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Una guida per il Sinodo

Hall of the Synod 4 10 ottobre 2014 – Sabrina Fusco

© Sabrina Fusco / ALETEIA

Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 31/10/14

Un articolo di padre Antonio Spadaro su "La Civiltà Cattolica" aiuta a capire l'andamento di questa prima fase sinodale

Se il Sinodo straordinario si è chiuso ormai da alcune settimane, non così si è concluso il cammino sinodale voluto da Papa Francesco che anzi dovrà mettersi nelle condizioni di proseguire con lo stesso spirito di parresia che ha contraddistino l'abbrivio di questo percorso.

Il direttore della Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, ha scritto per il numero della prima quindicina di Novembre della storica rivista dei gesuiti, un articolo “Una Chiesa in cammino sinodale. Le sfide pastorali sulla famiglia”. Un lungo pezzo che fa da “compendio giornalistico” del dibattito intercorso tra i padri sinodali, e soprattutto come momento di chiarezza tanto per chi – come anche noi di Aleteia – deve raccontare la vita della Chiesa, quanto per il fedele o il semplice curioso che voglia superare il chiacchiericcio e andare al cuore della reale dinamica che si è svolta.

Il metodo del Sinodo: la parresia
Un percorso, quello proposto dal gesuita esperto di cyberteologia, che parte dalla fase che ha anticipato il dibattito vero e proprio e ricorda come tutto è iniziato con l'indagine conoscitiva delle parrocchie e delle diocesi cattoliche nel mondo: “Da notare subito che sia le domande sia le risposte non hanno dato nulla per scontato, né hanno voluto proiettare una immagine ideale di famiglia cristiana. Il processo sinodale ha davvero inteso aprire gli occhi sulla realtà della coppia umana, anche negli aspetti più problematici: dai matrimoni irregolari alla poligamia, alle unioni omosessuali”. Il metodo della Chiesa è orientato al realismo, non alla ideologia. C'è un ideale da proporre (Cristo), ma c'è anche la condizione sempre diversa dell'umanità segnata dal peccato.

Al metodo del realismo si affianca quello del dialogo fraterno, secondo l'esempio e lo stile proposto dal Concilio Vaticano II. A partire da questo il Pontefice stesso aveva riferito – proprio alla Civiltà Cattolica – il proprio pensiero: «Si deve camminare insieme: la gente, i vescovi e il Papa. La sinodalità va vissuta a vari livelli. Forse è il tempo di mutare la metodologia del Sinodo, perché quella attuale mi sembra statica». E' quindi importante tenere conto che “il Pontefice intende imprimere alla Chiesa la «dinamica della sinodalità».

E' bene ricordare che il Sinodo dei vescovi fu istituito dal beato Paolo VI nel 1965 proprio per mantenere viva l’esperienza del Concilio Vaticano II. “Non è dunque casuale – sottolinea padre Spadaro – che la beatificazione del Papa bresciano abbia coinciso con la chiusura dell’Assemblea”.

In molti dentro e fuori la Chiesa pensano ad essa come ad una “caserma”, nella quale o si è d'accordo o arrivano punizioni ed espulsioni. Nulla può essere affermato, specie contro il pontefice regnante. Sbagliando. Ecco quindi che Papa Francesco: “ha posto esattamente nel suo ministero petrino il fondamento della serenità di coscienza nel dire ciò che si pensa: «il Sinodo si svolge sempre cum Petro et sub Petro, e la presenza del Papa è garanzia per tutti e custodia della fede». In tal modo Pietro non si può intendere restrittivamente come «argine» alla parola e al pensiero dentro la Chiesa, ma al contrario come la «roccia» solida che rende possibile l’espressione, perché è lui, e non altri, a essere supremo garante e custode della fede”. E a conferma di questo, il Papa si è adoperato “Proprio perché il dibattito fosse davvero tale, il Santo Padre ha nominato al Sinodo membri, alcuni dei quali, in maniera opposta e divergente, avevano espresso il loro parere sui temi trattati. I media forse non erano pronti a una tale apertura e pluralità di posizioni e hanno semplificato il dibattito polarizzandolo su alcune figure. E tuttavia occorre dire che ciò non si è mai verificato nell’Aula, che invece ha visto l’espressione di posizioni molto diversificate, arricchite tra l’altro dalla internazionalità dell’assemblea e dell’eterogeneità delle loro esperienze pastorali. Nel Sinodo è emersa una Chiesa in ricerca e davvero «cattolica» che, a partire da un tema specifico, si è interrogata su se stessa e sulla sua missione. Sono emersi anche modelli differenti di Chiesa, ma anche impostazioni culturali differenti, a tratti opposte, considerando il Paese o anche il Continente di provenienza dei Padri. In questo senso è possibile affermare che nell’Aula si è respirato davvero un clima «conciliare»”.

