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Il mistero dei 12

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© Osservatore Romano / CPP

Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 22/10/14

Affrontare il tema della collegialità nella Chiesa nelle parole di Giovanni Paolo II

Il modo migliore per celebrare un santo è conoscerlo. C’è poi un santo che tutti abbiamo amato e conosciuto, San Giovanni Paolo II. Karol Wojtyla che col suo sorriso e il suo approccio ha aiutato la Chiesa nella sua complessa transizione nel nuovo millennio. La collega di Korazym, Angela Ambrogetti col suo volume fresco di stampa “Il mistero dei 12. I vescovi del mondo a tavola con Giovanni Paolo II” (Tau editrice), ci offre un punto di vista inedito e informale di un gigante della fede cattolica e – di più – per un pastore che molto ha influenzato la Chiesa essendone stato il pastore per 27 anni. Il modo con cui questo agile volumetto ci permette di affrontare Giovanni Paolo II è attraverso tutti quei discorsi formali, informali, improvvisati o anche solo accennati che il papa fa quando egli stesso incontra gli altri vescovi in giro per il mondo o durante una delle cosiddette “visite ad limina”. La questione è: ma di cosa parla un papa a tavola con i vescovi di un paese che sta visitando? E qui nonostante lo sviluppo mediatico e la informalità cui ci ha abituati papa Francesco, specie dopo un certo garbato "formalismo" di Benedetto XVI che – forse – ci avevano fatto dimenticare alcuni gesti famosi del suo predecessore, non è facile saperlo. Questo accade principalmente perché non ci sono registrazioni, appunti, trascrizioni, almeno non nella maggioranza dei casi.

Tuttavia grazie all’archivio sonoro della Radio Vaticana che custodisce alcune registrazioni di quei momenti è possibile ricostruire ciò che disse Giovanni Paolo II in ogni parte del mondo. Ma cosa si trae da questi momenti “fuori protocollo”? Un fatto importante: alcune indicazioni di come il Concilio abbia cambiato il senso stesso della comunione tra i vescovi e con il Vicario di Cristo.

Il fascino del libro è tutto qui: esplorare il senso di un magistero “inedito” di un pontefice che dobbiamo continuare a studiare per la sua ampia visione universale. Il tema della collegialità episcopale è quanto mai attuale in questo periodo. Anche Papa Francesco nel discorso conclusivo per il Sinodo sulla famiglia ne ha parlato. Molto utile – per fedeli, curiosi ma anche per gli specialisti – l’introduzione che è la presentazione del tema seguendo le linee del Concilio Vaticano II e degli ultimi tre pontefici. Nella parte centrale del libro molti di questi interventi in cui resta sempre al centro dei discorsi del Papa questo mistero dei Dodici. In appendice vari testi utili al lettore compreso un testo dell’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger sulla possibile riforma del Sinodo.

Qui un estratto di una delle conversazioni. E’ evidente lo stile di Giovanni Paolo II:

Guinea Conakry 1992

Vi devo raccontare come sono arrivato in Guinea Conakry. È stato un lungo cammino che è iniziato nel 1962. La prima sessione del Concilio Vaticano II, ero un giovane vescovo. In quell’epoca ero vicario capitolare di Cracovia. Ed ero situato piuttosto alla fine della basilica, vicinissimo della “porta di bronzo”, più facile da cacciare!
Allora un giorno un vescovo nero si avvicina e mi dice: “lei è il vescovo di Cracovia?”
Io rispondo: “sì!”
E lui: “Sono monsignor Tchidimbo, sono il vescovo di Conakry. E vi volevo trovare perché una sorella che è a Cracovia mi ha raccontato di voi e mi ha obbligato a trovarvi.”

Allora lui è venuto e si è presentato, e il colloquio si è facilitato da quel momento. Io non sapevo molto della Guinea Conakry. Tutta la prima sessione del Concilio, la prima sessione e le sessioni ulteriori sono state una grande rivelazione della Chiesa, dell’episcopato mondiale e soprattutto dell’episcopato africano. Vedendo i vescovi africani come monsignor Tchidimbo o gli altri, si vedeva che non ci sono differenze, è la stessa Chiesa, è la stessa formazione. E quando si tratta di lingue, parlano meglio di noi. Monsignor Tchidimbo parlava francese meglio di me. E se si studia un po’ la sua biografia si capisce bene perché. Così abbiamo passato quattro anni di Concilio incontrandoci più volte. E devo aggiungere che monsignor Tchidimbo come arcivescovo era seduto molto più avanti di me, poi sono avanzato anche io, dopo la nomina ad arcivescovo di Cracovia sono avanzato. Ma ero sempre vicino al mio collega disagiato l’arcivescovo Kominek che dopo é diventato cardinale, il primo arcivescovo polacco di Breslavia, eravamo uno accanto all’altro.

Era il Concilio…

Dopo il Vaticano II ci siamo incontrati ancora durante i sinodi. Ad esempio nel sinodo del 1969, il sinodo straordinario, e dopo qualche tempo ho saputo la triste e preoccupante notizia: monsignor Tchidimbo era stato arrestato. Sapevo bene che il sistema politico che si era installato dopo la indipendenza qui in Guinea Conakry era un sistema comunista. Comunismo africano. Allora ci siamo trovati sempre ancora più vicini, perché dopo il Concilio siamo tornati a casa. Io sono tornato in Polonia e lui è tornato qui, ma siamo tornati un po’ in situazioni simili. Situazione simili, evidentemente con delle differenze. Differenze specifiche ma in tutti i casi situazioni similari. Io feci allora una po’ di rumore da noi a proposito di monsignor Tchidimbo, che era stato imprigionato dal suo presidente Sékou Touré, un uomo un po’ leggendario. Voi sapete che era un fanatico marxista.

