsabilità…’. Ma quando mai mi avevano messo in condizione di farlo? Se avesse potuto, mia madre sarebbe ancora entrata in doccia con me per verificare che mi lavassi bene”; “mio padre, se gli fosse stata data l’occasione, sarebbe venuto nella mia stanza per vedere se scrivevo correttamente il compito, come gestivo il mio tempo, in che modo mettevo in fila le mie cose”.

“Io volevo crescere, ma loro me lo impedivano. Volevo tagliare – sì, sì ‘tagliare’ – il cordone ombelicale che mia madre non aveva mai reciso. E divincolarmi, mettermi alla prova, sapermi misurare. Invece niente. Avevano sempre una scusa pronta; cucinata e cotta al momento giusto”.

Tra Loris e i suoi genitori c’è frizione anche per l’uso dei nuovi strumenti tecnologici da parte del ragazzo, che mamma e papà non capiscono appieno.

“Ciò che più mi dispiaceva era che i miei genitori non capissero che il gruppo creato su facebook tra compagni di classe contribuiva a farmi pensare alla scuola come qualcosa di bello, attivo, intelligente. Persino il prof di informatica, sempre molto disponibile, parlava con noi ragazzi in chat e dalle regole o dai concetti della materia spesso, senza alcuna forzatura, si passava a dialogare anche di argomenti molto seri”.

Ed è proprio il professore di informatica ad avere un ruolo importante nella crescita di Loris. “Mi sembrava di aver incontrato, finalmente, una persona che sapesse stare con noi, ci volesse bene in modo vero, volesse farci crescere senza obbligarci o tirarci dalla sua sorpassando la pazienza dell’agricoltore che attende pazientemente il bene che cresce. Sperava che lo facessimo e c’indirizzava verso il sentiero giusto senza imposizioni. Noi lo seguivamo per questo”.

Sfidato un giorno da alcuni allievi su temi “scottanti”, il docente, anziché imbarazzarsi o rimproverarli, decide di affrontare le questioni che riconosce importanti per i suoi ragazzi.

“Io ho trentuno anni e il mio corpo, grazie a Dio, funziona correttamente”, dice loro. “Fa sentire quotidianamente i suoi bisogni, come il vostro. Ciò che ho capito in questi anni, grazie anche a tante persone con le quali mi sono confrontato e mi hanno aiutato a crescere, è che la difficoltà più rilevante non è il suo funzionamento. Questo sottostà alle leggi della meccanica fisica. Il nostro problema non è la sua comprensione, regolata dalla razionalità. E non è neppure l’affettività, perché di sentimenti ne proviamo tanti tutti e la nostra impulsività, se gestita correttamente, non fa del male a nessuno, tantomeno a noi stessi. Il vero problema è imparare ad amare”.

Da questa frase scaturisce una lunga riflessione che percorre vari capitoli del testo, perché il professore invita i suoi allievi a confrontarsi. “Voler bene. Questo fu il grande tema della discussione. Cosa significava ‘amare’ e ‘lasciarsi amare’? E poi, da chi? A quale età? Come? Perché?

Come soddisfare i desideri di un corpo acceso che voleva partire, ma non sapeva bene per dove e per quanto tempo? Insomma, ce n’era per tutti”.

Loris apprezza molto l’approccio del “prof”. “Non faceva domande imbarazzanti, ma riusciva a parlare della corporeità. Sarebbe stato importante che i miei e gli altri genitori fossero lì ad ascoltarlo”; “non banalizzava tensioni, desideri, impulsi, trasformazioni, e non aveva mai usato un modo di esprmersi che fosse giudicante”.

“Il primo passo – diceva il prof – non era quello di archiviare bisogni e impulsi, bensì di educarli. Sì, questa era stata la parola che il prof aveva usato: educare. Conoscerci per saper amare”.

“Quel giorno non ci fu la solita lezione: alla faccia di alcune mamme che, scandalizzate, si sarebbero stracciate le vesti per difendere chissà quale ‘diritto allo studio’ per i loro figli”.

“Magari i nostri genitori si fossero concessi qualche volta in più un po’ di tempo per raccontarci qualcosa di se stessi e non solo per dire: ‘Tu sei fortunato perché ai miei tempi non era come adesso. La scuola era più seria perché gli insegnanti erano più severi’”, confessa Loris. “Magari qualche genitore avesse voluto mettersi in ascolto anche delle nostre storie affettive, quelle apparentemente banali e quelle che, al contrario, proprio perché serie e poi interrotte ci avevano ferito interiormente, nell’animo”.

E allora appuntamento alla prossima avventura di Loris!

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