Una domanda su una formula del Credo
Perché nel Credo si dice che Gesù è «generato, non creato»? Qual è la differenza?
Lettera firmata
Risponde padre Giovanni Roncari, docente di Storia della Chiesa alla Facoltà teologica dell’Italia centrale.
«Generato, non creato». Per ben capire questa espressione, che può sembrare sibillina o un giuoco di parole, è necessario (come sempre del resto) tenere ben presente il constesto storico-teologico nel quale fu formulata. Per questo è necessario partire un po’ da lontano e non dare una risposta secca che rischia di diventare a sua volta poco comprensibile.
Il contesto come è noto, è quello del credo niceno-costantinopolitano e dei due concilii, Nicea (325) e Costantinopoli (381) dove quella professione di fede fu ripensata e riformulata sotto la spinta di correnti teologiche nella quali la chiesa non si riconosceva. Il dibattito dottrinale trinitario non parte con il concilio di Nicea, ma nasce con il cristianesimo stesso. Si tratta della concezione di Dio e del suo mistero che i cristiani credono e predicano: cosa è il cristianesimo? un semplice monoteismo come altri? Un monoteismo biblico e Gesù è il grande profeta? Un triteismo, quasi una riduzione cristiana dell’antico politeismo pagano? È una «vernice cristiana» su un impianto filosofico platonico: l’Uno (il Padre) che agisce attraverso il demiurgo (il Figlio)?
Semplificando molto si possono ridurre a due grandi correnti interpretative del mistero trinitario espresso, per fare solo una citazione, nelle parole battesimali nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (Mt.28,19) Una prima corrente, partendo dall’assoluto monoteismo biblico e dalla sua irriducibile trascendenza insegnava che «padre, figlio e spirito santo» erano solo tre modi di manifestarsi ad extra, nella storia, dell’unico Dio che rimaneva nel suo inaccessibile mistero: è il modalismo che tende a liquidare il cristianesimo in un «normale» monoteismo, e Gesù di Nazareth, il personaggio storico «giustiziato dal procuratore Ponzio Pilato, sotto il regno di Tiberio» (Tacito, Annali 15,44) solo uno strumento usato da Dio per manifestarsi. Questa corrente non ebbe molto seguito: troppo lontana dall’annuncio evangelico «il Verbo si è fatto carne», sembrò solo una rielaborazione filosofica dove la novità cristiana veniva ampiamente disconosciuta.
Ben più lungo e complicato fu il cammino dell’altra corrente teologica, il subordinazionismo, dottrina che insegna esservi una gerarchia all’interno della Trinità. Prima di tutto e di tutti c’è il Padre Eterno, l’ingenerato, in definitiva il vero unico Dio (salvando così il monoteismo biblico), poi in subordine il Figlio, il generato, sottolineando che «ci fu un tempo in cui il Verbo non era e il Padre non è sempre stato Padre» (Ario). Il figlio è dunque un dio di secondo ordine «creato» dal Padre perché intervenisse nella creazione del mondo. Uno schema, come già notato, che assomiglia molto al demiurgo platonico e alle sue funzioni. Infine, al terzo posto, lo Spirito Santo. Anche in questo caso vengono utilizzati schemi religiosi (modelli di gerarchie degli dei pagani) e soprattutto filosofici precedenti, particolarmente dal mondo platonico, per esprimere l ’annuncio cristiano.
Ma non solo questo. Nel vangelo vi sono espressioni che possono far pensare ad certo subordinazionismo: «Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me» (Gv. 14,28); e ancora: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv. 17,3) e ancora: «Quanto però al quel giorno o a quell’ora, (il giorno del giudizio) nessuno lo sa, nè gli angeli nel cielo nè il Figlio, eccetto il Padre