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Il Beato Angelico smentisce Kasper

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La nuova Bussola quotidiana - pubblicato il 13/10/14
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E’ necessario un giudizio di misericordia ma senza dimenticare la verità
Il Beato Angelico affresca la cella n° 35 con la comunione distribuita agli apostoli. Siamo nel XV secolo, l’ambiente del refettorio si affaccia sul chiostro del Convento San Marco e, volutamente, viene messo in relazione con l’ambiente del coro. Questa particolare versione dell’Ultima Cena è letta dall’Angelico in relazione alla celebrazione eucaristica. La tavola, infatti, è spoglia come una mensa d’altare e Cristo dispensa ai suoi, pane e vino. Otto discepoli sono seduti a Mensa, significando così gli invitati a nozze, quelli di cui parla anche il Vangelo di Domenica (XXVIII del tempo Ordinario). È il popolo dell’ottavo giorno che in profonda relazione con il Mistero del Salvatore siede alla stessa mensa. 

Vi sono però quattro sgabelli vuoti, lasciati da altri quattro chiamati alla mensa, i quali aspettano pazientemente il loro momento stando in ginocchio, cioè in atto penitenziale. Questi quattro simboleggiano quell’umanità che vorrebbe accostarsi alla mensa del Signore, ma ancora non può. Tra questi quattro, nella medesima postura, nella medesima attesa, sta anche Giuda. Lo riconosciamo per l’aureola nera e per la posizione un po’ arretrata.

La posizione in ginocchio ci informa sulla qualità di questo cibo che vuole da noi un cuore perfetto e contrito. L’affresco fa meditare se confrontato con le tipologie di discorsi che si vanno facendo oggi sulla celebrazione eucaristica e il mistero in essa significato. Oggi ricevere la comunione è guardato, a mio avviso, con eccessiva scontatezza, come se l’eucaristia fosse il termine naturale della Messa e non piuttosto il coronamento per coloro che sono degni di accostarsi alla Mensa del Signore. 

La facilità con cui in questi anni i cristiani si sono avvicinati alla comunione, senza le dovute disposizioni e senza – spesso – essersi confessati ha generato una riduzione del mistero e del sacramento. Era senz’altro necessario correggere una certa eredità giansenista eccessivamente restrittiva e scrupolosa rispetto all’Eucaristia ma, purtroppo come spesso accade nella storia, si è scivolati sul versante opposto senza avere modo di tenere il tutto in giusto equilibrio.
 

© Public Domain

Oggi l’immagine del demonio che si contende l’anima accostatasi indegnamente alla comunione (come quella che dipinge Bosch nei sette vizi capitali) farebbe scandalo e non sarebbe accettata. Siamo diventati così politicamente corretti anche nell’educazione che persino ai bambini non si può dire male ciò che è male, ma si consiglia di evitare traumi aspettando che nella loro maturità possano decidere per il meglio. Così – ci accorgiamo ora – la maturità non viene mai e siamo circondati da cinquantenni ancora adolescenti, i quali non sanno assumersi responsabilità e doveri cui il loro stato li obbliga. 

So per certo che molti – di fronte a tali argomenti – grideranno all’oscurantismo ma tale è la mia esperienza quotidiana e potrei scendere anche ad elencare situazioni e dettagli capaci di supportare gli argomenti; lo evito accontentandomi di quel «chi può capire capisca», che già Gesù consigliava. Mi sentirei un cembalo che tintinna se raccontassi cose diverse, solo perché alle persone piace sentirsi dire altro. La verità è che alla vita bisogna prepararsi e lo spirito di sacrificio e la necessità di cambiamento di fronte ad essa non sono realtà passate di moda, ma sono necessità delle quali in tutti gli ambienti si avverte carenza.

L’Eucaristia è una iniezione di eternità, prepara e abitua l’uomo a stare con Cristo ma – come dicevano i padri – essa è come il sale, conserva nello stato in cui sei. Se sei in grazia di Dio, sei conservato nel bene; se non sei in grazia di Dio – come il sale – si accelera il processo di corruzione. Lo dice appunto tutta la vicenda di Giuda che, dopo aver preso il boccone uscì e la sua uscita fu nefasta. Non solo tradì il suo Maestro con il quale aveva condiviso la mensa ma, e questo fu l’aspetto peggiore, disperò del suo perdono. Non ebbe la forza di pentirsi e di ritornare in seno alla comunità. Egli diede su di sé un giudizio inappellabile tale da togliersi la vita.

Troppo facilmente oggi si concede l’Eucaristia anche a quelli che, regolarmente sposati o semplicemente fidanzati, si comunicano senza confessione; pertanto anche il discernimento sugli stati di vita irregolari, incompatibili con il sacramento della comunione col Cristo, è confuso e incerto.

Siamo certi che è necessario un giudizio di misericordia, ma senza dimenticare la verità. Siamo certi che molte persone hanno bisogno di essere accompagnate dentro un cammino nuovo, di consapevolezza e santità, ma questo senza dimenticare i gesti posti precedentemente in atto nella vita. 

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