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Paolo VI, esempio di santità e coerenza da riscoprire

Pope Paul VI – CPP

©GIANCARLO GIULIANI/CPP

Roberta Sciamplicotti - Aleteia - pubblicato il 22/10/14

Un libro auspica che la sua figura non sia più appannaggio degli specialisti, ma venga scoperta da tutto il popolo di Dio

“C’è da augurarsi che Montini sia meglio conosciuto, innanzitutto togliendolo dall’esclusiva competenza degli studiosi specialisti”. Questo il pensiero di Domenico Agasso jr. e Andrea Tornielli, autori di “Paolo VI. Il santo della modernità” (San Paolo), in cui si ripercorre la vicenda di papa Giovanni Battista Montini, beatificato il 19 ottobre.

Per Montini “non esiste una diffusa e popolare fama di santità come quella che si può riscontrare per papa Giovanni, per papa Giovanni Paolo II o anche per papa Luciani”, riconoscono gli autori, “ma questo lo si deve anche al fatto che la grande figura di Montini, protagonista della storia della Chiesa del Novecento, vero artefice della riforma voluta dal Concilio Ecumenico Vaticano II, è apparsa spesso lontana e sconosciuta alle nuove generazioni, schiacciata dalle popolari figure del predecessore ‘papa buono’ e del suo secondo successore ‘papa dei record’ dal pontificato lunghissimo”.

Per di più, Paolo VI “ha vissuto in tempi di grandi rivolgimenti non solo internazionali, ma anche interni: il travaglio del postconcilio, a cui non era estraneo il Sessantotto, ha trasformato questo sacerdote e vescovo di origini lombarde nel traghettatore chiamato a guidare la Chiesa in tempi tormentati mantenendola unita”.

Montini venne scelto dal conclave del giugno 1963 proprio perché “capace di incarnare quella linea mediana in grado di tenere in qualche modo unite sia le spinte verso il rinnovamento e la riforma, sia quelle conservatrici”.

“Viene eletto perché continui il Concilio e lo guidi con mano sicura, portandolo fuori dalle secche verso le quali voleva condurlo la minoranza intenzionata a chiuderlo in fretta magari facendo marcia indietro. Ma anche tenendolo al riparo dalle incontrollate spinte in avanti dell’altra minoranza, intenzionata a mettere tutto in discussione e a rivoluzionare la Chiesa”.

“Il primo vero miracolo di papa Montini, per certi versi ancora più eclatante della guarigione inspiegabile del bambino non nato che lo porta alla beatificazione, è stato infatti quello di aver portato a termine il Vaticano II facendo sì che i suoi documenti fossero votati praticamente all’unanimità”.

Se il Concilio, l’evento più importante nella storia della Chiesa del Novecento, è stato uno “spettacolo di unità”, lo si deve infatti in buona parte alla guida attenta di Paolo VI.

“Certo, ci si aspettava che al Vaticano II, con la Chiesa che apriva le finestre per far entrare aria fresca e per presentare in modo nuovo le verità della fede cattolica, sarebbe seguito un periodo di rinascita religiosa, di fervore, di nuova speranza, di dinamismo missionario. Venne invece il postconcilio. Venne la contestazione, persino la minaccia di scisma. Con il papa attaccato da destra e da sinistra, messo in discussione dai suoi amici, da coloro che l’avevano eletto”.

In questa fase, Paolo VI è stato “un testimone sofferente e al contempo fermo, che con interventi ed encicliche ha ribadito ciò che la Chiesa aveva sempre creduto e continuava a credere”, e al contempo “non ha mai fatto passi indietro rispetto alla via segnata dal Concilio”.

Forse, indicano Agasso e Tornielli, la sua grandezza emerge proprio in quegli anni travagliati, “nel suo lavorare e soffrire per mantenere unita la Chiesa, nel suo riaffermare verità di fede che qualche teologo di grido o persino qualche vescovo volevano mettere in discussione, nel suo non cedere alla richiesta di chi desiderava condanne definitive e provvedimenti inquisitori ai quali sarebbero probabilmente seguiti scismi”.

L’aspetto che più ha caratterizzato la figura di Montini (non solo quella del Papa Paolo VI) è l’atteggiamento nei confronti del “mondo”. “La sua”, si legge nel testo, “è una Chiesa che non lascia nulla di intentato per andare incontro agli uomini e alle donne di oggi, che si abbassa, che valorizza ogni scintilla valorizzabile nella posizione dell’altro, che non ha pretese egemoniche, cosciente del fatto che la Chiesa cresce per attrazione e non per proselitismo”. È una Chiesa che “vuole ritrovare il suo impeto missionario”, impeto che fa percorrere a Paolo VI “centinaia di migliaia di chilometri nei cinque continenti” e gli fa dire che “il cattolico, fedele alla sua fede, può guardare al mondo non come ad un abisso di perdizione, ma come a un campo di messe”.

Nel testo, il postulatore della causa di canonizzazione di papa Montini, padre Antonio Marrazzo (succeduto a padre Paolo Molinari), osserva che Paolo VI, “dovendo guidare la Chiesa in un tempo in cui era messo in discussione tutto ciò che solo pochi anni prima era tenuto per scontato, si è trovato ad affrontare scelte impopolari, sia per chi chiedeva l’immutabilità del passato, sia per chi, in nome della ‘modernità’ e del ‘primato dell’uomo’, esigeva cambiamenti che sapevano più di facili scorciatoie che di un rinnovamento in continuità con il sano patrimonio precedente”.

L’attenzione alla santità di Paolo VI, “anche se non ha ricevuto apertamente quel risalto che in molti pensiamo gli fosse dovuta, di fatto, però, è andata sempre più affiorando nel corso degli anni, specialmente dopo la sua morte”. Dalla documentazione conosciuta, padre Marrazzo assicura che “si può solo attestare che Paolo VI ha continuato a svolgere il suo servizio sacerdotale anche dopo la morte. E lo ha fatto con la stessa sollecitudine e coerenza impiegata durante il magistero professato in vita”.

Molti degli sviluppi della Chiesa degli ultimi decenni si devono inoltre a Paolo VI. Come ha affermato Andrea Riccardi, Giovanni Paolo II ha “suonato lo spartito che Paolo VI aveva scritto”.



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