Un uomo che non so se si possa dire normale, era straordinario, ma nel senso piuttosto peggiorativo. E con lui monsignor Tchidimbo è dovuto restare come vescovo e poi come testimone di Cristo in prigione. Era un vescovo imprigionato e sappiamo che in quella epoca il numero dei preti cattolici è diminuito a circa nove persone. Sono stati cacciati tutti i missionari europei, e si è cercato di distruggere la Chiesa cattolica. È un po’ la stessa lezione che abbiamo conosciuto da noi in Europa in Polonia e nei paesi vicini, in Cecoslovacchia, Ungheria, Ucraina, Lituania. In tutti i casi ci sentivamo molto più fratelli per questo. E io ho camminato con monsignor Tchidimbo ogni giorno. Ho accompagnato la sua via crucis che mi ha portato qui a Conakry. Mi hanno fatto vedere ieri la prigione dove era stato imprigionato. Gli avvenimenti sono passati ed è arrivato il momento che questo vescovo di Cracovia, poi cardinale, è diventato Giovanni Paolo II, è un po’ la Provvidenza che scrive sempre sulle righe storte. E così finalmente, era il 1979, Tchidimbo viene liberato dopo 10 anni di prigionia ed è venuto a visitarmi a Castelgandolfo. E ci siamo rincontrati una domenica di agosto, era stato liberato da pochissimo. Io l’ho riconosciuto, era sempre la stessa persona,lo stesso uomo, un vescovo, ma era differente. Prima lo conoscevo come un uomo molto allegro, gioioso, pieno di umore. Aveva perso tutto, e si vedeva bene che questi dieci anni di prigione pesavano su di lui anche fisicamente. Allora in questi giorni a Conakry sentivo la necessità, l’obbligo di raccontare tutto questo, quale era stato il mio cammino, anzi il nostro cammino per arrivare alla giornata di oggi e di ieri, perché la Guinea Conakry lo merita per molti motivi ed uno di questi motivi è esattamente la sofferenza, questa testimonianza il martirio di questo suo primo arcivescovo africano, monsignor Tchidimbo che ha inaugurato la vita della Chiesa africana in Guinea Conakry. L’ha inaugurata come pastore e come prigioniero. Sono convinto che la Chiesa che è stata costruita da queste sofferenze, è costruita attraverso questa via crucis che voi avete vissuto, questa Chiesa ha un avvenire… Poi una volta si è presentato da me un giovane uomo, un “ragazzo”, e mi ha detto: io sono il nuovo arcivescovo di Conakry. Era l’ultimo sacerdote ordinato da monsignor Tchidimbo. E questo era molto significativo, il legame tra il vescovo martire e prigioniero e il suo giovane successore che era l’ultimo sacerdote che aveva ordinato che ha vissuto ancora qualche anno qui con il dittatore. Ma è passato il tempo della dittatura, è arrivato il tempo della liberazione, è arrivato anche il momento della visita del papa.

Ed è bene che questa si faccia tra voi e monsignor Tchidimbo che è presente qui. La sua presenza è piena di significato. E devo ancora aggiungere, oggi abbiamo ordinato tre sacerdoti perché ci sono tre diocesi e ci sono solo due vescovi. Allora faccio un piccolo appello alla Congregazione di Propaganda: bisogna cercare il terzo vescovo! Io so che mi state per dare dei regali e vi ringrazio in anticipo. Ma il il regalo più grande è quello che ho ricevuto attraverso monsignor Tchidimbo e la sua via crucis!

Il libro si chiude con una domanda. L’autrice si chiede ‘In attesa di vedere quali saranno concretamente gli atti di governo e i documenti che papa Francesco metterà in pratica sul tema della collegialità episcopale e del rapporto con il primato, forse il gesto che più di tutti apre le porte ad una effettiva comunione gerarchica è la rinuncia al governo di Benedetto XVI. Paradossalmente si potrebbe aprire in futuro la strada addirittura per un esercizio collegiale del ministero petrino. Come gli apostoli da dodici sono divenuti migliaia, perché non è possibile che l’ufficio di Pietro venga esercitato da più di uno? Una sfida teologica per il futuro. Per ora il papa è uno, quello regnante, a lui spetta il compito di guidare la Chiesa e a lui i vescovi si riferisco: Cum Petro e sub Petro. Eppure la strada è aperta. Lo stesso papa Francesco ad una domanda di un giornalista sul papa emerito ha risposto: “penso che il papa emerito non sia un’eccezione, ma dopo tanti secoli, questo è il primo emerito. Pensiamo, sì, comelui ha detto: “Sono invecchiato, non ho le forze”. È stato un bel gesto di nobiltà e anche di umiltà e di coraggio. Io penso: 70 anni fa anche i vescovi emeriti erano un’eccezione, non esistevano. Oggi i vescovi emeriti sono una istituzione.Io penso che “papa emerito” sia già un’istituzione”’. Una domanda di cui tutta la Chiesa attende una risposta che può venire solo col tempo.



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