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Ti senti sovraccaricato?

Hands of a sad woman in front of a window – it

Vladimir Volodin / Shutterstock

padre Carlos Padilla - Aleteia - pubblicato il 21/10/14

Le esperienze difficili non lavorate, non consegnate, non accettate, finiscono per pesare molto, ci spezzano. Possiamo solo consegnarle a Dio, perché Egli ci libera e ci abbraccia

Tutti abbiamo sete. Quella più comune, che esiste sempre, è la sete d’amore. Abbiamo tutti bisogno di appartenere a qualcosa, a qualcuno, a un luogo, di bere da una fonte. Può essere un gruppo di amici, una banda, un club sociale.

Appartenere a un luogo calma il cuore, ma non del tutto. Vogliamo che qualcuno ci ami incondizionatamente e per questo mendichiamo affetto. A volte a qualsiasi prezzo, cercando di gettare radici, di trovare l’acqua, la pace, l’amore che sazia. Di cosa abbiamo sete?

Non ci basta un bicchier d’acqua per calmare una sete tanto intensa. Ci costa accettare la nostra vita, la nostra storia, i passi fatti male. Accettare e non negare ciò che abbiamo vissuto. Abbiamo sete di qualcosa che ci dia un senso.

Diceva padre José Kentenich: “L’uomo di oggi deve sopportare tante cose! Sopporta moltissimo, ma in genere si può assimilare internamente solo una quantità determinata di impressioni. Se sono troppe, l’essere umano si spezza. O fa spezzare altri. L’uno o l’altro. E in questo consiste il capolavoro della nostra vita: superare quelle impressioni non digerite”.

Le esperienze difficili non lavorate, non consegnate, non accettate, finiscono per pesare molto, ci spezzano. Possiamo solo consegnarle a Dio, donargliele come un dono sacro. Egli ci libera e ci abbraccia.

Sono quelle ferite che fanno sì che rimaniamo lontani dal bicchiere, paralizzati, assetati. Non riusciamo a bere. È importante imparare a digerire le cose che ci accadono. Ciò è possibile solo in Dio.

Una ferita d’amore è quella che tutti portiamo dentro. Per questo tante volte cerchiamo succedanei che riescano a placare un po’ la sete. Affetto comprato, supplicato, mendicato. Affetto in cambio di altre cose. E così compensiamo. Cerchiamo l’equilibrio compensando. Sentiamo la puntura del dolore e compensiamo. Non siamo nella posizione corretta e compensiamo.

Diceva padre Kentenich: “Con le nostre debolezze non ce la facciamo, e cerchiamo soddisfazione per rimpiazzarle. Ci sono alcune "soddisfazioni da rimpiazzo" permesse, ma molte volte fuggiamo anche da noi stessi. Non abbiamo il coraggio, la tranquillità per vederci nudi, lì dove siamo, e consegnarci a Dio nella nostra nudità. Se ci riuscissimo, ci vedremmo liberi da molte cose penose”.

Cerchiamo soddisfazioni per compensare, per placare la sete, ma continuiamo ad essere vuoti. Per questo moriamo lentamente, assetati, ai piedi di un bicchiere d’acqua cristallina. Compensiamo. Non accettiamo la nostra vita com’è, cerchiamo scorciatoie.

Maria vuole insegnarci a riposare nel suo cuore. Quando recitiamo il rosario, ripercorriamo i misteri della vita di Gesù, della sua vita. Ella, pensando a noi, percorre i misteri della nostra vita e ci calma. Prega la mia vita. Medita la mia storia. Rende grazie per i momenti sacri del mio cammino.

Il suo rosario consiste nello sgranare con calma i misteri della mia vita. Si rallegra con chi gioisce, soffre per il mio dolore, per tutto ciò che mi costa accettare perché mi fa male. Si meraviglia della luce di molti momenti. Tutti quei momenti li lascia scorrere tra le sue dita. Soprattutto quelli difficili che costa accogliere. E rende grazie e canta per la mia vita.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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