La vaghezza della legge in approvazione in Parlamento sull’omofobia rende ogni affermazione un possibile reato
Il confronto svoltosi il 20 ottobre 2014 tra il Presidente dei Giuristi per la Vita, Gianfranco Amato, e l’on. Ivan Scalfarotto presso il Liceo Scientifico Cavour di Roma ha lasciato una velenosa coda polemica nata dall’accusa, tanto infondata quanto risibile, lanciata dallo stesso onorevole Scalfarotto secondo cui «l’avvocato Amato ha equiparato gli omosessuali agli animali».
La ridicola enormità di tale affermazione sarebbe bastata da sola a rendere evidente l’impossibilità di una sua pronuncia nei termini lamentati.
Questo è, in realtà, il tenore e il contesto dell’affermazione fatta dal presidente dei Giuristi per la Vita, e correttamente riportata solo da alcuni giornali, tra cui il Corriere della Sera: «Il sentimento non può essere il solo fattore da considerare per definire il matrimonio. Occorre, infatti, tener conto di altri aspetti, come la bipolarità sessuale, la finalità procreativa, quella educativa, eccetera. Matrimonio e famiglia sono concetti che non possono essere oggetto di manipolazione giuridica. Se, infatti, si lasciasse decidere al parlamento cosa è un matrimonio o una famiglia, e si utilizzasse il solo criterio del sentimento, allora si potrebbe arrivare al paradosso di definire matrimonio come l’unione di cinque donne legate tra loro da un rapporto di reciproco amore, o di tre donne e tre uomini, o addirittura di un uomo e un cane, se si tiene conto dell’elemento affettivo che lega gli uomini agli animali».
Il ragionamento, peraltro, non è nuovo e neppure originale, visto che da tempo viene utilizzato nella discussione circa l’ammissibilità del matrimonio tra persone omosessuali.
Lo stesso Mario Adinolfi, compagno di partito dell’on. Scalfarotto, del resto, nel suo noto saggio intitolato “Voglio la Mamma”, ha elaborato questa ineccepibile riflessione: «Se il matrimonio è solo un timbro pubblico sul proprio amore e “davanti all’amore lo Stato non può imporre a nessuno come comportarsi”, al momento dovessimo ammettere la rottura del principio sacro per millenni che il matrimonio è l’unione tra un uomo e una donna, perché limitarci a rendere legale e matrimoniale solo il rapporto tra due donne o due uomini? Perché non accettare che ci si possa amare in tre? O in quattro? Se un bambino riceve amore uguale a quello di una madre e di un padre da due papà, perché non da quattro? O da tre papà e una mamma? O dal papà che ama tanto il proprio cane e vuole che la sua famiglia sia composta dal papà, dal cane e dal bambino ottenuto da una madre surrogata? Il cane dimostra tanto affetto verso il bimbo, quasi gli somiglia. Se rompiamo la sacralità del vincolo matrimoniale tra uomo e donna, ogni rapporto “stabile” potrà alla lunga trasformarsi in matrimonio, sarà un diritto incontestabile. Con conseguenze inimmaginabili. Non a caso in Italia un parlamentare del Movimento Cinque Stelle, Carlo Sibilia, ha avanzato l’ipotesi di un proposta di legge che estenda la possibilità di contrarre vincolo matrimoniale tra due uomini, tra due donne o anche tra più persone senza vincolo di numero e genere, addirittura tra specie diverse. Qualcuno ha irriso il deputato Sibilia, ma dal punto di vista strettamente logico i suoi argomenti sono inappuntabili».
Quello che stupisce, e merita di essere attentamente osservato, nelle vicenda del Liceo Cavour è il fatto che i media non abbiano enfatizzato tanto l’affermazione del presidente dei Giuristi per la Vita, quanto la percezione che di essa ha avuto l’onorevole Scalfarotto. Non è il tenore letterale di quello che si afferma, ma come tale tenore viene percepito dal destinatario: Scalfarotto si è sentito offeso, e tanto basta.
Questo aspetto getta una luce inquietante proprio sull’impianto normativo che si vorrebbe introdurre per contrastare il fenomeno dell’omofobia e che trova, guarda caso, nell’on. Scalfarotto il più convinto sponsor. Poiché, com’è noto, tale disegno di legge non dà alcuna definizione del concetto di omofobia, quanto accaduto al Liceo Cavour rende ancora più evidente il rischio che anche nel nostro Paese si finisca per aderire all’orientamento utilizzato dal britannico Crown Prosecution Service (CPS), e ufficialmente contemplato nel punto 2.1 della circolare 44u899 CPS – Hate Policy: «Non esiste una definizione normativa di caso riferibile ad omofobia o transfobia, e al fine di attuare la nostra politica criminale in materia, noi adottiamo questa definizione: “Si ritiene riferibile ad omofobia o transfobia ogni caso in tal modo percepito dalla vittima o da ogni altro soggetto”».
In questo caso, Amato, Adinolfi o altri potrebbero essere considerati omofobi non a causa di quello che letteralmente dicono o scrivono, ma semplicemente sulla base di quanto possa essere emotivamente percepito dall’onorevole Scalfarotto, da un ascoltatore o da un giornalista. «By the victim or by any other person», esattamente come prevede la circolare del Crown Prosecution Service.
In questa prospettiva le polemiche sorte sul caso del Liceo Cavour possono provvidenzialmente svolgere una meritoria opera chiarificatrice sulla natura liberticida e illiberale del disegno di legge sull’omofobia, che non a caso porta il nome dell’onorevole Ivan Scalfarotto.
I Senatori della Repubblica hanno di che riflettere.