Intervista ad Andrea Pallucchini autore di “Il mio nome è Federico Fellini – Un uomo grande come un bambino”
Si può raccontare Federico Fellini ai più piccoli? Secondo Andrea Pallucchini si può e si deve. Presentato al Meeting di Rimini lo scorso agosto, Il mio nome è Federico Fellini – Un uomo grande come un bambino, è un libro che narra la “storia del grande regista italiano senza alterarla né togliere nulla ad una vita” che, come ben racconta la nipote Francesca Fabbri Fellini, è stata segnata anche da episodi dolorosi. Proprio come Federico Fellini, con l’atteggiamento di un bambino che è già maturo, l’autore racconta una storia, la fiaba dolce di un uomo e di quegli incontri speciali che lo hanno cambiato e segnato, aiutandolo a trovare la sua strada. Abbiamo chiesto ad Andrea di raccontarci di questo libro.
Mi sembra di capire che tu hai maturato fin da bambino un forte interesse per la scrittura e per il disegno. Ma da dove proviene la passione per Federico Fellini? Quando hai cominciato a interessarti a lui come regista e come uomo?
Sì, anch’io come Fellini, fin da bambino, amavo disegnare, scarabocchiare sui libri del papà e della mamma, e sporcarmi la faccia e le mani di pastelli colorati. E come Fellini mi piaceva inventare storie; avendo quattro fratelli più piccoli, ho passato i miei anni a casa, scrivendo e raccontando loro centinaia di racconti. Penso che l’interesse per Fellini derivi anche da questo, da questo guazzabuglio di passioni che ci accomunava, oltre che ovviamente la città di appartenenza. Durante l’università, ho scritto due tesi su di lui e ho potuto approfondire un po’ di più chi era Federico Fellini. Mi colpiva il fatto che ci potesse essere un regista capace di usare la propria immaginazione e il proprio lavoro per il desiderio di scoprire se stesso, andare a fondo del proprio io, pieno di dubbi e debolezze, e avere addirittura il coraggio di raccontarlo.
Com’è nata l’idea di scrivere un libro su Federico Fellini? E soprattutto come si può parlare di Fellini a dei ragazzi?
Di libri su Fellini ne sono stati scritti tanti, da quelli dettagliati pieni di curiosità ai più disparati con un nuovo tentativo di interpretazione che possa metter luce sui suoi film. In questi si è detto quanto era grande Fellini, quanto era geniale o quanto era innovativo, insomma quanto era non plus ultra. Tuttavia mi sembrava che qualcuno si fosse dimenticato che Federico Fellini era stato anche un uomo. Un bambino, pieno di paure e dubbi come tutti noi. Da questo sguardo sull’autore riminese è nata l’idea del libro. E a chi rivolgersi se non agli stessi piccoli per raccontare il percorso di crescita di quel fanciullo imberbe con la matita in bocca che diverrà il più grande regista italiano di sempre? Mi son stupito nello scoprire che non era mai stato scritto un libro su Fellini, la cui vita è stata veramente un ricettacolo di avventure appassionanti. Le mie pagine non si discostano in maniera rivoluzionaria da quelle degli altri biografi o scrittori, solo che mentre quelli erano partiti dal grande Fellini, una quercia alta e inarrivabile, io sono partito dalle sue radici, ne ho percorso la linfa vitale e ho accompagnato i giovani lettori fino alla cima. Anche questa è una questione di sguardo.
Ho letto che Fellini aveva diversi soprannomi e che tu, nel libro, ce ne racconti uno in ogni capitolo. A quale di questi soprannomi ti senti maggiormente più legato? E perché?
È vero, una delle peculiarità del libro è che a ogni capitolo il protagonista si firma in maniera diversa: questo soprannome è il risultato di un nuovo incontro, di un volto nuovo lungo il cammino della sua vita. È come se grazie a quel nuovo legame, Fellini capisse una parte di sé e quindi un po’ di più chi è veramente. Il percorso è disseminato di tanti sassolini, amici e compagni di viaggio che fanno tutti parte di quel grande puzzle teso a ricomporre il suo volto, indicargli la sua vocazione e a permettergli infine di firmarsi Federico Fellini. Tra questi soprannomi probabilmente quello in cui mi rivedo maggiormente è il penultimo, quello che Fellini aveva sempre portato dentro ma che riscopre solo e pienamente quando è ormai adulto: quello del “fratellone”. Come in ogni famiglia spesso accade, i legami si tendono e possono arrivare quasi a spezzarsi…occorre allora un distacco, uno sguardo più grande e spalancato, che ci faccia rendere conto su cosa regge quel filo, quel rapporto. È ciò che succede al nostro protagonista coi fratelli più piccoli, soprattutto con il più vicino e meno conosciuto, Riccardo. Ed è ciò che succede a me spesso e talvolta, assieme alla gioiosa e sempre nuova scoperta di possedere lo stesso soprannome.
Il tuo libro è stato presentato al Meeting di Romini dalla nipote del regista, Federica Fabbri Fellini. Quali sono state le loro reazioni e cosa ti hanno detto dopo averlo letto?
Francesca Fellini mi ha accompagnato per tutto il tortuoso viaggio della costruzione del libro. Mi sono confidato con lei prima di portarlo in stampa e grazie ai suoi suggerimenti, ho potuto completare l’opera donandogli quel velo di simpatetica familiarità che mancava e che solo le parole di una parente diretta potevano lasciare. Francesca è stata per me un’amica e una consigliera. Quando infine ha letto il libro per intero, è rimasta commossa del lavoro che ho fatto e ha affermato che non vi è altra opera riguardante suo zio rivolta a tutti così completa e scritta con amore.
Fellini "un uomo grande come un bambino". Cosa lo rendeva grande e cosa bambino?
In questo sottotitolo così paradossale sta tutta la chiave del libro. Poiché Fellini era grande proprio perché era un bambino. Perché aveva lo sguardo fiducioso, a volte pure ingenuo, come quello di un bambino. Un bambino che sta in cima a un albero e se la mamma gli dice di buttarsi di sotto, lui prende e si butta giù, tra le sue braccia, senza pensarci due volte. Se a noi adulti qualcuno ci dicesse buttati da quel ramo, non muoveremmo neanche un passo. Ecco, Fellini era un uomo che si è sempre buttato nelle braccia della realtà. Nei suoi film la cosa che più gli premeva era offrire una possibilità, uno spiraglio di salvezza, a tutti, anche alle persone più malvagie o a quelle con qualche rotella in meno. Tutte meritavano la speranza di ricevere un sorriso, come quello di Paolina nel finale della Dolce Vita. Pier Paolo Pasolini in un articolo sul giornale scrisse che non aveva mai visto un regista trattare la realtà tutta con tanta amorevolezza. La grandezza di Fellini non sta solamente nell’aver inventato un cinema nuovo, nell’essere riuscito a vincere cinque premi Oscar come nessun altro regista italiano, ma nell’avere avuto sempre uno sguardo spalancato sulla vita.