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Una serie di libri aiuta a rapportarsi al mondo adolescenziale

Crying man

© DR

Roberta Sciamplicotti - Aleteia - pubblicato il 27/10/14

Scritta da don Marco D'Agostino, ha come protagonista un sedicenne alle prese con la fatica di crescere

Una nuova serie di libri sul mondo degli adolescenti, a metà strada tra narrativa e riflessione esistenziale, per aiutare gli educatori a rapportarsi alle nuove generazioni, spesso alle prese con dubbi e incertezze anche a livello religioso.

È quella che nasce dall’esperienza di don Marco D’Agostino, sacerdote cremonese che lavora con adolescenti e giovani sia come insegnante di Lettere antiche che come responsabile del Centro Vocazioni, e che ha come protagonista Loris Priori, un personaggio di fantasia che ricalca tuttavia la realtà di tanti giovani del nostro tempo.

Sedicenne scontroso ma deciso a lasciarsi provocare dalla vita e a fare i conti con se stesso e con Dio, Loris è il personaggio principale di ogni volume, a cominciare da “A Dio cosa importa di me? Adolescenti al bivio” (San Paolo), dove si pone una domanda che forse è passata per la testa a tanti: “Per cosa ti serve un Dio così? Se lo invochi, non ti ascolta. Se lo bestemmi, ti puniscono. In ogni caso sembra sempre che ti debba arrangiare da solo. Il fischio lungo e assordante di un arbitro. La vergogna per uno sbaglio clamoroso”.

Il libro parla di Loris, adolescente alle prese con le avventure della crescita, sotto forma di racconto in prima persona. “Amo me stesso e fatico ad amare gli altri”, dice il ragazzo. “Amo me stesso e non voglio sentire ciò che Dio dice: ‘Ama il prossimo, rinnega te stesso’. Sono frasi che non ho mai capito, troppo difficili e impegnative. Io non rinnego proprio nulla”.

Loris parla però anche di una confessione in cui il sacerdote lo ha piacevolmente stupito per il suo atteggiamento. “Ho come la sensazione che Dio, alla stazione ferroviaria nella quale tu lo aspetti, non ci sia affatto. Allora mi dispero. Lo accuso di ‘assenza ingiustificata’. Mi dico: ‘A cosa serve un Dio così, che non c’è dove lo attendi e non si fa vedere quando lo cerchi?’ Oppure, ‘A Dio, di me, cosa importa? Nulla!’ Invece cosa succede? Sperimenti che Lui… è alla stazione dopo. Ha già fatto il passo prima di te. Ti aspetta là. Ti ha preparato il terreno, la strada, la camminata, facendoti trovare ciò che ti serviva”.

Ampio spazio è poi dedicato alle riflessioni scaturite dal ricordo di Tommaso, un compagno di classe portato via da una malattia del sangue in tre mesi. “Un pomeriggio, mi ero fatto forza e gli avevo anche chiesto: ‘Ma dove trovi la forza di ridere?’ Lui mi aveva risposto subito. ‘In Gesù’. E quel nome, Gesù, dalle sue labbra era uscito come un nome familiare, che invocava tante volte, soprattutto, aveva detto, di notte quando ìi dolori non mi lasciano stare. Soprattutto lì Gesù mi fa compagnia’”.

“Pregare è proprio una virtù dei forti. E io avevo sempre pensato che solamente i deboli pregano”, dice Loris. “Per pregare bisogna avere una fede tale che presuppone una forza, forza anche di capire che ciò che chiedi, Dio non sempre te lo concede. Forza di affidarsi anche (e proprio) perché non vedi (ancora) ciò che hai domandato. Forza di continuare a sperare anche se la malattia, come in questo caso, avanza molto velocemente. Forza di sentirti a fianco qualcuno che ti accompagna. Tommy lo ha sentito. Ma io faccio fatica. Mi sembra che Dio non ti aiuti”.

C’è sempre, però, la possibilità di trovare un’“illuminazione”. Rovistando tra le magliette, Loris trova un quadretto la cui data rimanda alla sua Cresima e che rappresenta l’episodio evangelico di Zaccheo.

La dedica dei formatori recita: “A Loris, perché trovi il coraggio, come Zaccheo, di decidere, scendere dal suo albero e ascoltare la voce del Maestro che passa e chiama”.

“Zaccheo è ritrovato da Gesù”, riflette Loris. “Riportato a casa. Recuperato. La cosa che sta maggiormente a cuore, Signore, è andare a cercare, chiamare, chiedere. Tiri giù la gente dalle piante, Tu in persona, senza mediatori e segretari, per farla tornare a vivere. Ma io, voglio farmi cercare? Voglio essere ‘la casa’ in cui Signore abita? Vorrei, ma faccio fatica”.

“Zaccheo è curioso, interessato a Gesù. Come lo sono io. Anche se un po’ a intermittenza. Ma deve passare da una parte all’altra. Che bello! Lui con le sue sole forze non ce la fa e non ce la farà mai. Sono cercato da Gesù perché sono amato, sono parte delle sue attenzioni, dentro il suo cuore, nella sua decisione di rendermi differente. È straordinario”.

E allora nasce una preghiera: “Signore, grazie, perché mi cerchi, mi vedi, mi chiami. Grazie perché non te la prendi se non mi faccio sentire per un po’. Grazie perché, anche se mi nascondo tra le fronde di un albero, tu sai cercarmi. Grazie perché hai pazienza e usi le parole giuste al momento giusto. Grazie perché non ti formalizzi, non te la prendi se sbaglio. Non ne approfitto, ma sono contento che non perdi il vizio di sporcarti le mani con me. Signore grazie perché mi cerchi, anche se non ho tanta fede”. “Grazie perché ti sono caro, ti sto a cuore. Signore grazie perché tu parli a me”. “Signore, grazie perché dopo avermi cercato, ti inviti a casa mia”.

“Grazie anche di non avermi fatto cestinare il quadretto di Zaccheo. Grazie perché quella pianta, da cui devo scendere, mi chiede una decisione ferma. Coraggio per credere. Fede per aver coraggio. Testimonianza per essere coerente”.



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