In realtà il “clima da caserma” non appartiene allo spirito della Chiesa ed è bene ricordare come perfino fra gli Apostoli non ci fosse una unità di vedute né tanto meno imbarazzo a dire quel che si pensava, basta ricordare “il clima del cosiddetto «Concilio di Gerusalemme», del quale gli Atti degli Apostoli non temono di registrare «una grande discussione» (At 15,7) tra apostoli e anziani della Chiesa di Gerusalemme che fa seguito a un’altra «controversia» nella quale «Paolo e Barnaba dissentivano e discutevano animatamente» (At 15,2) contro altri fratelli venuti dalla Giudea circa la questione della circoncisione. E ricordiamoci che è Paolo a opporsi a Cefa «faccia a faccia» (Gal 2,11)”. E quindi “è questo confronto faccia a faccia ciò che il Santo Padre ha chiesto ai Padri Sinodali di non temere, sapendo che a guidare la discussione di tutti è «il bene della Chiesa, delle famiglie e la suprema lex, la salus animarum (cfr Can. 1752)»”

Tutto questo sempre «senza mettere mai in discussione le verità fondamentali del Sacramento del Matrimonio: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e la procreatività, ossia l’apertura alla vita». Il senso vero è quello dell’unità oltre i conflitti: «Uniti nelle differenze: non c’è un’altra strada cattolica per unirci. Questo è lo spirito cattolico, lo spirito cristiano: unirsi nelle differenze. Questa è la strada di Gesù!». Ecco che i dissensi non sono spaccature, ma spesso fessure attraverso le quali la grazia passa più agevolmente.

La Relazione: guardare in faccia la realtà contemporanea
L'articolo della Civiltà Cattolica mette in luce l'esito reale – cioè oltre il testo, nella sua accoglienza – della Relazione conclusiva del dibattito. Una deliberazione che “è caratterizzata da uno stile molto dinamico, magari non sempre lineare a causa della convergenza di molti interventi, ma certamente capace di dare voce alle sfide emerse dalla discussione” da cui forse sono nati i pettegolezzi sulle divisioni. “Leggendola, molti hanno avuto l’impressione che davvero il Sinodo abbia guardato in faccia la realtà, nominandola, anche negli aspetti più problematici. Si è accolta dunque l’esistenza concreta delle persone, più che parlare in astratto della famiglia come dovrebbe essere”.

Tra i vari punti emersi sono da segnalare: “la valutazione delle coppie unite da un vincolo esclusivamente civile, la situazione dei divorziati risposati e il loro eventuale accesso ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia, i matrimoni misti, i casi di nullità, la situazione delle persone omosessuali, la sfida della denatalità e dell’educazione”.

A questo punto il cammino della Chiesa universale si apre sull’anno che separa questa fase da quella del Sinodo Ordinario, che sarà anch’esso una tappa del processo di discernimento.

La Chiesa come ospedale da campo
Tralasciando dunque gli esiti delle singole votazioni, è bene ricordare il punto di fuga dell'osservazione del Pontefice. Quando il Papa parla della Chiesa come «ospedale da campo dopo una battaglia» di cosa parla? Qual è il campo di battaglia oggi? Alcune di queste sfide riguardano proprio la famiglia: “il calo delle nascite e l’invecchiamento della popolazione hanno rovesciato i rapporti fra giovani e anziani; la contraccezione consente la scissione tra sessualità e generatività; la procreazione assistita rompe l’identità tra generare ed essere genitore; le famiglie ricostituite portano all’esistenza legami e ruoli parentali con complesse geografie relazionali; coppie di fatto pongono la questione della istituzionalizzazione sociale dei loro rapporti; persone omosessuali si chiedono perché non possano vivere una vita di relazione affettiva stabile da credenti praticanti. Ma, in realtà, il vero problema, la vera ferita mortale dell’umanità oggi è che le persone fanno sempre più fatica a uscire da se stesse e a stringere patti di fedeltà con un’altra persona, persino se amata. È questa umanità individualista che la Chiesa vede davanti a sé. E la prima preoccupazione della Chiesa deve essere quella di non chiudere le porte, ma di aprirle, di offrire la luce che la abita, di uscire per andare incontro a un uomo che, sebbene creda di non aver bisogno di un messaggio di salvezza, si scopre spesso impaurito e ferito dalla vita”.

Fiaccola, non faro
Ecco che quindi “non basta che la Chiesa rifletta la luce di Cristo sulle coppie umane come un faro luminoso, ma statico: occorre che sia anche fiaccola. Infatti, se l’umanità si allontanasse troppo, la luce della Chiesa — per quanto potente — diventerebbe talmente flebile da scomparire per molti. La luce di Cristo riflessa dalla Chiesa non può diventerebbe privilegio di pochi eletti che galleggiano nel recinto di un porto sicuro: una «chiesuola», dunque, più che una Chiesa. La Chiesa intesa come «fiaccola» è chiamata ad accompagnare i processi culturali e sociali che riguardano la famiglia, per quanto ambigui, difficili e poliedrici possano essere”.

Oggi più che mai «serve una Chiesa capace ancora di ridare cittadinanza a tanti dei suoi figli che camminano come in un esodo»

La luce del cammino della Chiesa — lungo il quale le tentazioni citate non mancano — deve rimanere Cristo servo, che vuole una «Chiesa che non ha paura di mangiare e di bere con le prostitute e i pubblicani». Questo ha confermato il «Messaggio» del Sinodo a tutte le famiglie: «Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse una casa con la porta sempre aperta nell’accoglienza, senza escludere nessuno».

Per una lettura più approfondita che solo l'articolo integrale può fornire, rimandiamo al sito della Civiltà Cattolica.

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