La simpatica storia di una ragazza che voleva farsi suora ma poi…
Dove si trova il figo che vuoi trovare accanto a te tutte le mattine della tua vita quando ti svegli? Dove si trova quell’uomo gentile, romantico, che sa essere anche simpatico, deciso, sicuro, dolce e premuroso? E, infine, dove lo trovo un figone del genere che mi si prende, proprio a me che ho ancora l’acne da adolescente, un sedere che é più grande della provincia di Roma e Milano messe insieme e non ho ancora imparato a caricare le foto sul computer???
Alle prime due domande qualche risposta ce l’avrei pure, tipo: l’uomo perfetto non esiste nella realtà; oppure, ne conosco uno ma se l’è accalappiato la mia amica mentre io gli stavo trovando una pagliuzza nell’occhio; e ancora, magari esiste, sicuramente lo troverò e cadrà ai miei piedi, ma non ci crede nessuno, in fondo neanch’io. Alla terza domanda davvero ho solo una risposta, chiara e decisa: non mi si filerà nessuno.
Questi sono solo pensieri, anzi sono i pensieri di Alessandra adolescente nella sua camera mentre guarda allo specchio il suo nuovo brufolo e dice “cacchio!”. Io al liceo ero l’amica della bella, quindi ero la simpatica, cioè, mentre pensavo allo strafigo della mia vita, non mi si filava nessuno; se mi filava qualcuno era un qualcuno improponibile.
In verità non é che mi preoccupassi tanto di questo perché mi sentivo davvero bella dentro e la mia interiorità aumentava sempre di più nella mia relazione profonda con Dio. Questa cosa prendeva molto spazio nella mia giornata sia in attività in parrocchia sia in momenti di solitudine passati a leggere i salmi, spesso immersa nella natura sotto un grande albero in cima ad una collinetta.
E più davo spazio a queste cose più mi sentivo piena, tanto da pensare che volevo fare solo quello nella vita, dedicarmi a Dio e agli altri, si, suora, era questa la cosa che mi dava una gioia immensa. Così, dietro l’esempio di san Francesco e con l’entusiasmo dei frati e delle suore che frequentavo ad Assisi, mi infilai un paio di sandali, nonostante il freddo dell’inverno e le risate dei miei amici.
Padre Giovanni, un frate che mi seguiva, aveva capito dove volevo andare a parare e, senza neanche averne parlato esplicitamente, comincio’ a fare discorsi del tipo: “Devi prima imparare a corteggiare un uomo e poi possiamo provare a corteggiare Dio! quindi me ne devi corteggiare 10 e poi scegli il migliore. Non ti fare pipponi mentali, guarda fra i ragazzi che già conosci. Vai! Non dimenticare che l’uomo ragiona con l’occhio, quindi gonna corta, anzi cortissima, tacco, trucco, capelli curati, ecc. Sbrigati!”. In effetti una storia importante non l’avevo avuta (anche perché avevo solo 17 anni!) e il ragionamento filava.
Ma io mo sto ragazzo dove lo trovo?
E se lo trovo, figurati se mi si fila! Andai in Porziuncola e pensai ad un amico che stimavo e con cui poteva valere la pena avere una storia. Pensai subito al mio amico Francesco conosciuto l’anno prima alla marcia; ma lui era impossibile sia perché appartenente alla categoria strafigone, sia perché lavorava in Svizzera e aveva otto anni più di me. Comunque, avevo individuato lui come parametro, lui rappresentava il massimo; quindi feci un patto col Signore: “Sono disposta a corteggiare un uomo con gonna, tacco, trucco e tutto il resto solo se é un uomo (non un ragazzino) che sia più o meno come il mio amico Francesco, da lui in su, di meno non mi accontento neanche per un caffè”.
Fatto è che quel mio amico Francesco dopo un paio di mesi da quella mattinata in Porziuncola comincio’ a telefonarmi e piano piano a corteggiarmi. Anche lui stava facendo il suo cammino. Cominciai a impegnarmi in questa relazione, obbedendo ai suggerimenti di padre Giovanni. All’inizio era solo per dimostrare a me stessa che la mia vita era da un’altra parte. La cosa che più mi spaventava nell’avere una relazione con un ragazzo era che mi togliesse quella mia relazione profonda con Dio; non pensavo che una cosa tanto intima si potesse condividere con qualcuno. Poi ci sono cascata con tutte le scarpe: non solo mi sbagliavo, ma anzi, quell’interiorità in due si moltiplicava, era ancora più bella, più matura, più concreta.
Concludendo: l’uomo giusto l’ho conosciuto alla marcia francescana, l’ho riconosciuto come un uomo che stimavo in Porziuncola e ho capito che era lui quello giusto perché non era perfetto, ma sapeva mettersi in gioco, mi faceva respirare profumo di libertà quando parlavamo di scelte che dovevo fare all’università e, cosa non poco importante, sapevamo litigare e ricominciare (cosa che ci é stata molto utile) ogni volta.